lunedì 26 ottobre 2009

Si parte!

Ebbene sì, finalmente ci siamo. Tra meno di quarantotto ore sarò su un aereo insieme a un paio di amici, diretti a Pisa, dove staremo durante quella che sarà la mia prima esperienza lucchese. A beneficio di quanti non sanno di cosa sto parlando, dico subito che “Lucca Comics & Games” è la principale mostra-mercato italiana dedicata al fumetto, al gioco e all’animazione. Giunta alla sua 43esima edizione (giusto per darvi un’idea, il Salone Nautico di Genova festeggerà le cinquanta edizioni nel 2010), la fiera di Lucca è il punto di riferimento di tutti coloro che in Italia sono appassionati di fumetti, giochi di ruolo, videogames e animazione. Sebbene per fortuna nel corso degli anni dalle sue costole siano nate e continuino a nascere numerose figlie, come Cartoomix a Milano, Mantova comics, Rimini comics, Romics e tante altre, Lucca continua ad essere l’appuntamento fisso, nel week-end tra fine ottobre e i primi di novembre, per gli appassionati di tutta Italia. Ma Lucca non è solo un posto dove compare fumetti che non si trovano nelle proprie città per colmare i buchi delle collezioni, o dove trovare un gioco di ruolo particolare. Lucca è un mondo fantastico in cui si entra come Alice attraverso lo specchio. A Lucca puoi camminare per strada e trovarti accanto un tizio vestito da samurai e un altro vestito da pilota di astronavi. Puoi stare ore a guardare un tale seduto su uno sgabello che, uno dopo l’altro, crea capolavori su carta per fotocopie. Puoi posare una montagna di fumetti sul tavolo di uno che hai sempre e solo letto tra i nomi dei crediti degli albi che hai a casa e vedere che te li autografa con un sorriso. Puoi sederti a un tavolo e giocare per ore a carte con qualcuno che durante tutto il resto dell’anno sta a duemila chilometri di distanza da te. Puoi assistere a conferenze, incontri con autori, lezioni, interviste sul mondo del fumetto e della comunicazione figurata, sulla simbologia e sulla filosofia dei personaggi e di chi li crea, sulle nuove prospettive nel mondo dell’arte grafica in Italia e nel mondo. Quest’anno sono attesi centoquarantamila visitatori. Quest’anno, “Lucca Comics & Games” è stata presentata al parlamento europeo come manifestazione culturale di rilevanza internazionale, inserendosi nel dialogo dei problemi del paese. Quest’anno è stato creato Bat-Barroso, un uomo senza superpoteri che lotta contro i criminali che a tutti i livelli affliggono la società e che cerca di risolvere i problemi vivendoli al loro interno. Da quei quattro sprovveduti che sfidavano le intemperie nel con addosso delle cerate gialle e qualche banchetto dove appoggiare fumetti sparsi, se ne è fatta di strada.


La canzoncina di "Lucca Comics & Games"

Questa notte mi ha aperto gli occhi

Romanzo molto particolare, questa ultima pubblicazione di Jonathan Coe. Intanto perché, a dispetto della sua data di uscita, la fine del 2008, la gran parte di esso è stata scritta quasi vent’anni prima, nel 1990. In questo senso, è forse uno dei primi romanzi di Coe, di sicuro precedente ai titoli che gli hanno giustamente conferito il successo a livello internazionale. Particolare anche perché, forse in misura maggiore di quanto lui stesso voglia ammettere, lo potremmo definire un romanzo autobiografico. Come ci spiega nella breve introduzione (scritta appunto nel 2008 in occasione della pubblicazione), l’idea della storia nasce proprio dalla sua esperienza personale nel campo della musica. E proprio la musica è il protagonista fondamentale del romanzo, quella musica traboccante di sperimentazioni che negli anni Novanta era praticamente una regola di vita. A quanto pare, il pianoforte è sempre stata la sua più grande passione, superiore addirittura a quella della scrittura, e solo perché non è riuscito a trovare la strada giusta in questo senso Jonathan Coe ha deciso che nella vita avrebbe scritto piuttosto che suonato. Per fortuna, dico io, non essendo granché appassionato di musica, certamente non tanto quanto lo sono di narrativa. La musica, dicevo. Non c’è pagina della storia in cui non ci sia un riferimento esplicito a questa arte, gli stessi capitoli scorrono come i movimenti di un’opera classica, ritmati e scanditi come le battute di uno spartito. In fondo, la musica è un linguaggio, forse il più antico e universale che esista. E anche con la musica, Coe crea i suoi personaggi: William, Madeline, Karla, e tesse una storia intricata, tra passato e presente, che a tratti ha il gusto del comico e del grottesco, a tratti si tinge dei colori del noir, e in buona parte conserva un alone intimista e psicologico che armonizza tutto. Presi in maniera isolata, questi argomenti potrebbero sembrare banali, soprattutto se si conoscono le altre opere di Coe e il modo in cui in questi sono rappresentati. Ma grazie a quel tema musicale in sottofondo, si armonizzano in una storia chiara e gradevole, che parte forse lenta e armonica, ma procede di buon passo verso il crescendo finale in cui sarà tutto un esplodere di grancassa e piatti. E poi, a chiudere tutto, un delicato frammento di melodia per archi, un momento del protagonista cinque anni dopo le vicende della storia principale. E così, arrivati all’ultima pagina, non può venirci in mente nient’altro che andare in città, a cercare gli occhiali che da tutta la settimana pensavamo di comprarci!

Ero talmente innamorato di Madeline che a volte, sul lavoro, mi mettevo quasi a tremare pensando a lei: mi agitavo di paura e di piacere e finivo per far crollare pile di dischi e di cassette. Per questo non mi preoccupavo un granché se la nostra intesa non era delle migliori. Litigare con Madeline era meglio che scopare con qualsiasi altra donna al mondo. L’idea di essere felici assieme – di star sdraiati nello stesso letto, silenziosi e mezzi addormentati – era talmente paradisiaca che non riuscivo nemmeno a visualizzarla.

venerdì 16 ottobre 2009

Sette ladri

Il secondo appuntamento con la serie dei sette ci porta una storia in puro stile fantasy. Pur essendo un genere ormai ampiamente sfruttato da scrittori di ogni tipo, il fantasy ha sempre un suo fascino, soprattutto quando è costruito con i classici elementi che lo hanno reso un vero e proprio stile di scrittura piuttosto che un semplice genere. In “Sette ladri”, l’autore David Chauvel non si dimentica nessuno degli ingredienti del genere, dalle ambientazioni variegate ed estremamente naturalistiche, alle creature delle tipiche razze (nani, orchi, draghi...), alle battaglie sanguinarie e alle fughe rocambolesche. Il tutto sostenuto alla perfezione dal tratto pulito di Jerome Lereculey, che si presta alla perfezione alla storia. Infatti, una storia di questo genere non potrebbe essere illustrata da artisti con un tratto troppo moderno o astratto, in quanto richiede una attenzione e una definizione dei dettagli che solo i disegnatori di stile classico possono avere. Armi, indumenti, ambientazioni, devono tutti essere realizzati con la massima cura, per immedesimare il più possibile il lettore nella storia, ma allo stesso tempo non devono suscitare troppa curiosità, perché si correrebbe il rischio di sviare l’attenzione solo sulla parte grafica rendendo la storia poco avvincente. Un buon sinergismo scrittore - disegnatore è quindi fondamentale, e in questo volume si può dire che sia stato raggiunto un risultato più che soddisfacente.

L’imperatore dei nani è morto, e tra complotti e omicidi si deve svolgere l’incoronazione del successore. Il che comporta che la quasi totalità del popolo dei nani lascerà la montagna in cui è nascosto il leggendario tesoro, lasciandolo pressoché incustodito. Occasione irresistibile per due nani rinnegati, che non ci metteranno molto a mettere insieme una banda di sette furfanti decisi a rischiare la vita per guadagnarsi il benessere e il lusso per il resto dei loro giorni. Ma i pericoli da affrontare non saranno solo quelli prevedibili, come le guardie nella caverna ed il guardiano che sorveglia l’entrata della stanza del tesoro. Altri nemici agiscono inosservati, sia al di fuori che all’interno del gruppo, e più di una vita sarà messa in pericolo.

Per chi non si annoia mai ad entrare nei regni della fantasia, una storia piacevole e leggera, adatta per passare un’ora o poco più di una domenica mattina rilassati in poltrona, dimenticandosi di tutto quello che attende nel mondo reale.

domenica 11 ottobre 2009

Batman Arkham asylum

Di solito c’è da diffidare dei giochi ispirati a film o a fumetti (i cosiddetti giochi su licenza), perché spesso risultano essere dei banali adattamenti di una storia che se andava bene per il grande schermo non è detto che vada bene per la console. Stavolta invece è il caso di ricredersi: il primo gioco di Batman che la Sony ha prodotto per la Playstation 3 è un signor gioco. Lasciando stare per un attimo le sofisticherie tecniche e grafiche che la potenza delle nuove macchine e dei nuovi supporti consente (si vedono i peli della barba e la trama del kevlar della tuta!), tanto per cominciare il gioco ha una storia. E si vede che è una storia scritta da uno che scrive anche le storie a fumetti del personaggio, e storie di una certa qualità, quel Paul Dini che da un paio di anni si alterna a Grant Morrison sul mensile regolare del Cavaliere oscuro.

Una scelta vincente è stata quella di dare un’ambientazione precisa ma variegata, l’isola Arkham con tutte le sue costruzioni. Questo rende l’azione ben definita in un luogo che si impara a conoscere nei dettagli, ma permette di spaziare in zone e ambienti diversi. Altra cosa intelligente è stata rendere gli extra come parte del gioco principale. Di solito, tesori da trovare ed enigmi da svelare sono solo un mero contorno per chi predilige l’esplorazione all’azione del gioco, con il difetto che se si dedica troppo tempo ad esplorare, si finisce per perdere la dinamicità della storia. Qui invece siamo ‘costretti’ a dedicarci anche alle sfide che l’Enigmista ci propone, perché, oltre a sbloccare contenuti speciali, ci fanno acquisire punti esperienza, che sono quelli con cui Batman recupera forza vitale e acquisisce crediti da spendere in potenziamenti. Inoltre, molti di questi enigmi non saranno accessibili da subito, e lo diverranno con l’acquisizione di alcuni bat-gadget nel corso della storia, cosa che ci obbligherà a tornare più volte nello stesso edificio o zona dell’isola. Aggiungiamoci che questi enigmi sono una continua sfida a conoscere sempre meglio il mondo del Cavaliere oscuro, essendo dei riferimenti alla storia del personaggio e dei suoi avversari, e ci spieghiamo come un vero appassionato non potrà fare a meno di raccogliere la sfida dell’Enigmista a risolvere tutti i suoi indovinelli.

Altro punto di forza: non bisogna solo picchiare. Sebbene Batman se la cavi benissimo negli scontri corpo a corpo, l’azione non è l’unica attività del gioco. Ci sarà anche molto ragionamento, molta esplorazione e alcune indagini da svolgere per proseguire. D’altro canto, stiamo pur sempre guidando il miglior detective del mondo. Infine, gli scontri con i nemici storici di Batman saranno tutti all’insegna della strategia di combattimento, e a niente varrà l’uso della sola forza bruta. Spettacolari, in questo senso, gli scontri con lo Spaventapasseri, ma anche con Poison Ivy, Bane, Killer Croc e il Joker nello scontro finale. In definitiva, un gioco che coinvolge e vale la pena di avere, non solo per chi come me è appassionato delle storie a fumetti del personaggio, ma anche per chi lo conosce solo dagli ultimi film.



Trailer


mercoledì 7 ottobre 2009

La foglia grigia

“...è il suo primo romanzo”. È una frase che mi piace molto, quando la leggo nei risvolti di copertina che riportano la biografia dell’autore. Credo che c’entri quel pizzico di vanità che si trova nelle mie letture. Mi piace poter dire ‘lo leggo fin dal primo romanzo che ha scritto’, così come ‘li ho letti tutti, i suoi romanzi’. In effetti, qualcuno pensa che io abbia gusti a volte strani, per non dire anticonformisti, e devo ammettere che c’è un po’ di verità in questo. Per lo stesso motivo, odio i bestsellers. Sono mesi che ho gli occhi su una trilogia, ma da quando hanno cominciato a spuntare sopra le fascette che tengono il conto delle centinaia di migliaia di copie vendute, ha cominciato a starmi antipatica. Per questo mi piacciono gli sconosciuti, almeno quelli che per me sono sconosciuti. Non avendo nessuna aspettativa, né nessun pregiudizio, mi godo la lettura con più piacere. È proprio quello che mi è capitato con “La foglia grigia”. Passavo in libreria con un’amica e collega, eravamo appena usciti dall’ospedale e tutti e due eravamo in vena di acquisti letterari non programmati. Lei ha comprato un libro che le ho consigliato, e io ho preso questo. In effetti, il giallo è una tipica lettura estiva, leggera e rilassante, anche se io non sono mai stato molto in sintonia con questa definizione. Ci sono gialli molto ‘letterari’, e sono questi quelli che mi piacciono di più.

“La foglia grigia” è il primo giallo che leggo ad essere ambientato in un periodo storico piuttosto lontano, il Risorgimento italiano. L’Italia è un regno unito solo da poco tempo, Cavour ha un sacco di grane con la burocrazia e gli animi si dividono tra clericali e anticlericali, tra monarchici e socialisti. E Perugina è il perfetto esempio di questo clima nazionale. È in questa città che sono ambientate le vicende che l’ispettore di Pubblica Sicurezza Giulio Verbasco si trova a dover dipanare, senza sapere che sono vicende più intricate e più sordide di quanto si possa pensare. E tutte sembrano avere un denominatore comune in una misteriosa pianta che solo in pochi conoscono: la foglia grigia. Una pianta dalle origini esotiche che si dice sia capace di ravvivare gli istinti primordiali degli uomini conferendo loro al contempo una lunga vita. Così, tra efferati omicidi, sette segrete, piccoli crimini cittadini e servizi segreti, Verbasco deve ricostruire, con i suoi modi rozzi tanto quanto è fina la sua intelligenza, una storia che ha origine nel suo stesso passato e che, a quanto pare, è destinata a influenzare il futuro, fino alla Londra vittoriana, alla resistenza francese della seconda guerra mondiale, al traffico degli schiavi dei giorni nostri. Come dire, tutto il mondo è paese.

“E poi dici di essere un ignorante”.
“Però io non ci credo, a questa cosa. Tua madre era povera, e io l’ho amata tanto”.
“Neppure lei ha avuto l’amore vero, visto che se ne è andata. Il vero amore è solo l’amore che vogliamo”.

venerdì 2 ottobre 2009

Sette psicopatici

Primo di una interessante collana recentemente pubblicata dalla Planeta deAgostini, è anche il primo che leggo e che mi accingo a commentare, sperando di avere il tempo di fare lo stesso con gli altri. La collana è composta da sette volumi, ognuno contenente una storia completa riguardante sette individui appartenenti ad una particolare categoria, ogni volta diversa per ogni storia. ‘Sette missioni, sette squadre di sette uomini decisi ad avere successo’, recita la quarta di copertina. Insomma, quanto basta per attirare l’attenzione e incuriosire chi come me è sempre attratto da tutto ciò che è fatto di nuvole parlanti. Inoltre, il primo titolo suscita una curiosità in più, in quanto il mondo della follia è sempre stato un argomento molto accattivante per gli scrittori in genere e per i fumettisti in particolare. C’è addirittura chi di storie folli ha fatto il suo marchio di fabbrica.

“Sette psicopatici”, scritto da Fabien Vehlmann e disegnato da Sean Phillips, è una graphic novel dal sapore fantapolitico e storico allo stesso tempo. A Londra, nel 1942, quindi nel pieno del secondo conflitto mondiale, un colonnello dell’esercito inglese riceve una curiosa lettera in cui l’autore dichiara di conoscere un modo infallibile per vincere la guerra. Ben oltre i limiti della banalità, il suo piano prevede semplicemente... di uccidere Hitler! È chiaro che questa ipotesi era stata la prima ad essere vagliata dalle forze alleate, ma scartata perché ritenuta impossibile. Ma lo è davvero? È davvero impossibile uccidere il Fuhrer? Forse per gli altri sì, ma per sette individui, diciamo, tutt’altro che nel pieno possesso delle loro facoltà mentali, potrebbe essere una cosa fattibile. Proprio perché loro sono abituati a pensare del tutto fuori dagli schemi, potrebbero essere in grado di aggirare il sofisticato e rigidissimo sistema di sorveglianza e protezione di Hitler. Così, dopo un reclutamento ben al di là dei canoni dell’esercito e un addestramento pressoché inesistente, la squadra dei sette psicopatici viene paracadutata in Germania per compiere la sua missione. Saranno in grado sette individui squilibrati di lavorare insieme per raggiungere un fine comune? E ancora, siamo sicuri che ci sia un fine comune da raggiungere?

A spasso in una galleria di individui inquietanti, ci addentriamo in una storia che vira dal drammatico al grottesco, in cui alcuni personaggi troveranno la morte, altri seguiranno il loro destino, altri appagheranno i loro desideri, altri ancora si troveranno a incarnare un ruolo nella storia che non si sarebbero mai aspettati.