venerdì 22 aprile 2011

Prima di morire addio

Saper cambiare è importante, soprattutto per chi, per dono, ha il talento di narrare. Così, fare la conoscenza di nuovi personaggi è sempre un’esperienza piacevole per chi legge le opere di un autore a cui è appassionato. Inoltre, in questo modo acquista qualità anche il lavoro precedente, che si capisce essere riuscito non solo per la presenza di quel tale personaggio ma per la caratterizzazione che l’autore ne dà. Con questo suo ultimo romanzo, Fred Vargas rientra appieno in questi concetti. È infatti vero che “Prima di morire addio” introduce un nuovo personaggio, Richard Valence, anche lui un poliziotto, anche lui protagonista di gialli, e un altro bizzarro trio, i tre Imperatori Tiberio, Nerone e Claude. Ma è anche vero che, al di là dei facili parallelismi con le sue opere precedenti (Adamsberg per il primo, i tre Evangelisti per i secondi), abbiamo di fronte un mondo completamente diverso. Quello ce si riconosce prepotentemente nello stile della scrittrice è lo stile lineare e l’attenta e coinvolgente caratterizzazione dei personaggi. Viviamo ancora una volta una attenta e penetrante descrizione degli stati d’animo, un continuo mutamento di interessi e passioni, un accostarsi di personalità contraddittorie che, le une accanto alle altre, formano un mosaico forse poco armonico ma certamente vivace e accattivante.

Il palcoscenico si sposta, in questa avventura, dalla Francia all’Italia, nel contesto di una Roma baluardo della cultura classica, con tutti i suoi tesori e le sue ambiguità. Protagonista tanto quanto i personaggi, la città si dimostra capace di essere teatro di eventi oscuri e misteriosi, e soprattutto mette in luce una delle più grandi anomalie che il nostro paese contiene: la presenza, dentro la città, di uno stato estero. Stato di cui vediamo solo una piccolissima propaggine nel mondo, la biblioteca Vaticana, ma che è sufficiente a mettere in luce alcuni aspetti di questo luogo misterioso e pieno di contraddizioni. In questo scenario si trova a muoversi, all’inizio contro la sua volontà, Richard Valence, investigatore francese inviato nella città eterna per indagare, anzi meglio ancora per insabbiare tutto ciò che scoprirà su uno strano omicidio. L’editore ed esperto di opere d’arte Henri Valhubert, giunto a Roma per indagare sul ritrovamento di un inedito schizzo di Michelangelo, viene trovato morto nel bel mezzo di una festa notturna a piazza Farnese. Arma del delitto, un poetico decotto di cicuta, lasciato cadere nel suo bicchiere da uno dei presenti. Partecipano alla festa anche il figlio di Valhubert, Claude, e i suoi due amici Tiberio e Nerone, che insieme a lui costituiscono il trio degli Imperatori. Su pressione del fratello del morto, nonché ministro francese, il caso va insabbiato per evitare scanali deleteri. Così, Valence si trova immerso nell’afa estiva di Roma, cercando delle risposte agli interrogativi che la storia pone. In questa sua ricerca, dovrà fare i conti con una lunga teoria di personaggi variegati e spesso ben oltre il confine dell’ordinarietà, a cominciare dalla moglie di Valhubert, Laura, passando per i due ragazzi compagni di studi del figlio, arrivando persino ad un vescovo che li tiene sotto la sua ala protettrice. Facendo i conti con l’insofferenza per gli ordini ricevuti da un lato, e il desiderio di mettere tutto a nudo dall’altro, Valence dovrà dare fondo alle sue risorse fisiche e mentali per districare la matassa e trovare il colpevole, confrontandosi non solo con l’ostilità e la reticenza dell’ambiente romano, ma anche con le stranezze di un mondo fatto solo ad uso e consumo di chi ci vive dentro e ben poco accessibile per ci viene da fuori.

Una buona prova, quella della Vargas, che si cimenta dopo un po’ di tempo con nuovi personaggi. Se ci sarà un seguito alle avventure di Richard Valence e dei tre Imperatori sarò ben felice di leggere.

Richard Valence nutriva una certa avversione per le biblioteche perché bisognava astenersi da tutto: far rumore camminando, far rumore parlando, fumare, agitarsi, sospirare, insomma far rumore con la propria vita. Secondo certa gente, quelle costrizioni corporali favorivano la riflessione. In lui la distruggevano immediatamente.