domenica 24 maggio 2009

Blu

Quando andavo al liceo, stavo sempre a Cefalù, tutto l’anno. Arrivati a questo periodo dell’anno, sentivo il richiamo, e non potevo non seguirlo. Mi chiamava come un amico che per molti mesi hai sentito soltanto per telefono e che improvvisamente ti fa sapere che è in città. La scuola stava finendo, interrogazioni finite, qualche compito ogni tanto, ma per il resto è già aria di vacanza. Così andavo a mare. Durante l’inverno, molto spesso, uscivo in terrazza, non mi importava del freddo e del vento, e lo guardavo muoversi contro la riva e gli scogli. Spesso, prendevo il motorino e scendevo sotto casa, sulla spiaggia, quando era agitato, mi sedevo su uno scoglio, e lo ascoltavo. E anche in estate, mi capitava di andarci la notte, o la mattina all’alba, quando non c’era nessuno. Vedevo le lampare dei pescatori, o qualche piccola barca che scivolava rumorosa con una canna a poppa lasciando una scia bianca. E ascoltavo. Quasi ogni giorno, prendevo maschera e pinne e andavo in giro per gli scogli sommersi, per ore, da solo. Mi riempivo le orecchie di acqua, scendevo giù a testa bassa, guardavo tra gli anfratti in cerca di qualche riccio, poi risalivo seguendo le bolle che uscivano dalla mia bocca, guardavo in alto, respiravo. E ascoltavo. In alcuni momenti, buttavo fuori tutta l’aria, e mi lasciavo andare verso il fondo, per quei pochi secondi che riuscivo a resistere prima che il mio corpo si ribellasse alla mancanza di ossigeno e mi costringesse a riemergere, a tirare il fiato. Era pericoloso, lo so, soprattutto se sei solo, ma anche meraviglioso. Sentirsi trascinato dal rumore del silenzio. Ogni tanto guardo la mia spalla sinistra, il palmo della mano destra e il ginocchio, e sorrido. Cicatrici rimediate tra gli scogli, quando mi dicevano che ero pazzo ad andare lì in mezzo, con il mare mosso, per rimediare qualcosa che non era neanche necessario. Solo per il piacere di essere lì dentro, tra quel rumore, quella schiuma, per avere la possibilità di lasciarmi scaraventare via dalle onde, cercando, con tutta l’abilità che avevo acquisito negli anni, di limitare i danni. Una volta ero con degli amici, camminavo senza fare attenzione, sono scivolato e mi sono aperto uno squarcio di quattro centimetri nella pianta del piede. Volevano portarmi all’ospedale, farmi mettere i punti. Ho risposto che era colpa mia, che non c’entrava niente lo scoglio scivoloso, e che bastava tenerlo un bel po’ in acqua per disinfettare. Ogni tanto la sento, che mi fa il solletico sotto il piede. È bello avere questi ricordi. C’è una sorta di strana incongruenza nella forma del mare. A volte si muove lento e calmo, quasi dormisse, altre volte si incazza come una furia. Alcuni lo prendono per cattivo, i più non ci fanno neanche caso. Pochi sanno che sta parlando. Come una persona. A volte sussurra, ha segreti che solo alcuni hanno il diritto di ascoltare. Altre volte grida, vuole farsi sentire da tutti ad ogni costo. Se sei uno che lo guarda da fuori, ti sembrerà sempre in contrasto con te. Arrabbiato quando tu sei calmo, tranquillo quando sei nervoso. Se ci vivi dentro, invece, quella incongruenza si assottiglia, svanisce. È lui che interpreta i tuoi pensieri, i tuoi sentimenti. Oggi, mentre ero in acqua, lo sentivo che cercava di rasserenarmi, calmarmi, aiutarmi. Sentivo quel leggero scroscio sui sassi della battigia, e capivo che voleva dirmi “Non ti preoccupare, passerà. Io lo so, sono migliaia di anni che vedo passare, ogni cosa. A volte devi opporti, altre lasciarti andare. Nessuno può dirti quando uno e quando l’altro. Nemmeno io. Passerà”. L’università ci aveva un po’ allontanati, almeno fisicamente. I tre mesi erano diventati due settimane, l’anno scorso. Ma lui ha aspettato. Nient’altro al mondo ha pazienza come il mare. E oggi, in un momento in cui non avrei mai immaginato, sono tornato.

mercoledì 20 maggio 2009

Lascito

[Big Boss]: È giunto il momento per te di lasciare stare le armi... E vivere. Tutto è iniziato da lui. Zero. Zero invecchiò e alla fine i suoi Patriots erano gestiti da una rete senza corpo né forma.

[Snake]: Come sarebbe senza corpo né forma?

[Big Boss]: I Proxy non erano che una minima parte dell’immenso ciclo creato da Zero. Anche gli enti, le organizzazioni a scopo di lucro e gli istituti di ricerca che formano il complesso militare-industriale ne facevano parte. Operavano sui budget che i Proxy gli assegnavano automaticamente... I conti con i fondi dei Patriots.
Fu un colossale errore di giudizio, che Zero non avrebbe potuto prevedere in alcun modo. Con il sistema americano al collasso, la società dei Patriots è diventata tabula rasa. Quest’uomo è stato la causa di tutto. E non se ne rende neanche conto. È completamente inconsapevole di aver portato il mondo alla rovina.
Anche se non corre buon sangue tra noi, è strano... Adesso che mi trovo di nuovo faccia a faccia con lui... l’odio è sparito. Provo solo un profondo senso di nostalgia. E compassione. Zero mi odiava davvero? Oppure mi temeva? Ormai è troppo tardi per chiederglielo. I membri originali... Para-medic... Sigint... EVA... Ocelot... sono tutti morti. Rimane solo Zero.
Tutto ha un inizio. Ma non comincia da “uno”. Comincia molto prima... nel caos. Il mondo nasce... da zero. Il momento in cui zero diventa uno, è il momento in cui il mondo si affaccia alla vita. Uno diventa due... Due diventa dieci... Dieci diventa cento. Riportare tutto a uno non risolve niente. Finché rimane lo zero, uno alla fine diventerà di nuovo cento. E così... il nostro obiettivo era eliminare Zero. Anche i potenti Patriots iniziarono con un solo uomo. I desideri di quell’uomo diventarono enormi, presuntuosi. Assorbirono la tecnologia e iniziarono a manipolare l’economia. Ci rendemmo conto troppo tardi che avevamo creato una bestia. Noi avevamo aiutato Zero a diventare cento. Il suo peccato... era anche il nostro. E per questo motivo... mi accingo a far tornare Zero... al nulla.

[Snake]: Te ne torni a zero anche tu?

[Big Boss]: Mi hai già eliminato due volte, prima d’ora. Oggi sarà la terza volta. Il FOXDIE che Zero ti ha messo dentro sta già iniziando a distruggere il mio corpo. A dire il vero, è stato il tuo FOXDIE a uccidere EVA e Ocelot.

[Snake]: Ma di che stai parlando?

[Big Boss]: Naomi... mi ha detto tutto.

[Snake]: Che ti prende?

[Big Boss]: Lo hanno fatto di nuovo. Ti hanno usato per uccidermi. I Patriots... No, i loro Proxy... Per seppellirci, lo hanno fatto di nuovo. Alla fine, non sono che un programma, tutto ciò che sanno fare è ripetere la stessa cosa migliaia di volte. Ti chiedo un favore. Portami da lei.
C’è un’altra cosa che Naomi voleva che ti dicessi. Riguarda il vecchio FOXDIE nel tuo corpo. Il virus che è mutato. Il nuovo FOXDIE che hai dentro continua a moltiplicarsi. Allo stesso tempo, impedisce al vecchio FOXDIE mutato di riprodursi. Il nuovo FOXDIE sta estirpando il vecchio. Naomi lo ha confermato nel follow-up. I geni mutanti stanno calando. Ben presto scompariranno completamente.

[Snake]: Significa che il ceppo mutante non causerà un’epidemia?

[Big Boss]: Vivrà soltanto finché vivrai tu. Dopodichè il processo non farà che ripetersi. Un giorno, anche il nuovo FOXDIE inizierà a mutare e diventerà una nuova minaccia. Se riuscirai a vivere così a lungo, ovviamente.

[Snake]: Sto per morire?

[Big Boss]: Tutti muoiono. Non si può impedirlo. Non si può sfuggire a questo. Lascia che ti dica una cosa. Non... non sprecare la vita che ti resta a combattere. Non ho mai pensato a te come a un figlio. Ma ti ho sempre rispettato come soldato. E come uomo. Se in quei tempi fossi stato al posto mio, forse non avresti fatto i miei stessi errori. Da quando ho ucciso The Boss... con le mie stesse mani... sono... morto anch’io. Boss... avevi ragione tu. Non si tratta di cambiare il mondo. Si tratta di fare del nostro meglio per lasciarlo così com’è. Si tratta di rispettare la volontà altrui, e di credere nella propria. Non è per questo che combattevi? Alla fine, capisco il significato di ciò che hai fatto. Alla fine, capisco la verità dietro al tuo coraggio.
È quasi giunta la mia ora. Con me, si estinguerà l’ultimo fuoco di questa guerra inutile. E allora tutte le vecchie sventure scompariranno. Quando la fonte del male tornerà a zero, un nuovo uno... un nuovo futuro... nascerà. Sarà in quel nuovo mondo... che vivrai. Non da serpente. Ma... da uomo. Sappi che... Zero e io... Liquid e Solidus... abbiamo tutti combattuto una lunga e sanguinosa guerra per la libertà. Combattevamo per liberarci da nazioni, sistemi, norme ed epoche. Ma per quanto ci sforzassimo, la sola “libertà” che abbiamo trovato era all’interno, racchiusa dentro quei limiti. The Boss e io avremo anche scelto percorsi diversi, ma, alla fine, siamo rimasti intrappolati entrambi nella stessa gabbia, la “libertà”. A te, però, è stata data la libera scelta. La libertà di stare... fuori. Ora non sei lo strumento di nessuno, il fantoccio di nessuno. Non devi più essere prigioniero del destino. Non sei più un seme di guerra. È ora che guardi il mondo esterno con i tuoi stessi occhi. Il tuo corpo... e la tua anima... ti appartengono. Scordati di noi. Vivi... per te stesso. E... volta pagina. Boss... serve un solo serpente... No, il mondo... starebbe meglio... senza... serpenti.

lunedì 18 maggio 2009

Le donne dei comics - Rei Ayanami

So che vado contro ogni mio principio, non scrivendo niente di mio di questo personaggio dell’opera “Neon Genesis Evangelion”. Non ho voglia di farlo, in questo momento. Lascio la parola al monologo di Rei, consigliando a tutti di vedere l’opera completa, il capolavoro di Hideaki Anno. Un’opera in cui è spiegato l’essere umano.


Montagne.
Montagne imponenti. Cose che mutano in un lungo tempo.
Cielo.
Cielo azzurro. Una cosa visibile agli occhi. Una cosa invisibile agli occhi.
Sole.
Una cosa unica.
Acqua.
Una sensazione piacevole. Il comandante Ikari.
Fiori.
Molte cose uguali. Molte cose inutili.
Cielo.
Rosso. Cielo rosso. Il colore rosso. Odio il colore rosso.
Acqua che scorre.
Sangue.
L’odore del sangue, una donna che non versa sangue. Un essere umano creato dalla Terra rossa. Un essere umano creato da un uomo e da una donna.
Città.
Una cosa creata dall’uomo.
Eva.
Una cosa creata dall’uomo.
Cos’è l’uomo? Una cosa creata da Dio.
L’uomo è una cosa creata dall’uomo.
Le cose che io possiedo sono una vita, uno spirito, la cosa che racchiude lo spirito... l’Entry plug, ovvero... il Trono dell’anima.
Chi è questa?
Questa sono io.
Chi sono io?
Cosa sono io?
Cosa sono io?
Cosa sono io?
Cosa sono io?
Io sono me stessa, questo corpo costituisce il mio essere, la forma che definisce il mio essere, il mio Io visibile, che però non percepisco come il mio io.
Strane impressioni.
Sento come il mio corpo disciogliersi, non riesco a distinguere me stessa, la mia forma va dissolvendosi.
Avverto presenze esterne al mio Io.
C’è qualcuno là fuori, al di là della soglia?
Ikari.
Conosco queste persone: il maggiore Katsuragi, la dottoressa Akagi, altri ragazzi, compagni di classe, il pilota dello 02, il comandante Ikari.
Chi sei tu?
Chi sei tu?
Chi sei tu?

venerdì 15 maggio 2009

Nuvole



Ho appena riletto (e rivisto...) un mio vecchio post ispirato a una scena di “Scrubs”. Il post si intitola, riprendendo una frase dello spezzone inserito come video, “La vita fa paura!”. E non è un caso che mi sia tornato in mente proprio adesso. Oggi, anche a me la vita fa paura. Paura di fare e paura di non fare, paura di aspettare e paura di correre troppo. Paura di parlare e paura di stare zitto. Paura. “Solo gli sciocchi non temono nulla”, è un’altra frase che mi torna in mente, pescata da non so quale cassetto della memoria. Ma se voglio veramente dare un significato a quello che scrivo su queste pagine, mi rendo conto che devo essere io il primo a seguire quei consigli, quei piccoli insegnamenti che dispenso con tanta disinvoltura in momenti tranquilli della vita, e con cui adesso capisco che è pesante fare i conti. Però stranamente sono ancora abbastanza illuso da riuscire a vedere uno spiraglio di luce tra le nuvole che mi circondano in questo momento, assillandomi con dubbi che mi hanno privato nelle ultime notti anche di quelle poche ore di sonno che da anni fatico a racimolare. E anche il vedere questo piccolo bagliore mi fa paura. Paura che sia solo un’illusione momentanea, e che scomparirà presto. Perché il dubbio, nella sua cattiveria, è anche generoso: ti offre la possibilità di sperare. La certezza, invece, è spietata, non lascia scampo. Il dubbio è diventato realtà, e se va bene sarà la realtà che hai sperato, ma se va male soffrirai. Ancora una volta gioco la mia pericolosa partita a scacchi con il mio nemico di sempre, l’incapacità di farmi apprezzare. Dovrei usare un altro verbo (o forse molti altri), ma preferisco non farlo. È già abbastanza dura così. Per adesso, l’unica scelta che sono disposto a fare è attaccarmi a quel sottile filo di speranza, a quella pallida luce che deve trovare la forza di squarciare le tenebre, se non vuole finire inghiottita nel nulla. E non sarà facile. Ma forse, questa è una cosa positiva. Perché in fondo voglio dare ragione al dottor Kelso: “Nella vita le cose che contano non si ottengono mai con facilità”. Questa è una cosa che conta. Almeno per me. Forse l’unica cosa che conta. Voglio che lo sia. E per concludere non posso fare a meno di riportare un’altra citazione che mi è appena tornata in mente, stavolta da un luogo che ricordo dove si trovi: “Non può piovere per sempre”.

mercoledì 13 maggio 2009

Il manoscritto

Alcuni libri vanno presi per quello che sono. Significati, denunce, metafore, seconde letture, sono tutti elementi che contribuiscono a conferire valore ad un romanzo. A volte ci troviamo dentro argomenti su cui riflettere a fondo, altre volte abbiamo il piacere di condividerli con altri, altre ancora sentiamo una profonda necessità che quelle parole vengano lette da quante più persone è possibile perché il messaggio si diffonda. Ma altre volte, li leggiamo e basta. Alcuni libri hanno solo questo come scopo: quello di essere letti. Riempire i vuoti della nostra vita in un modo che sia diverso dalla televisione, dallo sport, dall’ozio. Non hanno pretese, non vogliono trasmettere chissà quali messaggi. Vogliono solo farci passare tempo. “Il manoscritto” è un romanzo di questo tipo. I più fantasiosi, quelli che a tutti i costi vogliono trovare qualcosa scritto tra le righe, potrebbero vederci dentro temi di denuncia contro la corruzione dei vertici del potere americano, o a sostegno della questione razziale dei neri. Si potrebbero tentare voli pindarici sui concetti di una giustizia al di fuori della legge, sull’uso a fin di bene di azioni violente, di ricatti, di omicidi. Ma secondo me sarebbero solo forzature. Credo che l’unico scopo di questo romanzo sia quello di farci trascorre un po’ di tempo a leggere.

Il direttore dell’FBI Hoover possiede degli archivi segreti le cui informazioni, usate senza scrupoli, possono costringere uomini potenti a rivedere o cambiare alcune loro decisioni. Ma Hoover muore in circostanze poco chiare, e gli archivi scompaiono. Subito dopo, inizia una serie di ricatti a persone di alto livello della società americana. Qualcuno vuole mettere le mani sugli archivi, una società segreta composta da membri di altissimo livello che è da decenni impegnata a sostenere la nazione nei suoi momenti di crisi, agendo nell’ombra. Ma come trovare il traditore che si è impossessato degli archivi? È così che entra in scena Peter Chancellor, uno scrittore di romanzi fantapolitici nei quali, partendo da presupposti verosimili, riscrive eventi storici alla luce di complotti segreti. Peter sarà l’esca, con il suo nuovo romanzo, nel quale dovrà far nascere il sospetto che Hoover sia stato ucciso per entrare in possesso dei suoi dossier, per far uscire allo scoperto il traditore. Inizia così il calvario del giovane scrittore segnato da un lutto che non riesce a lasciarsi alle spalle.

Robert Ludlum non dimentica nessuno degli elementi fondamentali del romanzo d’azione: intrighi, sparatorie, segreti inconfessabili, inseguimenti notturni, telefonate misteriose, e tutta una teoria di personaggi che nascondono segreti e ombre nel loro passato. Difficile capire dove finisce la verità e inizia la menzogna, quando il limite tra la fantasia del romanzo di Peter e gli avvenimenti della realtà si fa sempre più impalpabile. Colpi di scena si succedono uno dopo l’altro, tenendo il lettore incollato alle pagine. E pazienza se alla fine del romanzo non abbiamo scoperto il senso della vita, almeno abbiamo passato qualche ora a leggere spensieratamente.

venerdì 1 maggio 2009

"We are fools to make war..."

Un amico mi ha passato l’intera discografia dei Dire Straits e, mentre riordinavo i files e li raggruppavo nelle cartelle, ho deciso di riascoltare l’album che me li fece conoscere ed apprezzare. Era il “The very best of Sultans of swing”, e insieme a canzoni come quella che dà il titolo all’album, a “Lady writer”, a “Romeo and Juliet”, c’era anche “Brothers in arms”. Ricordo che la prima volta che la ascoltai ne fui talmente colpito che andai letteralmente a studiarmi il testo (per quanto io mastichi un po’ di inglese non è facile capire tutto di una canzone). In particolare, mi aveva colpito proprio il verso che ho scelto come titolo di questo post, uno dei pochi che avevo capito già al primo ascolto. La parola “fools” è stata quella che mi si è conficcata nella testa peggio di una lama di coltello. Stupidi. “Siamo stupidi a fare la guerra ai nostri fratelli in armi”. Non mi sento di tradurre altro. La musica non conosce lingua, è una lingua a parte, e le parole sono musica in questa canzone. Per questo voglio invitare tutti quelli che passano di qui ad ascoltarla con molta attenzione. Smettete di fare quello che state facendo per appena quattro minuti e cinquantacinque secondi della vostra vita e lasciate che questa melodia vi susciti qualcosa dentro. E vorrei tanto che ad ascoltarla ci fossero anche i nostri signori della guerra, di cui non voglio scrivere i nomi per non sporcare questa seppur misera pagina con un elenco fin troppo lungo per essere tollerabile. Perché credo che, se parliamo di guerra, tutti noi sei miliardi e rotti di persone che sconsideratamente ci ostiniamo ad abitare questo pianeta possiamo definirci semplicemente “fools”.


Dire Straits – Brothers in arms – 1985

These mists covered mountains
are a home now for me
but my home is the lowlands
and always will be
some day you’ll return to
your valleys and your farms
and you’ll no longer burn to be brothers in arms.

Through these fields of destruction
baptismus of fire
I’ve watched all your suffering
as the battles raged higher
and though they did hurt me so bad
in the fear and alarm
you did not desert me my brothers in arms.

There’s so many different worlds
so many different suns
and we have just one world
but we live in different ones.

Now the sun’s gone to hell
and the moon’s rising high
let me bid you farewell
every man has to die.
But it’s written in the starlight
and every line on your palm
we are fools to make war
on our brothers in arms.