sabato 29 maggio 2010

I ragazzi di Anansi

Comprato come al solito per una delle mie fissazioni (nel mio dialetto si direbbe ‘fisima’), cioè di avere il più possibile di quello che scrive Neil Gaiman, devo dire che questo romanzo ha piacevolmente soddisfatto le aspettative che ripongo sempre nell’autore inglese. Aspettative che, devo essere onesto, qualche volta sono state un po’ deluse, soprattutto con alcune opere a fumetti. I romanzi invece finora mi sono piaciuti tutti (ne ho letti solo tre, ma spero al più presto di avere il tempo per leggere anche gli altri), e se dovessi fare una classifica, direi che questo sorpassa alla curva finale “American Gods”, che mi era piaciuto tanto e di cui ho già parlato in un precedente post. Ancora una volta Gaiman si confronta con il suo amato mondo della mitologia, ma stavolta, con una scelta secondo me molto efficace dal punto di vista narrativo, invece che costruire il solito pantheon con decine di divinità e affini, si concentra su uno solo di questi, rendendo la narrazione più lineare e coinvolgente di quanto non fosse quella di “American Gods”.

Charles Nancy, da tutti chiamato Ciccio Charlie con suo particolare fastidio, è una persona comune. Potremmo dire assolutamente mediocre. Forse l’unica cosa che lo distingue dalla media della popolazione è una forma quasi patologica di timidezza, retaggio di un’infanzia vissuta con un padre che non perdeva occasione per sbeffeggiarlo e fargli fare brutte figure. Però c’è un’altra cosa che rende Ciccio Charlie speciale, anche se lui non lo sa: suo padre non è altri che Anansi, il dio ragno di origine africana, il padrone di tutte le storie. Ma il signor Nancy (quello stesso che avevamo conosciuto in “American Gods”) decide di passare a miglior vita in una frenetica sessione di karaoke in pubblico, lasciando al figlio Charles un’eredità tanto inattesa quanto indesiderata. Tanto per cominciare, si scopre che ha un fratello gemello, Ragno, che di lui è praticamente il riflesso opposto: spavaldo, piacente, sicuro di sé, spericolato. Ciccio Charlie all’inizio è curioso di conoscere questo fratello di cui non sospettava nemmeno l’esistenza, e, aiutato da alcune simpatiche vecchiette, riesce ad entrare in contatto con lui. Cosa che avrà tutta una serie di conseguenze ben poco piacevoli per lui e per la sua normalissima vita.

Che cosa combinerà Ragno al fratello, alla sua fidanzata, al suo lavoro e più in generale alla sua vita, vale la pena di scoprirlo leggendo il romanzo, che, intrecciando gli elementi mitologici con una trama quasi poliziesca, riesce a coinvolgere e a far divertire pur mantenendo un certo livello di drammaticità e trasporto, soprattutto nelle vicissitudini sentimentali con cui il povero Charles sarà costretto a cimentarsi. Il tutto scandito da un espediente che a me piace molto in Neil Gaiman, vale a dire il sottotitolo di ogni capitolo dove una frase assolutamente criptica spiega quello che succederà senza in realtà dire niente, del tipo: “Capitolo nove in cui Ciccio Charlie va ad aprire la porta e Ragno incontra i fenicotteri”. Un accorgimento letterario che Gaiman aveva già usato in altre opere, per esempio “La stagione delle nebbie”, una parte della saga di Sandman, che secondo me incuriosisce e diverte il lettore con una semplice frase che una volta letto il capitolo è quasi scontata ma che tutti, leggendola, si trovano a pensare ‘l’avrei voluta scrivere io una cosa del genere’. In definitiva, se qualcuno non conosce il Gaiman romanziere e volesse fare un primo passo, questo libro è, secondo me, la scelta ideale.

Le storie di Anansi risalgono a quando gli uomini hanno cominciato a raccontarsi le storie. In Africa, dove tutto è cominciato, ancora prima che gli uomini dipingessero sulle pareti delle caverne i leoni e gli orsi, prima che raccontassero le storie delle scimmie, dei leoni e dei bufali. Grandi storie da sogno. Gli uomini hanno sempre avuto questa predisposizione. È così che interpretavano il mondo: tutto ciò che correva o strisciava o penzolava o serpeggiava doveva passare per le storie, tribù diverse di uomini veneravano creature diverse.

lunedì 24 maggio 2010

Cos'è successo al Cavaliere oscuro?

Immagino sia la storia che tutti vorrebbero scrivere, ma anche quella che nessuno vorrebbe mai scrivere. Così come chi ama una persona considera un grande onore pronunciarne l’orazione funebre, ma allo stesso tempo non vorrebbe mai farlo perché significherebbe che quella persona è morta, allo stesso modo scrivere l’ultima storia di Batman deve essere un onore e un peso indescrivibili. Però tutto questo presuppone che Batman possa morire, cosa di cui Neil Gaiman non sembra essere così sicuro. Ed è proprio per questo che Batman muore. Un sacco di volte. Bene, adesso che siete tutti veramente confusi, possiamo parlare di “Batman – Cos’è successo al Cavaliere oscuro?”, una storia in cui Gaiman dà prova della sua grande fantasia miscelata ad un profondo e sentito legame con il personaggio e gli autori che nel corso di settant’anni ne hanno raccontato le storie, cimentandosi allo stesso tempo con un contesto che non è propriamente il suo, quello in cui l’autore inglese si sente più a suo agio, vale a dire il fantasy. Se esiste il contrario si fantasy, questo è proprio Gotham city, e se dovessi pensare al contrario di Sogno, credo che lo chiamerei Batman. Ci sono un sacco di eroi, e un sacco di supereroi, però è strano trovare un supereroe che non abbia niente di super, anzi, ce n’è uno soltanto: Batman. In mezzo a un tizio che può far esplodere un pianeta con gli occhi, ad uno che corre alla velocità della luce, uno che legge nel pensiero ed uno che dà forma alla sua volontà, ce n’è uno che lancia strani aggeggi a forma di ali di pipistrello, che per arrampicarsi ha bisogno di una fune, che se gli sparano sanguina. Eppure è il più forte in assoluto. Quando l’hanno accusato di essere peggio dei peggiori criminali, ha risposto che si sbagliavano, che lui era quello che stava tra i peggiori criminali e la città. Quando gli hanno detto che se fosse tornato a Gotham l’avrebbero ucciso, ha sorriso, dicendo che provando ad uccidere lui, non avrebbero potuto uccidere persone innocenti, ed è tornato a casa. La storia di Gaiman è un tributo, sia al personaggio sia agli autori che in tanti anni lo hanno reso tale, al punto che sia lui che il meraviglioso Andy Kubert hanno, nei loro rispettivi ruoli, cercato di immaginare cosa avrebbero fatto gli autori del passato se avessero scritto le frasi e disegnato le tavole della storia.

Batman è morto. E Gotham city viene a rendergli omaggio, nello squallido retro di un sudicio bar dove Joe Chili fa il barista, mentre Alfred sistema la sala e accoglie gli ospiti. Jim Gordon accanto al Joker, Selina Kyle accanto a Due facce, Superman accanto a Ras Al Ghul, tutti a vegliare quel corpo nella bara che cambia ad ogni tavola in omaggio ai suoi disegnatori. Nella stanza c’è uno spirito, lo stesso Batman, che non capisce cosa sta succedendo davanti ai suoi occhi, e un altro spirito, femminile, che cerca di aiutarlo a capire. Ognuno fa la sua orazione, ognuno racconta come è morto Batman, perché è morto Batman. Ma solo il più grande detective del mondo può scoprire la verità dietro quel corpo, dietro quella maschera.

Attraverso le parole di Gaiman, scopriamo una grande verità, per mezzo di un finale meraviglioso e poetico nella sua semplicità. Ci sarà sempre un Superman, perché è bello che ci sia, così come una Lanterna verde, un Flash, una Wonder Woman. Ma ci sarà sempre un Batman perché è necessario, perché solo lui può fare quello che fa, solo lui ha quella forza e quel coraggio che servono a Gotham city. Non fa quello che fa per rendere il mondo un posto migliore, o per ispirare gli altri, lo fa perché è necessario che qualcuno si opponga, a prescindere dal risultato finale. Superman non avrebbe la forza di combattere senza la certezza che le sue azioni renderanno il mondo migliore di com’è adesso. Batman ha la forza di combattere con la certezza che non otterrà alcun risultato sulla lunga distanza. Ha la forza di accettare che i suoi sforzi non ripuliranno le strade dalla criminalità. Ci saranno sempre un Thomas e una Martha Wayne che moriranno in un vicolo buio uccisi da un Joe Chili, lasciando da solo un piccolo Bruce Wayne. Ci sarà sempre un Joker che evaderà da Arkham. Per questo ci sarà sempre un Batman nel cielo di Gotham. Superman cerca di cambiare il mondo. Ci vuole molta più forza per fare del proprio meglio per lasciarlo così com’è. Credere che ci sarà sempre il male è molto più difficile che credere nel bene. Batman è morto. Lunga vita a Batman.

domenica 16 maggio 2010

Lovecraft

Il nome dovrebbe essere già abbastanza evocativo, ma per quanti non lo sapessero, Howard Phillips Lovecraft è senza ombra di dubbio uno dei più grandi scrittori della letteratura horror – fantasy. Forse neanche il suo maestro, Edgar Allan Poe, è riuscito con la sua opera a creare un immaginario narrativo tanto variegato e coinvolgente. Il punto è che, in passato e anche oggi, sono sorti e sorgono non pochi dubbi sul fatto che il suo non fosse un semplice esercizio di fantasia. Sono innumerevoli gli autori che si sono ispirati alle sue storie, e si può dire che tutto il panorama fantascientifico e horror della letteratura contemporanea, con pochissime eccezioni, può considerarsi una propaggine di Lovecraft.

Non stupisce quindi che sia diventato lui stesso il protagonista di una storia, nella fattispecie di questa bella e particolare graphic novel ad opera di Hans Rodionoff ed Enrique Breccia. Il primo in realtà è autore di una sceneggiatura cinematografica, essendo questa la sua vera occupazione nella vita, e il suo testo è stato adattato per il fumetto da Keith Giffen, pilastro della DC Comics. Di Enrique Breccia non conoscevo nulla, se non il nome, ma ho piacevolmente scoperto il suo stile artistico molto particolare.

La storia è una vera e propria biografia di Lovecraft, dall’infanzia agli ultimi anni della sua vita, e bisogna dire che, sia nella storia che nella vita, il confine tra realtà e fantasia si assottiglia al punto che i due mondi finiscono per confondersi. Fin dalle prime pagine facciamo la conoscenza del piccolo Howard e dello strano mondo che lo circonda nel suo ambiente familiare. Una madre che lo veste e lo trucca come una bambina, un padre internato in manicomio, dove morirà dopo pochi anni, un nonno che gli fa trascorrere le serate raccontandogli storie terrificanti. Già questo basterebbe a turbare la psiche di un bambino che tutto può dirsi fuorché forte e sicuro di sé e del mondo. Ma a questo punto entra in scena l’elemento fantastico, rappresentato da un misterioso libro, il Necronomicon, appartenuto al padre e forse responsabile della sua follia. Il piccolo Howard non resiste alla tentazione di leggerlo, e da quel momento la realtà davanti ai suoi occhi si trasforma. Apparentemente senza alcuna ragione, il suo mondo comincia ad essere tormentato da spaventose creature che lo cercano spasmodicamente, portandolo molto vicino ad un baratro di follia. Howard è però una persona intelligente, e sfrutta queste sue visioni come protagonisti delle storie che scrive. In realtà, nel suo scrivere si limita a riportare fedelmente quello che vede in quelli che lui stesso definisce viaggi nel sonno. E in effetti le sue opere ricevono un discreto apprezzamento da parte del pubblico e dell’editoria. Poi, durante una delle sue visioni ad occhi aperti, conosce Sonia, di cui si innamora e con la quale comincia a concepire un progetto di vita che non prevede quel mondo immaginario e terrificante che ha scandito fino ad allora la sua esistenza. Ma ben presto si renderà conto che non è così facile, che quelle che lui crede siano creature senza ragione hanno in realtà uno scopo ben preciso, legato al Necronomicon, il libro con cui tutto è cominciato e con cui tutto deve finire. Solo attraverso un ultimo viaggio in quel mondo fantastico, Howard e Sonia riusciranno finalmente a scongiurare il pericolo per la loro realtà e a ritornare al loro mondo. Anche se questo costringerà Lovecraft a continuare nella sua opera, che da adesso avrà un compito fondamentale: impedire che il varco si riapra e mantenere sigillata quella realtà.

Storia interessante su un uomo altrettanto interessante, uno scrittore la cui vita è stata certamente ai limiti della surrealtà tanto quanto le storie che ha scritto, al punto che sulla sua figura si sono fatte molte ipotesi, tra le quali quella che lui fosse veramente convinto dell’esistenza delle creature e dei luoghi di cui scriveva, e che quelli considerati viaggi con la fantasia fossero in realtà deliri di uno schizofrenico che ha perso il contatto con la realtà. Di sicuro c’è che la sua opera è stata fonte di ispirazione per moltissimi autori, non solo di romanzi horror e fantasy, ma anche di fumetti. Ad esempio, è interessante che il luogo popolato dalle sue creature si chiami Arkham, e che proprio in quella città vi sia un manicomio, corrispettivo di quello in cui venne internato e dove poi troverà la morte il padre. Il parallelismo con il famigerato Arkham asylum, il manicomio di Gotham city dove trovano spesso ospitalità i criminali con cui si scontra Batman, è fin troppo facile da fare.

Un commento particolare lo meritano i disegni, che definire così è riduttivo, di Enrique Breccia. Ogni tavola è un quadro ad acquerello, con la forza e l’intensità di certe sfumature che coinvolgono e rappresentano alla perfezione i deliri e le visioni del protagonista. Anche solo per questi, varrebbe la pena di leggere questa graphic novel.