sabato 24 luglio 2010

Air - Lettere da nazioni perdute

In un mondo in cui è diventato sempre più difficile leggere storie innovative e interessanti, questo fumetto mi ha piacevolmente colpito. Comprato più che altro per i commenti che grandi autori del mondo del fumetto avevano rilasciato e che sono stati riportati in copertina, si è rivelato un degnissimo primo volume di quella che potrebbe essere una serie molto interessante, e che, nel piattume delle opere a fumetti di questi ultimi periodi, dove solo pochi riescono a svettare su un pantano di mediocrità, secondo me merita di essere seguita nei suoi prossimi appuntamenti.

La protagonista della storia, Blythe, è una assistente di volo di quella che sembra essere una normale compagnia aerea, con il piccolo particolare che Blythe è acrofobica, cioè ha paura delle altezze. Cosa strana, per una persona che ha scelto di passare per mestiere gran parte della sua vita su degli aerei in volo. A un certo punto, compare nella sua vita uno strano personaggio, che sembra cambiare identità come una persona normale cambierebbe la maglietta, e che si trova spesso nelle sue vicinanze. Con l’allarme terrorismo sempre ai massimi livelli, non c’è da stupirsi che la cosa desti più di qualche sospetto. Ma parallelamente a questo, Blythe e la compagnia aerea per cui lavora sembrano essere oggetto delle attenzioni di un misterioso gruppo di persone che, almeno secondo quello che dicono, sembrano intenzionate a combattere la minaccia del terrorismo aereo con metodi piuttosto sbrigativi e violenti. Ma le cose stanno realmente così? Tutti sono quello che sembrano o dicono di essere? E quali misteri nasconde la compagnia aerea Clearfleet, dato che il criterio che regola le assunzioni del personale sembra essere la stranezza? Guidata da messaggi in codice, sentimenti contrastanti e apparizioni oniriche, Blythe dovrà dimostrarsi capace di compiere evoluzioni aeree molto impegnative per non precipitare o schiantarsi e raggiungere sana e salva la sua destinazione (scusate la metafora aeroplanistica!). E sapere quale questa sia sarebbe già un grosso passo avanti.



Scritto da G. Willow Wilson e disegnato da M. K. Parker, la serie “Air” ha saputo dimostrare uno spessore narrativo non comune per il panorama fumettistico attuale, muovendosi con il giusto equilibrio tra fantasy e realismo, tra satira sociale e azione, tra ironia e dramma, una miscela di elementi che gli hanno fatto guadagnare commenti di apprezzamento da autori del calibro di Neil Gaiman, Brian Wood, Gail Simone, Brian Azzarello, e molti altri tra autori e riviste di narrativa, oltre a numerose nomination agli Eisner Awards. Aspettiamo di vedere se gli autori saranno in grado di mantenere questa qualità narrativa e grafica che hanno espresso nel primo volume. Ma, ad essere onesti, per la mia piccola e per nulla professionistica opinione, le premesse ci sono tutte.

lunedì 19 luglio 2010

Mucho mojo

A quanto risulta dalle cronache ufficiali, ho appena inaugurato un’altra serie: ora mi tocca recuperare anche tutte le avventure di Hap e Leonard. Me li ha fatti conoscere un amico che mi ha regalato, insieme ad altri, questo libro in occasione del mio ultimo compleanno, dicendomi che forse è la loro migliore storia. E come al solito, quando leggo qualcosa, mi piace, e ha un seguito, sono quasi costretto a leggere anche tutto il resto. Inoltre, al di là della storia di cui tra poco dirò, mi ha colpito molto l’introduzione scritta dall’autore, in cui diceva che Hap e Leonard erano venuti a fargli visita una volta che stava scrivendo una storia e poi l’aveva abbandonata, fino a quando, tempo dopo, sono tornati a chiedere insistentemente la loro storia, tanto che lui è stato quasi costretto a scrivere questo romanzo. Mi ha molto colpito questo concetto della necessità del personaggio di essere raccontato, della sua pressante richiesta nei confronti dell’autore di veder scritte le proprie storie. Personaggi talmente reali e vivi da ridurre l’autore a un mero dattilografo del loro racconto in prima persona. Il saper entrare in contatto con il proprio personaggio al punto da renderlo persona è secondo me una qualità che solo i grandi scrittori dimostrano e che Joe R. Lansdale mi ha dimostrato.

Hap Collins e Leonard Pine sono praticamente due facce della stessa medaglia. Uno bianco e l’altro nero, uno etero e l’altro gay, immersi nel profondo dell’America sudista dove queste caratteristiche ti rendono diverso, a seconda dell’ambiente di riferimento in cui ti trovi. In un quartiere di neri, quello diverso è il bianco. Ma Hap e Leonard hanno anche molto in comune. Un passato difficile, qualche periodo dietro le sbarre, un presente incerto vissuto nell’arrabattarsi con qualche lavoretto da poco, un futuro che non viene neanche preso in considerazione in termini di programmazione. Tutti e due hanno qualche debito di amicizia nei confronti dell’altro, tutti e due quando c’è da menare le mani non si tirano indietro, tutti e due intelligentissimi, a dispetto del pregiudizio secondo cui essere in condizioni disagiate vuol dire essere stupidi perché gli intelligenti trovano sempre il modo di fare i soldi. Un bel giorno però lo zio di Leonard muore, e lascia la nipote una vecchia casa malandata e una grossa somma di denaro. A causa del rapporto molto conflittuale che c’era con lo zio Chester, Leonard decide di andare a stare a casa sua per sistemarla, e così scopre anche il resto della sua eredità. In effetti, ci sono tutti gli elementi per pensare che lo zio Chester abbia perso per strada un bel po’ delle sue rotelle, visto che gli lascia un sacco di buoni omaggio scaduti, una stanza piena di giornali vecchi, un libro di Dracula chiuso in una cassetta di sicurezza. E una cassa sotterrata con dentro lo scheletro di un bambino. Lo zio Chester ha ucciso un bambino? Era un pedofilo? Leonard non ci crede neanche un po’, nemmeno ammettendo che con la vecchiaia fosse un po’ rimbambito. Hap fa un po’ di ragionamenti logici, da persona meno coinvolta, ma tutti e due capiscono che c’è qualcosa sotto. E vogliono vederci chiaro. Soprattutto se nel quartiere c’è una storia di bambini scomparsi, tutti figli di nessuno, e c’è qualcuno un zona che pensa che siano una manifestazione del peccato e vadano ‘rimossi’.

Mischiando un bel po’ di mistero, qualche rissa, un po’ di sano razzismo all’americana, diverse birre, sbirri e avvocatesse sensuali, Lansdale imbastisce una trama avvincente e divertente. Senza lungaggini e senza retorica, dipinge un frammento di America che abbiamo sempre conosciuto attraverso i film e che è molto difficile raccontare in modo efficace e semplice allo stesso tempo. Il linguaggio vero, quello delle strade, dei bar e delle risse, e quello un po’ filosofico e malinconico di certi momenti della vita si mischiano alla perfezione nella narrazione di Hap in prima persona. Ora non resta che leggere tutte le altre avventure di Hap Collins e Leonard Pine.

- Le minoranze sono una cosa. Le scelte un’altra. Vai un po’ a vedere quanti orientali vivono dell’assistenza pubblica. Non ne troverai molti.
- Vai un po’ a vedere quanti di questi orientali hanno antenati che erano di proprietà dei bianchi e sono stati venduti come schiavi. Francamente, Leonard, penso che qui ci voglia una citazione dalla Bibbia. Non giudicare se non vuoi essere giudicato. Più o meno.
- Già. Be’, ho una citazione anch’io. Se decidi di prenderlo in culo, lo prenderai in culo.
- In quale Bibbia si trova?
- La Bibbia di Leonard.

lunedì 12 luglio 2010

Le [di]visioni imperfette

Mi piacciono i fumetti classici, e questa non è una novità. Chi frequenta queste pagine si sarà accorto che non sono mai stato particolarmente interessato ai prodotti underground, o estremamente concettuali, o dall’altro lato iperrealisti. Per me, l’immaginario, il fantastico, l’irreale sono ingredienti fondamentali di un’opera a fumetti, e anche se ho apprezzato in passato cose come “Maus” o “Uomo faber”, i miei generi preferiti rimangono comunque altri. Allora vi chiederete: “Che diavolo ci fai con un fumetto di Makkox?”. La risposta è molteplice e forse suonerà un po’ incoerente con quello che ho detto finora, ma, a dirla tutta, non me ne frega proprio niente.

Cominciamo dal fatto che per me i titoli sono molto importanti nella scelta di qualcosa, quantomeno nel catturare l’attenzione nel momento iniziale, e quelle parentesi quadre a incarcerare il “di”, creando un doppio titolo – Le divisioni o Le visioni? – mi aveva molto colpito. Poi avevo letto un po’ di vignette passate in giro per il web, e mi erano piaciute. Terzo, un po’ di tempo fa avevo colto un fuori onda, in cui l’amico Salvatore, parlando con qualcuno che adesso non ricordo chi fosse, prendeva in mano questo volume e diceva: “Questo, per adesso, è il mio autore preferito”. Insomma, c’erano abbastanza motivi per leggere questo volumetto. Il colpo di grazia alla indecisione l’ha dato la notizia che l’autore sarebbe venuto in fumetteria per autografi, disegni, chiacchiere e sfincione (cui poi si è aggiunta anche la caponata), per cui non ho avuto più nessun appiglio per rinunciare. Ecco come “Le [di]visioni imperfette” è finito nella mia libreria.

Ma ora devo parlare del fumetto, e qui le cose si complicano. Marco Dambrosio (Makkox per gli amici), per sua stessa ammissione, prende molto spunto dalla televisione e in particolare dalle serie televisive. E in effetti, non so se questa ‘cosa’ si possa definire un vero e proprio fumetto. L’introduzione di Recchioni ci fa sapere che in realtà rappresenta una raccolta di tavole, legate da un unico filo narrativo, che continua una serie iniziata sul web e misteriosamente interrotta. Tuttavia la storia è godibilissima anche entrando in sala quando inizia il secondo tempo. Ci caliamo subito nelle vicende complicate e realissime di Piero, Roberto, Sveva e Mirella, personaggi, o forse persone, che è difficile capire quanto siano inventate e quanto reali (questo forse non lo sa neanche il buon Marco...). la narrazione telegrafica, incisiva, i continui cambi di scena, il costante arrivo di personaggi che non conosciamo e che compaiono come se tutti sapessero chi sono, tutto contribuisce a mantenere alta l’attenzione e costringe a girare tavola dopo tavola, soffermandosi su ognuna giusto il tempo necessario per ammirare i tratti e gli acquerelli che danno un contrasto bellissimo tra irrealtà grafica ed estremo realismo narrativo.

Ma il punto di forza del volume, secondo me, è la seconda parte, il capitolo “Le divisioni interrotte”, dove l’autore rende davvero la sua opera una fiction, con scene tagliate in cui i personaggi diventano dei veri attori che commentano il modo in cui è finita la serie, cioè la morte dello sceneggiatore. Una carica narrativa davvero invidiabile quella che Makkox esprime in queste ultime dodici tavole. Anche solo per queste, vale la pena di leggere quest’opera. E poi, mi ha anche fatto il disegno sul foglio!

venerdì 9 luglio 2010

All star Superman


Non sono mai stato e non credo che sarò mai un fan di Superman, ma non c’è dubbio che rappresenta una pietra miliare della storia del fumetto e dei supereroi. Leggo alcune storie dell’uomo d’acciaio più che altro per avere un quadro completo dell’universo DC, dove sicuramente gioca un ruolo di protagonista e spesso compare in eventi legati ad altri personaggi. Vi chiederete allora perché io abbia deciso di comprare un volume che raccoglie una miniserie fuori collana e fuori continuty, senza nessun aggancio a particolari saghe o eventi attuali o passati. Beh, sarò onesto, l’unica ragione iniziale è rappresentata dal team creativo. Grant Morrison per me fa parte di una trinità inviolabile del mondo del fumetto, anche con i suoi alti e bassi narrativi (gli altri due sono Alan moore e Neil Gaiman). Senza nulla togliere ad altri autori di grande levatura, sia del passato che del presente panorama fumettistico americano, questi tre riescono sempre a trovare motivi narrativi che non posso fare a meno di ammirare e invidiare. Quando accade che Morrison si unisce a Frank Quitely, la cosa acquista ancora di più un carattere imperativo, perché, sebbene il mio gusto per il disegno sia più legato a un’impostazione classica del fumetto (uno stile fratelli Kubert, per capirci), e le tavole di Quitely possono dirsi tutto fuorché classiche, i due insieme formano un’accoppiata vincente sotto tutti i punti di vista. Sarà per una questione geografica (entrambi scozzesi, entrambi di Glasgow), non lo so, fatto sta che già sugli X-Men, e adesso in questa miniserie di Superman, così come in altre opere forse meno note, quali “Flex Mentallo” e “We3”, i due insieme acquistano uno storytelling armonioso e coinvolgente nonostante si discostino molto, narrativamente il primo, graficamente il secondo, dalla tradizione.

Tuttavia, mi è bastato arrivare in fondo all’introduzione per sospettare che ci doveva essere qualcosa di più. questo sospetto è sorto quando ho letto che un certo Mark Waid, firmatario di questa introduzione, affermava di aver letto ogni storia mai scritta di Superman e di non averne mai lette di migliori. Considerando che il buon Mark ha praticamente scandito la sua intera vita a colpi di storie dell’universo DC, credo che la sua frase sia ben più di un’opinione. Poi l’ho letto. E credo di poter dire che questo è un volume che non può mancare nella libreria di nessun appassionato dell’uomo d’acciaio. Come al solito, con Grant Morrison niente è facile, quindi non mi sentirei di consigliare questa storia agli amanti di letture lineari, o con ampi spazi per l’azione pura e semplice. Qui abbiamo a che fare con una storia sottile e complessa, e a volte ci sembrerà di non capire certe frasi, certi scambi di battute, avremo la sensazione di aver saltato una pagina. È una storia che va letta, metabolizzata, e poi riletta con grandissima attenzione ai più piccoli dettagli, sia narrativi che grafici, che si intrecciano oltrepassando il limite fisico del capitolo in corso, tanto che una frase delle prime pagine può essere compresa solo dopo aver letto le ultime due. Tutta la storia è ricca di questi artifici, che la impreziosiscono anche dal punto di vista del messaggio generale. Mi sentirei di poter dire, da non appassionato dell’eroe in questione, che questa storia spiega a tutti chi è Superman, che cosa rappresenta per il mondo e che cosa il mondo rappresenta per lui. Leggetela. E non vi preoccupate se Superman sta morendo. Come dice Lois Lane nell’ultimo capitolo, quando avrà finito di fare quello che sta facendo, Superman tornerà.