mercoledì 25 giugno 2008

Testa di cane

Un acquisto dettato da quella passione per le saghe familiari di cui ho già detto più volte in precedenti post. Non avevo idea di chi fosse Morten Ramsland, ma ho scoperto che in Danimarca, il suo paese natale, riscuote un certo successo, al punto che con questo romanzo si è aggiudicato il premio “Alloro d’oro”, assegnato dai librai danesi al miglior romanzo dell’anno. Ma questo importa poco. Di tutti gli autori che amo, nessuno mi era noto prima di acquistare il primo libro. È stato così per Vonnegut, Starnone, Coe, Homes. Tutti illustri sconosciuti, per me, fino a quando non ho comprato un loro libro per la prima volta, e mi sono innamorato della loro scrittura. Quando vedo un libro nuovo di un autore che conosco, se mi è piaciuto quello che ho già letto, allora compro anche il nuovo, ma il non conoscere nulla di un autore non è affatto un deterrente, anzi stimola molto la mia curiosità. Titolo, copertina e risvolto fanno il resto, e in poco tempo mi ritrovo a posizionare sulla mensola romanzi come “Testa di cane”.

Al capezzale della nonna, Asger Eriksson si trova a ricostruire la storia della sua famiglia. Purtroppo per lui, i parenti non si scelgono, e quelli che gli sono toccati in sorte non sono esattamente dei modelli di virtù. Ubriaconi, giocatori d’azzardo, contrabbandieri, teppisti: c’è un po’ di tutto nella famiglia Eriksson, la cui storia comincia con Asklid, capostipite sopravvissuto ad un campo di concentramento nazista, ingegnere navale con un animo votato al commercio illecito, che scandisce la sua vita tra una bettola e un cantiere. Accanto a lui c’è nonna Bjørk, memoria storica della famiglia, custode di segreti che a nessuno è dato conoscere, ma anche piuttosto bizzarra, se si pensa che colleziona barattoli di vetro contenenti ‘aria fresca di Bergen’, come indicano le etichette. I tre figli non possono essere da meno: il maggiore, Knut, ha l’animo del pirata, ed è dedito come il padre alla bottiglia più che al lavoro, poi c’è la femmina, Anne Katrine, sovrappeso, cardiopatica e francamente inutile, e infine Niels, che essendo stato partorito in una latrina, impiega praticamente tutta la vita a cercare di tirarsene fuori. Poi c’è Asger, l’io narrante della storia, che ricuce insieme i frammenti di un’epopea attraverso i paesaggi del Nord Europa, per trovare una risposta alla sua ossessione: la fobia delle cantine. Laggiù, nascosto nel buio, c’è Testa di cane, un mostro terribile che lo aspetta, appostato nei recessi della sua memoria e pronto a saltare fuori.

Romanzo molto bello e intenso in alcuni passi, ironico al limite del grottesco in altri, profondo e romantico in altri ancora. Quello in cui Ramsland eccelle, a mio parere, è la caratterizzazione dei personaggi, tutti bizzarri al limite dell’inverosimile, ma in qualche modo tremendamente reali. Spero in futuro di avere altre occasioni per leggere sue nuove opere. Se queste sono le premesse, ci sarà da divertirsi.

In memoria 47 - Ipocriti

Laggiù trovammo una gente dipinta,
che giva intorno assai con lenti passi,
piangendo e nel sembiante stanca a vinta.
Egli avean cappe con cappucci bassi
dinanzi agli occhi, fatte della taglia
che per li monaci in Cologna fassi.
Di fuor dorate son, sì ch’egli abbaglia;
ma dentro tutte piombo, e gravi tanto
che Federigo le mettea di paglia.
O in eterno faticoso manto!
Noi ci volgemmo ancor pure a man manca
con loro insieme, intenti al tristo pianto.
Ma per lo peso quella gente stanca
venia sì pian, che noi eravam nuovi
di compagnia ad ogni mover d’anca.

Inferno, canto XXIII versi 58-72

sabato 21 giugno 2008

Batman - The Brave and the Bold

Non può esserci nostalgia in quello che scrivo questa volta, perché sono troppo piccolo per aver letto queste storie quando fecero la loro comparsa nelle edicole. Però mi sono un po’ documentato. The Brave and the Bold (come ho già accennato in un post precedente) era una testata contenitore che esordiva addirittura nel 1955 (per la cronaca, due anni prima che nascesse mia madre...), ma per i primi anni aveva una impostazione un po’ diversa da quella che la caratterizzò in seguito. In quel periodo, il fumetto di supereroi non si era ancora ripreso dalla batosta della seconda guerra mondiale, e le storie che erano contenute nella testata raccontavano di guerrieri fantastici che vivevano le loro avventure in luoghi e tempi remoti. All’inizio degli anni Sessanta, la testata cambia registro, e compaiono personaggi come Flash, Hawkman e i componenti della Squadra suicida. Ancora qualche anno, e la dirigenza decide di accogliere una richiesta dei lettori, introducendo storie team-up, cioè in cui due personaggi, di solito solitari, si uniscono per affrontare una minaccia comune. Sul finire degli anni Sessanta, a farla da padrone in quanto a popolarità era Batman, che grazie alla notorietà raggiunta dalla serie televisiva di Adam West, compariva in tutte le testate, ed era perfetto per il ruolo di protagonista fisso dei team-up di The Brave and the Bold. È proprio in quegli anni che vengono prodotte le magnifiche versioni di Batman ad opera di Neal Adams prima e Nick Cardy poi, anche se il premio come disegnatore più longevo dell’uomo pipistrello spetta sicuramente a Jim Aparo, che ne disegnò le avventure su questa testata dal 1971 al 1983, anno in cui fu chiusa.

Quando ho saputo che sarebbe uscita una serie di volumi con la ristampa di questo ciclo di storie, non ho saputo resistere. Dovevo cogliere l’occasione di leggere le storie di cui molti appassionati più grandetti di me mi avevano parlato. E devo dire che non mi pento di averlo fatto. Ho avuto l’opportunità di leggere storie a fumetti completamente diverse da quelle a cui sono abituato. Non tanto per le impostazioni delle tavole o per il gergo narrativo, entrambi molto diversi da quelli di oggi. Più che altro, è l’intenzione che sta dietro a quelle storie che mi ha sorpreso. Sono abituato a vedere Batman come un eroe tetro e oscuro, avvezzo a nascondersi nelle ombre notturne di Gotham city, o a passare interi giorni rinchiuso nella sua caverna. In quelle storie, invece, anche se mantiene un profilo piuttosto gotico, ho scoperto un Batman che si muove anche alla luce del sole, che si rivolge alle autorità, che viene considerato un’istituzione non solo nella sua città, ma a livello internazionale. Devo dire che, se devo scegliere tra i due, preferisco il Batman più moderno, ma anche l’altro ha un suo fascino. Non so se la mia opinione è corretta, ma credo che quello degli anni Settanta rispondesse ad un desiderio di divertimento del pubblico, che quando leggeva un fumetto non voleva trovarsi davanti gli orrori della vita quotidiana, ma semplicemente rilassarsi e godersi qualche ora in compagnia di avventure in cui l’eroe vinceva sempre, in cui non c’erano tragedie. E per quello scopo, quelle storie erano perfette.

In memoria 46 - L'amore di Virgilio

Lo duca mio subito mi prese
come la madre ch’a romore è desta,
e vede presso a sé le fiamme accese,
che prende il figlio e fugge e non s’arresta,
avendo più di lui che di sé cura,
tanto che solo una camicia vesta;
e giù dal colle della ripa dura
supin si diede alla pendente roccia,
che l’un de lati all’altra bolgia tura.

Inferno, canto XXIII versi 37-45

giovedì 19 giugno 2008

Magic people

Gente magica. Siamo proprio noi, gli Italiani di questo inizio di millennio. Ma magici perché? Giuseppe Montesano mostra un animo da architetto. In questo romanzo, costruisce un condominio. Quanti piani? Quanti appartamenti? Quanti abitanti? Impossibile dirlo. Potrebbe essere un piccolo condominio alla periferia della sua Napoli, in una di quelle strade in cui oggi è difficile scorgere il colore dell’asfalto. Potrebbe essere un’intera megalopoli, più grande di qualsiasi città costruita sulla Terra. Dalle caldaie agli attici, non ci è dato sapere quanto esteso sia questo labirinto di corridoi e scale. Ma ancora più intricate, se possibile, sono le vite delle persone che ci abitano. Ci sono tutti: giovani e vecchi, professionisti e impiegati, delinquenti e brava gente. Tutti in bilico sull’orlo di un’esistenza fittizia. È questa la magia della gente. Quell’arcana arte che solo noi Italiani conosciamo. Non ho esperienza di altri popoli, forse succede così dappertutto. Però temo di no. Di quale arte sto parlando? Ma è semplice: di quella dell’onorare il superfluo. Rubando un’aforisma al più eccentrico rappresentante della letteratura inglese, il romanzo è testimonianza che “nulla è più necessario del superfluo”. Noi Italiani siamo maestri in questo. Attacchiamo i fili della luce alla linea diretta senza avere il contatore, e poi abbiamo in tasca tre cellulari. Non riusciamo a pagare la bolletta del gas, ma abbiamo in casa quattro televisori tutti sintonizzati sullo stesso tizio che smorfia i numeri del lotto. Mi viene in mente un aneddoto che raccontava spesso mio nonno. Nei primi anni Cinquanta, ad Augusta, si trova dal benzinaio a fare il pieno. Arriva un tizio con un macchinone tirato a lucido, scende e ordina cento lire di benzina. A quei tempi, in litro costava centosei lire. Mio nonno, con il suo catorcio di seconda mano, mette mille lire. Quando il tizio se ne va, il benzinaio dice: “Ogni giorno fa la stessa cosa: esce dal garage, viene qui, mette cento lire, poi fa il giro del paese e ritorna dentro il garage. Ogni giorno”. Ecco che cosa siamo, gente che preferisce avere un macchinone da far vedere agli altri anche se poi non ha i soldi per metterci la benzina. Montesano ha perfettamente ragione: non siamo altro che piccoli mostri drogati dal sogno del denaro, che vivono prigionieri di una libertà confinata nello schermo del televisore, una libertà finta in cui si annichiliscono desideri, passioni, amori. Tanto, per amare, ci basta dire ‘Tre metri sopra il cielo’. A nulla servono gli sbalordimenti dell’io narrante. A nulla serve la sua speranza di rinascita. Per quanto lui se lo auguri, gli abitanti del Magic people non si risveglieranno mai.

In memoria 45 - Ciampòlo di Navarra

E io: “Maestro mio, fa’, se tu puoi,
che tu sappi chi è lo sciagurato
venuto a man degli avversari suoi.”
Lo duca mio gli s’accostò allato;
domandollo ond’ei fosse, e quei rispose:
“Io fui del regno di Navarra nato.
Mia madre a servo d’un signor mi puose,
che m’avea generato d’un ribaldo,
distruggitor di sé e di sue cose.
Poi fui famiglio del buon re Tebaldo;
quivi mi misi a far baratteria,
di che rendo ragione in questo caldo.”

Inferno, canto XXII versi 43-54

martedì 17 giugno 2008

Le donne dei comics - Myriam Leclair

Stavolta non parlo di un personaggio dei fumetti americani, quindi forse nel titolo dovevo sostituire la parola ‘comics’ con ‘fumetti’, ma non l’ho fatto volutamente per la continuità della serie. Myriam Leclair è un personaggio piuttosto giovane, editorialmente parlando, può vantare poco meno di dieci anni di vita, essendo apparsa per la prima volta su Jonathan Steele n° 3 del giugno 1999. eppure è un personaggio interessante.

A prima vista potrebbe sembrare la classica tettona un po’ stupida e vanesia che serve solo per bellezza nelle storie di un fumetto d’azione, un po’ come sono le svariate donnine che sfilano sulle pagine di Dylan Dog, le quali, salvo rare eccezioni, riducono il loro essere alle sole curve. Invece Myriam ha una sua personalità molto accentuata e complessa. Per vicende strettamente editoriali, esistono due serie di Jonathan Steele, la prima delle quali ha chiuso circa quattro anni fa, per dare origine dopo un po’ di pausa alla seconda. Nelle due serie, i personaggi sono caratterizzati in maniera leggermente diversa, pur mantenendo una certa somiglianza, ma Myriam è certamente quella le cui vicende si sono maggiormente arricchite nel corso della seconda serie. Se durante la prima era solamente la principessa del popolo fatato, ma senza un vero regno né una stirpe che ne condividesse il destino, adesso il suo ruolo ha assunto una concretezza più rilevante, particolarmente nei profondi contrasti con sua madre, la regina in carica. Oltre a questo, Myriam ha un ruolo molto più partecipativo nella Agenzia incantesimi in cui lavora con Jasmine, per un certo periodo ha vissuto in una dimensione oscura diventando la regina dei demoni, e adesso è alla ricerca di un equilibrio e una stabilità che la sua vita continua a negarle. In tutto questo, l’unica cosa su cui può contare è la sua relazione con Jonathan, di cui è molto innamorata. Questa relazione, piuttosto tormentata in alcuni momenti, è l’unica cosa veramente ripresa dalla prima serie, ed è un elemento molto interessante, in quanto nella coppia lei non è certo la classica bella al fianco dell’eroe, come ci si potrebbe aspettare, ma ha un ruolo molto importante nel guidare le scelte di lui, contribuendo spesso a mitigare quel lato violento e selvaggio che fa parte di Jonathan ed è un retaggio della sua infanzia e della vita che ha condotto prima di incontrare le sue ragazze con cui adesso lavora.

In definitiva, c’è molto più che un paio di grandi tette in questo personaggio dal carattere esuberante e dai modi stravaganti, ma che nascondono dei sentimenti molto intensi e a volte commoventi. Senza contare che, se anche l’occhio vuole la sua parte, con Myriam è davvero un bel vedere!

In memoria 44 - Barattieri e Imbroglioni

Noi andavam con li diece demoni;
Ahi, fiera compagnia! Ma nella chiesa
co’ santi, e in taverna co’ ghiottoni.
Pure alla pegola era alla mia intesa,
per veder della bolgia ogni contegno
e della gente ch’entro v’era incensa.
Come i delfini, quando fanno segno
ai marinar con l’arco della schiena,
che s’argomentin di campar loro legno;
talor così, ad alleggiar la pena,
mostrava alcun dei peccatori il dorso,
e nascondeva in men che non balena.
E come all’orlo dell’acqua d’un fosso
stanno i ranocchi pur col muso fuori,
sì che celano i piedi e l’altro grosso;
sì stavan d’ogni parte i peccatori;
ma come s’appressava Barbariccia,
così si ritraevan sotto i bollori.

Inferno, canto XXII versi 13-30

domenica 15 giugno 2008

Passeggiate e sorrisi

Sembravano quasi due compagni di scuola che non si vedevano da tanto tempo e che approfittano di un pomeriggio di giugno per fare due passi e raccontarsi vecchi aneddoti. Invece erano proprio Gorge e Joseph. Quei Gorge e Joseph. Il presidente degli Stati Uniti d’America e il leader della Chiesa cattolica nel mondo. Quando ho saputo che Bush, in questa sua ultima visita presidenziale ai capi di stato europei, sarebbe stato ospite anche del Vaticano, mi sono subito incuriosito. Chissà di che parleranno, mi sono chiesto. Roba seria, di sicuro. Leggendo il giornale ho appreso quali sono stati gli argomenti di conversazione. Small talk, le chiamano gli anglosassoni, chiacchiere leggere. Nessuno ha detto una parola sull’eventualità di un attacco militare all’Iran. E dire che i vescovi cattolici di tutto il Medio Oriente si sono più volte detti terrorizzati dalle possibili conseguenze di questo evento. Invece, questo papa ha deciso di tenersi piuttosto distante dalle scacchiere geopolitiche, cosa che tra l’altro lo rende molto simpatico a Bush. E pensare che fino a pochi anni fa quell’altro tizio sempre vestito di bianco, riferendosi a Bush, proclamava che chi sceglie la guerra ne risponderà “di fronte a Dio, alla sua coscienza e alla storia”. Forse perché lui sapeva cosa succede quando soldati stranieri vengono a fare una visitina nel tuo paese. Ora, passi per gli ultimi due confronti, che il presidente deve essere convinto di vincere a testa bassa, ma vedersela col grande capo in persona non deve essere roba da nulla, per uno che ci crede, come lui stesso si dichiara. Tra l’altro, non credo che potrà portarsi i suoi marines, quando lo incontrerà.
La passeggiata continua. Sono giusto due o tre le frasi scambiate sui rapporti USA – Europa, sul processo di pace in Terrasanta, sulla globalizzazione, sulla crisi alimentare, sul commercio internazionale. Eppure, Ratzinger trova il tempo per lodare l’impegno del presidente “in difesa dei valori morali fondamentali”. Poco dopo, arriva la limousine che porterà via Bush e consorte, salutati da un amichevole ciao ciao con la manina dal buon papa. In fondo, non c’era tempo per parlare d’altro.
Però due parole in più me le sarei aspettate. Posso anche accettare che quella della guerra non sia una questione di primaria importanza per questo papa. In fondo, tra i suoi tanti anatemi contro i mali di questa società, non l’ho mai sentito sgolarsi contro questa piaga. Però è strano sentir parlare di valori morali fondamentali e non dire neanche una parola su quella strana usanza che il governo degli Stati Uniti continua a perpetrare. Non che la mia opinione su Ratzinger sarebbe cambiata, ma mi avrebbe piacevolmente sorpreso sentire due paroline sulla pena di morte. C’era anche l’uomo giusto: il Texas è lo stato con il più alto numero di esecuzioni capitali all’anno. Addirittura (ma di questo non sono sicurissimo) credo sia uno dei pochissimi che prevede ancora come mezzo di morte la camera a gas. È quantomeno curioso (dal punto di vista storico, almeno) che un tedesco non si interessi di gas. Come dicevo, mi avrebbe piacevolmente stupito. Ma figuriamoci se Ratzinger si perdeva un’occasione per ribadire la sua ipocrisia. Sarei curioso di sapere in che modo la pena di morte va bene e l’aborto no. Ma temo sia un dubbio destinato a non avere mai una risposta.

giovedì 12 giugno 2008

In memoria 43 - Il lago di pece

Tal, non per foco, ma per divina arte,
bollia laggiuso una pegola spessa,
che invescava la ripa d’ogni parte.
Io vedea lei, ma non vedea in essa
ma’ che le bolle che il bollor levava,
e gonfiar tutta e riseder compressa.
Mentr’io laggiù fisamente mirava,
lo duca mio, dicendo “Guarda, guarda”,
mi trasse a sé del loco dov’io stava.
Allor mi volsi come l’uom cui tarda
di veder quel che gli convien fuggire,
e cui paura subita sgagliarda,
che, per veder, non indugia il partire;
e vidi dietro a noi un diavol nero
correndo su per lo scoglio venire.
Ahi, quanto egli era nell’aspetto fiero!
E quanto mi parea nell’atto acerbo,
con l’ali aperte e sovra i piè leggiero!
L’omero suo, ch’era acuto e superbo,
carcava un peccator con ambo l’anche,
e quei tenea de’ piè sghemito il nerbo.

Inferno, canto XXI versi 16-36

La pioggia prima che cada

Ho letto solo altri due libri di Jonathan Coe prima di questo, “La banda dei brocchi”, e il suo seguito “Circolo chiuso”. Se c’è una cosa in cui Coe è maestro, è nell’intrecciare le vite. Questi due libri infatti non sono altro che il dipanarsi delle vite dei quattro protagonisti, il primo all’epoca dell’adolescenza, negli anni Settanta, il secondo nella maturità, all’inizio del nuovo millennio. Con “La pioggia prima che cada”, Coe cambia personaggi, e riesce brillantemente in quella che secondo me è la prova più difficile per chi scrive: avere come protagonisti del romanzo personaggi di sesso opposto al proprio. In effetti, nella storia della letteratura, non credo siano molti gli esempi di questo tipo. Non parlo dei romanzi in cui c’è il famoso narratore esterno e onnisciente, che illustra le vicende all’ipotetico lettore, senza entrare in contatto con i personaggi, ma di romanzi in cui l’autore non è solo narratore, ma anche addentrato nella vicenda, fino a diventare a volte io narrante. Un esempio di questo tipo è certamente “Madame Bovary”, della quale Gustave Flaubert aveva sempre detto essere la sua stessa rappresentazione. Più di recente, potrei ricordare le avventure di Sugar scritte da Michael Faber (ne parlerò, un giorno, prima o poi), o le emozioni di Timoteo create da Margaret Mazzantini. Però in entrambi questi esempi ci sono altri personaggi nella storia, nei quali lo scrittore potrebbe identificarsi meglio. Per Coe questo discorso non può valere. Come per l’autore francese, potremmo dire che Coe è il suo stesso personaggio, Rosamond, con gli occhi della quale ripercorre intere vite, per tre generazioni, di donne.

La zia Rosamond muore nella sua casa, in una contea inglese, dopo aver finito di registrare dei nastri e di guardare vecchie foto. Sua nipote Gill trova anche una busta con dentro le cassette, un messaggio, una bottiglia di whisky quasi finita e un flacone di diazepam vuoto del tutto. Forse la zia si è uccisa? Si scoprirà alla fine, ma poco importa. Le sorprese arrivano all’apertura del testamento, quando si scopre che oltre ai due nipoti, Gill e David, c’è una terza erede, Imogen. Chi è Imogen? Dove vive? Perché spunta fuori all’improvviso nella vita della zia? Le risposte sono in quei nastri, che Gill ascolterà insieme alle figlie, su indicazione della stessa Rosamnod, per scoprire la verità sulla sua famiglia. E scoprirà come quella che poteva sembrare una famiglia comune, nasconde invece segreti a volte anche spaventosi.

Scandito dalla descrizione delle venti fotografie scelte da Rosamond per raccontare la sua vita, il romanzo esplora tutti i recessi dell’esistenza di tre generazioni di donne, ognuna con le proprie passioni, i propri sogni, i propri amori e le proprie follie. Ma non c’è solo il racconto di come il destino intrecci le vite degli uomini anche a centinai di chilometri di distanza. Coe non esita a trattare temi come il conflitto generazionale, i matrimoni d’interesse o di convenienza, l’anaffettività materna e l’adozione per le coppie omosessuali, e lo fa a volte con spietata crudezza, altre volte con un candore e una delicatezza che fanno dimenticare qualunque dramma.

“Per questo hai l’aria triste?” si sentì in dovere di chiedere. Rebecca si girò. “Chi, io? No, non mi dispiace la pioggia estiva. Anzi, mi piace. È il tipo che preferisco”. “Il tuo tipo di pioggia preferito?” disse Thea. Ricordo che aveva la fronte aggrottata, mentre rifletteva su queste parole. Poi annunciò: “Bé, a me piace la pioggia prima che cada”. Rebecca sorrise della trovata, mai io (in modo molto pedante, suppongo) dissi: “Però prima che cada non è proprio pioggia, tesoro”. “E allora cos’è?” disse Thea. E io spiegai: “È solo umidità, umidità delle nuvole”. Thea abbassò gli occhi e si concentrò, ancora una volta, a scegliere i ciottoli sulla spiaggia: ne raccolse due e prese a batterli uno contro l’altro. Il suono sembrava darle piacere. Non mi arresi: “Sai, Thea, non esiste una cosa come la pioggia prima che cada. Deve cadere, altrimenti non è poggia”. Era un principio stupido su cui insistere con una bambina, e mi pentii di aver cominciato. Ma Thea sembrava non avere nessuna difficoltà ad afferrarlo, semmai il contrario – perché dopo qualche minuto mi guardò e scosse la testa con aria di commiserazione, come se stesse mettendo a dura prova la sua pazienza dover discutere di questioni del genere con una ritardata. “Certo che non esiste una cosa così”, disse, “è proprio per questo che è la mia preferita. Qualcosa può ben farti felice, no? Anche se non è reale”. Poi corse verso l’acqua, con un gran sorriso, felice che la sua logica avesse riportato una vittoria così sfacciata.

lunedì 9 giugno 2008

In memoria 42 - Tiresia

“Mira che ha fatto petto delle spalle:
perché volle veder troppo davante,
diretro guarda e fa ritroso calle.
Vedi Tiresia che mutò sembiante
quando di maschio femmina divenne,
cangiandosi le membra tutte quante;
e prima, poi ribatter gli convenne
li due serpenti avvolti, con la verga,
che riavesse le maschili penne.”

Inferno, canto XX versi 37-45

Il fascino del male - Mr. Freeze

Di tutti i personaggi che sono abituali ospiti dei confortevoli alloggi dell’Arkham asylum, Mister Freeze è forse quello che suscita più solidarietà. Per quante volte le sue origini siano state rielaborate, rimane sempre un elemento di innegabile sfortuna che le caratterizza. Nella sua prima apparizione, Victor Fries, che allora si faceva chiamare Mister Zero, veniva a contatto con un fluido congelante sul quale stava lavorando, che lo rendeva intollerante a qualsiasi temperatura superiore allo zero, costringendolo a vivere in luoghi freddi e isolati dal resto del mondo. In un primo tempo, il personaggio si limitava a perfezionare le sue attrezzature per renderle ideali per commettere crimini, ma in tempi successivi si arricchì di sfaccettature psicologiche piuttosto intense. In particolare, un importante senso di solitudine comincia a impregnarlo fortemente, essendo a causa del suo incidente costretto a vivere isolato da ogni altro essere, senza poter conoscere (letteralmente) le sensazioni che è capace di dare il calore umano. In Mister Freeze, quindi, si fa un profondo accostamento tra il gelo in senso fisico del suo corpo e delle sue armi, con il gelo che imprigiona irrimediabilmente la sua anima. Al punto che, sebbene il denaro e le ricchezze rappresentano spesso il movente dei suoi crimini, quello che poi emerge è il desiderio di manifestare tutto il suo gelo interiore. Proprio per questo, Mister Freeze non ha nessuna esitazione a uccidere poliziotti, impiegati di banche e addirittura ignari passanti con al sua arma congelante, senza esternare la benché minima esitazione. “Sono un assassino a sangue molto freddo!”, come ama ribadire lui stesso al suo arcinemico per eccellenza, Batman.

La sua rivalità e il suo odio per il cavaliere oscuro si acuiscono quando, nella ennesima rielaborazione delle sue origini, viene introdotto un ulteriore elemento di afflizione: Nora. Segnato da un’infanzia difficile e da un’adolescenza vissuta nel completo isolamento e nel disprezzo di chi lo circondava, il giovane Victor incontra Nora, bellissima pattinatrice, che per la prima volta nella sua vita gli dimostra un affetto sincero, che in breve si trasforma in amore. Ma come spesso accade, quando nella vita si intravede uno spiraglio di serenità, la sorte si prodiga a spezzarlo. Un male incurabile condanna Nora a morte certa, e suo marito, forte dei suoi esperimenti sulla criogenesi, decide di ibernarla per trovare una cura e riportarla in vita. Purtroppo, in uno scontro con Batman, la capsula in cui la donna era contenuta va in frantumi, spezzandosi così per sempre ogni speranza di Fries di riabbracciarla. Da allora, il desiderio di vendetta nei confronti di Batman e dell’intera Gotham city sarà un elemento costante nelle storie di questo personaggio.

Ma anche Mister Freeze, come molti altri supercriminali gotamiti, ha una sua funzione nelle storie di Batman. Nel contrastare la sua gelida personalità, la sua fredda spietatezza, possiamo cogliere nel cavaliere oscuro quel qualcosa che spesso manca nelle sue storie: l’ottimismo. Una certa dose di ironia è presente nei suoi scontri con il maestro del gelo, colui che si vanta di aver annullato dalla sua anima qualunque emozione. Così, laddove a volte non riesce ad arrivare la paura, l’arma prediletta del pipistrello, in certi casi arriva un sorrisetto beffardo e sornione.

Aspetto che lui, con la sua solita superiorità morale, faccia dei commenti... sull’empietà dell’alleanza che abbiamo stretto lì sotto. Aspetto. E aspetto.
“Che tu sia dannato, detective! Di che cosa ridi?”
“È una magnifica giornata estiva, Victor. E non c’è niente che tu possa farci.”

venerdì 6 giugno 2008

In memoria 41 - Maghi e Indovini

Io era già disposto tutto quanto
a riguardar nello scoperto fondo,
che si bagnava d’angoscioso pianto;
e vidi gente per lo vallon tondo,
venir, tacendo e lagrimando, al passo
che fanno le letane in questo mondo.
Come il viso mi scese in lor più basso,
mirabilmente apparve esser travolto
ciascun tra ‘l mento e ‘l principio del casso;
chè dalle reni era tornato il volto
e indietro venir gli convenia,
perché il veder dinanzi era loro tolto.

Inferno, canto XX versi 4-15

The Brave and the Bold

Il titolo forse farà vanire i lucciconi a quanti hanno sulle spalle abbastanza anni da ricordarsi che cosa rappresentava questa testata negli anni dal 1955 al 1983. personalmente, avevo solo un anno quando la testata fu chiusa, il mio repertorio linguistico consisteva di circa venti parole e purtroppo non avevo ancora familiarità col mondo dei fumetti. Mark Waid e Gorge Perez, invece, se la ricordano alla perfezione. Da quanto ho saputo da persone che a quei tempi c’erano, The Brave and the Bold era una collana antologica che racchiudeva tutto quello che di supereroistico passava nell’universo DC. Ha ospitato storie della Lega della Giustizia d’America e dei Titani, tra gli altri, ma negli anni Sessanta, sulla scia del successo della sua serie televisiva, a farla da padrone fu Batman. La testata cominciò a ospitare storie team-up, cioè quelle in cui due supereroi, che normalmente agivano da soli, si trovavano coinvolti insieme in un’avventura. In particolare, grazie alla popolarità raggiunta da Adam West, uno dei due era quasi sempre Batman, che si affiancava ad eroi come Lanterna verde, Flash e tanti altri. Purtroppo, nei primi anni Ottanta, forse a causa di un calo di vendite, forse per un cambiamento nella concezione delle storie dei supereroi, la testata chiuse i battenti. The Brave and the Bold nasceva con un unico scopo: quello di far divertire i lettori, regalando loro momenti di spensieratezza ed eroi nei quali rappresentarsi. E forse (ma questa è solo una mia elucubrazione) dovette chiudere quando dalle storie dei supereroi si cominciò a pretendere di più. Era il periodo in cui alla Marvel i personaggi affrontavano dilemmi etici e battaglie sociali, e anche gli eroi DC si vedevano coinvolti in storie dal retrogusto ‘impegnato’, in cui il messaggio profondo e didattico doveva non più affiancare, ma spesso sostituire, le avventure spettacolari e le storie impossibili.

Oggi, The Brave and the Bold risorge dalle sue ceneri, per mano di due che i fumetti in generale, e i supereroi DC in particolare, li conoscono molto bene: Mark Waid è praticamente un’enciclopedia vivente del DC universe, Gorge Perez è considerato da molti il miglior disegnatore di supereroi. “Crisi infinita” ha avuto molti difetti, ma, almeno ai miei occhi, un grande pregio le va riconosciuto: ha riportato l’attenzione sull’universo DC, che per parecchi anni, almeno qui in Italia, aveva vissuto molto nell’ombra, sia perché offuscata dalla più commerciale e accessibile Marvel comics, sia perché vessata da scelte editoriali pessime. Da poco più di un anno a questa parte, proprio grazie alla pubblicazione di “Crisi infinita” e di tutto quello che ha comportato, l’universo DC riappare di nuovo nelle nostre edicole e fumetterie, e tornano a vedersi cose come The Brave and the Bold. Sulla storia in sé non voglio spendere neanche una parola, vale la pena leggerla e gustarsela come ho fatto io, in una domenica pomeriggio di sole primaverile, nel silenzio della campagna. “I signori della fortuna” (il titolo di questo primo volume) è un invito ad addentrarsi in una vetrina di personaggi accattivanti e divertenti, che mantengono le loro caratteristiche individuali pur vivendo un’avventura collettiva. Un modo per conoscere (e, per chi ha qualche anno in più, per riconoscere) personaggi come Batman, Lanterna verde, Supergirl, Blue beatle, Lobo, Adam Strange e la Legione dei supereroi. Inoltre, come lo stesso Mark Waid ci fa notare nelle note conclusive, la storia è tutta disseminata di citazioni e omaggi ai bei tempi che furono della DC e dei suoi personaggi, che i veri cultori non potranno non riconoscere e apprezzare.

Una lettura piacevole e rilassata, quindi, di quelle che ogni tanto ci vogliono per staccare la mente da polemiche sociali e scontri culturali, che certamente hanno un loro valore, ma che a lungo andare diventano un po’ pesanti. Perché un bel fumetto deve sì raccontare una storia intensa, deve sì trasmettere dei valori, ma deve farlo rendendo piacevole il tempo che si trascorre a leggerlo.

mercoledì 4 giugno 2008

In memoria 40 - L'eredità di Costantino

Fatto vi avete Dio d’oro e d’argento:
e che altro è da voi all’idolatre,
se non ch’elli uno, e voi n’orate cento?
Ahi, Costantin di quanto mal fu matre,
non la tua conversion, ma quella dote
che da te prese il primo ricco patre!”

Inferno, canto XIX versi 112-117

Il viaggiatore notturno

È uno di quei libro comprati senza tanta voglia di farlo, perché avevo un buono sconto nella mia libreria di fiducia e presi due libri che forse, dovendoli pagare, non avrei mai comprato. È anche uno di quelli letti senza troppa voglia di farlo, perché da un po’ stava sopra la mensola insieme agli altri e un giorno, quando stavo per finirne uno, decisi di non correre a comprarne uno nuovo e di leggere questo. È uno di quei libri che mentre lo leggi ti piace, ma che alla fine non ti lascia dentro una gran memoria di sé. Ci sono libri di cui ricordo a memoria non solo frasi ma interi paragrafi, altri di cui saprei ritrovarne un capitolo che mi interessa solo sfogliandoli, anche se sono passati anni da quando li ho letti. Purtroppo, per questo non è così. Eppure è un bel libro. Lo tengo in mano mentre scrivo, e ricordo per sommi capi quello di cui parla. Ma quando leggiamo un libro, anche noi veniamo letti da questo. Letti nei nostri pensieri, nelle nostre emozioni, nei nostri stati d’animo. E in quel periodo dovevo avere altro per la testa, la lettura era forse solo un modo per impiegare il tempo morto dei tragitti in treno da Palermo a Cefalù e viceversa. Per questo, credo, mi è rimasto poco niente di lui.

“Il viaggiatore notturno” è una storia di parole. Un esperto di migrazioni si siede la notte sul petto del mondo, il deserto del Sahara, e parla. Aspettando che delle rondini gli passino davanti, ricorda altri viaggi, altri personaggi, altre migrazioni. Non sono le persone a migrare, o gli animali, non nel senso profondo del termine. È la parola, la cultura, la tradizione, che migra di persona in persona, di luogo in luogo, attraverso il pensiero di chi racconta quelle storie. In un luogo di infinita bellezza, in mezzo a un popolo di infinita saggezza, il protagonista ritrae un mondo che si autodistrugge nella guerra, attraverso uomini e donne che in questo mondo vivono e che spesso lo subiscono. Lui stesso si scopre l’unico ad essere in grado di rendere giustizia a quei personaggi, a quelle storie, destinati altrimenti a perdersi nella foschia notturna per sparire del tutto ai primi raggi del sole. Ma la memoria non scopare. È semplice far vivere qualcuno in eterno. Basta parlarne. Nessuno morirà mai, finché esisterà qualcuno per ricordarlo.

martedì 3 giugno 2008

In memoria 39 - Simonia

“Deh, or mi di’: quanto tesoro volle
Nostro Signore in prima da San Pietro,
ch’ei ponesse le chiavi in sua balia?
Certo non chiese se non: ‘Viemmi retro’.
Né Pier né gli altri tolsero a Mattia
oro od argento, quando fu sortito
al luogo che perdè l’anima ria.
Però ti sta’, che tu se’ ben punito;
e guarda ben la mal tolta moneta
ch’esser ti fece contra Carlo ardito.

Inferno, canto XIX versi 90-99

lunedì 2 giugno 2008

La storia ancestrale

Richard è un ragazzo normale, che come tutti i ragazzi normali ogni tanto la sera è in ritardo per il rientro a casa. E come tutti i ragazzi normali cerca di affrettarsi e si mette a correre per fare presto. Solo che i ragazzi normali arrivano a casa con qualche minuto di ritardo e si prendono una sgridata dai genitori, o al massimo qualche giorno di punizione, mentre a Richard succede qualcosa di diverso. Mentre corre per la strada, ad un tratto si ritrova con un piede incastrato nel terreno; cerca di liberarsi, ma il buco sembra stringersi attorno alla sua caviglia. All’inizio non si rende subito conto della situazione, perché i suoi pensieri sono rivolti alla punizione che riceverà quando arriverà a casa. Poi però capisce che quella dove è finito non è una normale buca, perché più lui si dimena e più la buca si stringe attorno alla sua caviglia, che comincia a fargli male, e intanto si accorge che non è solo il piede ad essere finito dentro, ma tutta la gamba. Aumenta i suoi sforzi, ma non riesce a liberarsi, e sente il terreno mancargli sotto il piede, che non è più in grado di fare forza. Ad un tratto sotto di lui si apre una sorta di voragine, e ancor prima di poter emettere un grido, si ritrova risucchiato nelle profondità della terra, e perde conoscenza.
Al suo risveglio si trova ai margini di una foresta con davanti uno strano vecchio con la barba bianca lunga fino ai piedi, ed una tunica col cappuccio che lo ricopre dalla testa ai piedi dandogli un’aria di regalità, che lo scruta con occhi attenti e penetranti. Richard chiede spiegazioni sul luogo in cui si trova, perché si rende conto di non essere più nei pressi di casa sua, e il vecchio dice di chiamarsi Golan, Guardiano degli Uomini, e che quello davanti a lui è l’Albero della Vita, che custodisce le sette gemme che racchiudono la Forza Vitale. Gli spiega che una grande battaglia è in corso nella Città Ancestrale, e che le forze del Malvagio stanno vincendo. Il Malvagio è riuscito a impadronirsi di sei delle sette gemme della Forza Vitale, e ha catturato i sei guardiani ai quali erano affidate. Ora resta solo lui, Golan, e Richard è stato mandato per aiutarlo. Suo compito è quello di ritrovare le sei gemme smarrite, e riportarle all’albero della vita. Poi dovrà sconfiggere il Malvagio.
Richard chiede perché proprio lui deve fare ciò, e Golan risponde che lui è il Prescelto indicato da una antica profezia, la quale dice che il Malvagio sarà sconfitto da uno straniero che vede due luci. Richard risponde che lui non vede due luci, e il Guardiano ribatte che il suo occhio grigio vede il lato oscuro della vita, mentre quello verde vede la bontà, e che solo lui può riportare l’equilibrio nel suo mondo. Gli dice che ha solo ventisei giorni di tempo per svolgere la sua missione, come dice la profezia, e che avrà accanto qualcuno che lo guiderà. Detto questo gli dona una tunica, e gli spiega che per sette volte, quando tirerà su il cappuccio, diventerà invisibile. Infine gli dona un amuleto, attraverso il quale il Guardiano sarà sempre con lui. Finito di pronunciare queste parole, il Guardiano scompare.
Richard, confuso e impaurito, si mette la tunica sulle spalle e l’amuleto in tasca, e si incammina verso la foresta, ma dopo pochi passi gli si para davanti una figura tarchiata, con indosso una corazza di maglia, e in tutto e per tutto simile ad un guerriero medioevale, se non fosse stato che aveva la testa di un maiale. Balbettando, Richard domanda se è lui la guida di cui Golan gli ha parlato, e in risposta il nuovo arrivato gli dice di chiamarsi Orkan, e di appartenere alla stirpe degli Animali Comuni, chiedendogli poi perché gli serve una guida. Richard racconta quanto gli è stato detto dal Guardiano, e Orkan si offre di aiutarlo, dicendogli che è scampato alla battaglia finale e che è in cerca di altri sopravvissuti. Detto questo, si incammina per il sentiero con Richard che lo segue passo passo.
Comincia così un lungo viaggio che lo porterà ad esplorare tutto il Mondo Ancestrale, guidato dalle ermetiche frasi del Libro delle profezie, incontrando personaggi fantastici e affrontando nemici sempre più pericolosi fino ad arrivare alla battaglia contro il Malvagio, nel quale dovrà mettere a frutto quanto imparato nel lungo viaggio per averla vinta sulle forze del Male.

Quando colui che è il Prescelto giungerà
E sul sentiero ancestrale si inoltrerà
Per combattere e sconfiggere le forze dell’oscurità
Ecco che i Sette di nuovo saran qua
E il male da questo mondo scomparirà

Splendido racconto che, anche se ripropone il tema classico della lotta tra Bene e Male, impersonati da due entità fisiche agenti nelle vicende del mondo fantastico in cui si svolge la vicenda, non manca di spunti del tutto innovativi e affascinanti. Significativo in tal senso è il motivo delle sette razze di esseri viventi (Uomini, Animali Comuni, Uccelli, Pesci, Rettili, Insetti e Animali Mitologici) guidate ognuna da un Guardiano al quale è affidata una delle sette gemme della Forza Vitale, espressione fisica delle sette virtù che rendono l’uomo completo nel suo essere.
La conquista di ogni gemma scandirà per Richard il raggiungimento delle tappe della sua maturazione che lo porteranno ad essere all’altezza del compito che gli è stato assegnato e che dovrà assolvere nella battaglia finale contro le forze del Male. Molto bella a tal proposito è l’immagine della guida che accompagnerà Richard durante le sue peripezie, e della quale sarà svelata la vera identità solo nel capitolo finale del racconto.
Altro aspetto molto interessante da valutare è l’effetto di dilatazione temporale della vicenda, creato dalla enormità dello spazio fisico che essa occupa. Il viaggio di Richard si compie in soli ventisei giorni, ma tocca per intero ogni parte del Mondo Ancestrale, luogo fantastico in cui avviene, dando così al lettore l’impressione che il tempo perda il suo naturale battito e rallenti, coinvolgendo ancora di più nella lettura.
Infine, risulta emblematica e carica di significato la frase che chiude il racconto, nella quale si riflette la considerazione di come il Male, alla fine, faccia parte del mondo e di come sia impossibile dire con certezza di averlo sconfitto.