venerdì 28 novembre 2008

Il fascino del male - Scarface

Anche questa volta, come con Clayface, non uno solo ma due sono i protagonisti di queste storie, sebbene in questo caso il filo che li unisce sia più che una semplice omonimia e il potere dell’argilla. Scarface infatti non è altri che il pupazzo del Ventriloquo, al secolo Arnold Wesker. Facciamo un passo indietro.

Anche se non ho una cultura abbastanza vasta per supportare l’argomento con esempi validi, per quanto ne so le bambole sono sempre state un elemento tipico del mondo dell’horror. È curioso come oggetti creati per rallegrare, far giocare e divertire i bambini, siano stati spesso trasformati in manifestazioni malvagie. Bambole assassine, che sfuggono al controllo dei loro padroni per seguire una volontà propria, si associano nella mia mente ai classici racconti e film dell’orrore. E in effetti le bambole hanno un loro fascino ambiguo, anche se spogliate di qualunque elemento sovrannaturale. Il concetto della bambola in fondo è quello che qualcuno possa controllare l’esistenza di un altro essere antropomorfo. Alla propria bambola si può far dire e fare tutto quello che si vuole. I bambini le rendono personaggi delle loro storie e dei loro giochi, utilizzandole spesso come alter ego per sentirsi protagonisti di avventure che possono vivere solo nella loro immaginazione. Ricordo una frase di un episodio di una serie animata in cui si dice: “Se esistesse un dio, noi non saremmo forse le sue bambole?”. Potremmo dire che tutti noi, da bambini, non abbiamo fatto altro che giocare a fare dio con le nostre bambole. Ma le bambole erano sempre d’accordo?

Nel 1988, Alan Grant e John Wagner ricevono una chiamata da Danny O’Neil, il comandante in capo della DC Comics di quegli anni, che gli affida una storia di Batman. Nei due autori scatta allora quello che potremmo definire il problema del nemico, con il quale devono confrontarsi tutti quelli che si accingono a scrivere e disegnare una storia del cavaliere oscuro. Chi mettergli contro? Come dice lo stesso Grant, nessun altro personaggio dei fumetti ha nemici tanto ‘ingombranti’ come Batman (di molti ho parlato nei precedenti post). Da qui due problemi: ricorrere ad uno dei nemici classici, correndo il rischio di non essere all’altezza con i maestri che già ne avevano scritto le storie? O crearne uno nuovo? E in questo caso, come renderlo originale ma nello stesso tempo in sintonia con il mondo di Batman? Venne scelta questa seconda strada, e Grant e Wagner recuperano una vecchia idea dei tempi di “Judge Dreed”, Scarface appunto. Arnold Wesker è un perdente. Un ometto insignificante, senza nessuna qualità fisica e intellettuale, condannato all’ergastolo per aver ucciso un uomo in una rissa da bar, senza neanche aver avuto l’intensione di ucciderlo. Purtroppo (o per fortuna, dipende) per lui, finisce a Blackgate, in cella con un certo Donnegan, anche lui ergastolano. Qui la storia del Ventriloquo si tinge di sovrannaturale. Si dice che la forca di Blackgate sia stata impregnata dell’odio e del sangue di tutti i suoi condannati, fino a quando non fu distrutta da un fulmine. E indovinate da quale legno Donnegan ricava la marionetta da ventriloquo? Non è mai stato spiegato se veramente quel legno maledetto sia dotato di poteri malvagi, o se sia stato solo un caso, ma sta di fatto che i suoi possessori sviluppavano una sinistra sudditanza nei confronti della marionetta, che dopo un po’ sembrava parlare e agire di volontà propria. Scarface arriva ad ossessionare a tal punto la mente di Wesker da costringerlo a uccidere il suo proprietario per entrarne in possesso, anche se nessuno può dire se sia il Ventriloquo a possedere la bambola o viceversa. Di fatto però, un ometto insignificante e una bambola riescono ad avere un tale potere persuasivo e una tale assenza di scrupoli da arrivare a competere per il posto di signori del crimine di Gotham city, che come città non è certo facilmente impressionabile.

L’ipotesi di una malvagità sovrannaturale, o comunque della capacità, da parte della bambola di Scarface, di far emergere aspetti deviati della personalità di alcuni uomini, sembra essere confermata dalle attuali storie di Batman, in cui, morto Arnold Wesker, Scarface si impossessa di un nuovo padrone, la bellissima Peyton Riley, da cui si fa prestare la voce e attraverso la quale inizia a ricostruire il suo impero criminale.

Non ho parlato di Batman. Ma in effetti, in questo volume, il nostro eroe trova poco spazio. Al di là delle sue consuete doti di detective, e delle atmosfere tenebrose nelle quali si trova ad operare, in queste storie l’uomo pipistrello ricopre un ruolo che potremmo definire secondario, per lasciare la scena a Scarface e alla sua perversa ma allo stesso tempo pragmatica malvagità.

martedì 25 novembre 2008

Il castello nella foresta

Ero in quella che ormai mi piace definire la ‘mia’ libreria, e avevo già in mano due libri che in una precedente visita avevo selezionato come prossimi acquisti. Anche se l’intenzione era quella di avviarmi verso la graziosa signorina sorridente che stava alla cassa, non potevo resistere al desiderio di dare uno sguardo più approfondito agli scaffali e ai ripiani, ben sapendo che questo equivale a una tortura che ogni volta mi infliggo quando vedo cose che vorrei ma non posso comprare. Così, aggirandomi per quella stanza, ho visto questo libro. Ad attirarmi è stato il nome dell’autore, quel Norman Mailer che una volta ho citato come grande romanziere americano. Mi ricordavo che Mailer era morto meno di un anno prima, quindi questo doveva essere il suo ultimo romanzo in tutti i sensi. Sono rimasto pochi minuti soprappensiero, per poi decidere che quella settimana potevo sacrificare parte della spesa dei fumetti per prendere tre libri invece che i due che ero venuto a comprare.

“Il castello nella foresta” è un libro strano. Potrebbe essere benissimo un romanzo storico, con una particolare attenzione intimista ai personaggi protagonisti, ma con aspetti che si spingono ai limiti del sovrannaturale. È curioso che l’ultima fonte di ispirazione del grande romanziere americano sia stato colui che per unanime opinione storica e sociale è considerato l’icona del male del Novecento. Protagonista del romanzo è infatti Adolf Hitler, analizzato però non come l’uomo che la storia ci ha tramandato. Il romanzo ripercorre le vicende dei suoi genitori, dei suoi fratelli e della sua infanzia, con particolare attenzione agli aspetti più intimi e personali di questi personaggi e dei loro rapporti reciproci. La storia è narrata in prima persona da quello che all’apparenza è un ufficiale delle SS al servizio di Himler, ma che subito si scopre essere un diavolo emissario di Lucifero. E il diavolo ci racconta come, in quella notte del luglio 1888, lui stesso sia stato non solo testimone, ma addirittura artefice, del concepimento, in una locanda di Braunau, di Adolf Hitler. Un concepimento che, al di là del terzo partecipante, tutto è fuorché naturale. L’uomo è Alois Hitler, alto ufficiale della dogana del regno di Franz Joseph, lei è Klara Poelzl, sua terza moglie nonché probabilmente sua stessa figlia. Da quel momento, tutte le vicissitudini della famiglia Hitler vengono narrate dal diavolo con incredibile dovizia di particolari, da quelli più sentimentali a quelli più torridi e scabrosi.

Indubbiamente una prova di coraggio quella sostenuta da Norman Mailer nello scrivere questo romanzo, che non ci risparmia aspetti dissacranti della vita familiare e sociale dei suoi personaggi. Molto interessante risulta anche la dicotomia tra le forze del Male e del Bene, analizzate dal punto di vista del diavolo, con la descrizione sistematica e puntigliosa delle sue arti malefiche atte a corrompere e manipolare l’animo umano, paragonate a quelle di Dio e dei suoi angeli i cui sforzi mirano a proteggerlo. Una lettura quindi interessante, avvincente e spesso velata di una grottesca ironia, e se è vero che una buona misura del valore di un romanzo di ambientazione storica è il numero delle fonti consultate, basta gettare un occhio alla lunga bibliografia per capire che “Il castello nella foresta” è molto di più che una semplice storia dal sapore sovrannaturale.

A quel tempo, nel 1900, in Adolf Hitler non era ancora scattata la brama di sterminare gli esseri umani nelle camere a gas. Perciò se parlo di un anno come il 1945 è perché non voglio stabilire un nesso diretto con i mesi successivi alla morte di Edmund. In quegli anni, guidato in tutto e per tutto dal Maestro, mi adoperavo solo a intensificare in Hitler la precoce sensazione che sarebbe diventato un agente importante degli dei della morte. Questo lo autorizzava a credere che al sua fine sarebbe stata diversa da tutte le altre. Naturalmente non mi era dato prevedere le proporzioni future. Avrei fatto altrettanto per Luigi Lucheni se da piccolo fosse stato mio cliente.

In memoria 78 - Contro Genova

Ahi, Genovesi, uomini diversi
d’ogni costume, e pien d’ogni magagna,
perché non siete voi dal mondo spersi?
Chè col peggior spirto di Romagna
trovai di voi un tal, che per sua opra
in anima in Cocito già si bagna,
e in corpo par vivo ancor di sopra.

Inferno, canto XXXIII versi 151-157

mercoledì 19 novembre 2008

"...che anche il dolore servirà."

Mi è capitato per caso di vedere una parte di un film che avevo già visto al cinema qualche tempo fa. Ero a casa di un’amica, e lei stava guardando questo film, così mi sono fermato un po’, e nella sequenza che ho rivisto c’era questa canzone come colonna sonora. Mi ha fatto pensare. O meglio, ripensare. A una certa persona. Una persona che ha lasciato un segno dentro me, anche se la sua apparizione è stata breve, dal punto di vista sentimentale, e quello che mi è rimasto è proprio la malinconia. Malinconia per gesti, parole ed emozioni che avevo solo immaginato, che non si sono mai realizzati. Io sono di quelli che pensano che è sempre meglio lasciarsi che non essersi mai incontrati. La malinconia è proprio quello che rimane quando un sogno si sgretola con la luce del giorno. La maggior parte delle volte bastano gli amici, il lavoro, gli svaghi, una corsa in bici, per passare oltre. In altri momenti, però, i pensieri ritornano. E il fatto che l’anima sappia che anche il dolore servirà, come dice la canzone, non rende il tutto meno doloroso.
Malinconia – Luca Carboni

La malinconia ha le onde come il mare,
ti fa andare e poi tornare,
ti culla dolcemente.
La malinconia si balla come un lento,
la puoi stringere in silenzio,
e sentire tutto dentro.
E sentirsi vicini e anche lontani,
e viaggiare stando fermi,
e vivere altre vite.
E sentirsi in volo dentro agli aeroplani,
sulle navi illuminate,
sui treni che vedi passare.
Alla luce calda e rossa di un tramonto,
di un giorno ferito che non vuol morire mai.

Sembra quasi la felicità,
sembra quasi l’anima che va,
il sogno che si mischia alla realtà.
Puoi scambiarla per tristezza ma
è solo l’anima che sa
che anche il dolore servirà.

E si ferma un attimo a consolare il pianto
del mondo ferito che non vuol morire mai.

E perdersi tra le dune del deserto,
tra le onde in mare aperto,
anche dentro a questa città.
E sentire che tutto si può perdonare,
che tutto è sempre uguale,
cioè che tutto può cambiare.
E stare in silenzio ad ascoltare,
e sentire che può esser dolce
un giorno anche morire.
Nella luce calda e rossa di un tramonto,
di un giorno ferito che non vuol morire mai.

Sembra quasi la felicità,
sembra quasi l’anima che va,
il sogno che si mischia alla realtà.
Puoi scambiarla per tristezza ma
è solo l’anima che sa
che anche il dolore passerà.

E si ferma un attimo a consolare il pianto
di un amore ferito che non vuol morire mai.

sabato 15 novembre 2008

Il fascino del male - Clayface

Non uno solo, ma ben quattro sono stavolta i protagonisti di questo volume, perché quattro sono i personaggi che nel corso delle storie hanno assunto l’identità e le caratteristiche di Clayface. Il primo, Basil Karlo, in realtà ne prese il nome solo perché indossava una maschera d’argilla per coprire i suoi delitti, ma i veri Clayface sono stati i suoi successori, Matthew Hagen, Preston Payne e Sondra Fuller. In un modo o nell’altro, e per i più svariati motivi, questi tre sono venuti a contatto con una misteriosa sostanza vivente in grado di fondersi al corpo umano e conferirgli le caratteristiche dell’argilla. I richiami a uno dei più classici temi delle storie dell’orrore sono palesi, dato che la plasticità e la deformità che ne consegue hanno sempre fatto dell’argilla e del fango una materia adatta allo scopo di impaurire. Potendo assumere qualunque forma, era facile che assumesse anche aspetti terrorizzanti (i mostri di fango erano un classico del cinema horror di vecchia data).

La storia più interessante di tutto il volume è quella intitolata “La banda del fango”, scritta da Alan Grant, autore britannico e da sempre scrittore di Batman. È interessante perché in questa storia compaiono tutti e quattro i Clayface, sebbene Hagen, il secondo, sia presente solo in forma di statuetta d’argilla, usata a mo’ di feticcio da Basil Karlo. È proprio quest’ultimo a riunire tutti coloro che portano il nome di Clayface in una banda criminale, con lo scopo di uccidere Batman, da sempre il loro più acerrimo nemico. Karlo ha però un secondo fine, quello di impadronirsi dei poteri degli altri Clayface, essendo lui un comune essere umano. Tralasciando il classico scontro tra i criminali e il cavaliere oscuro, risultano molto belle le caratterizzazioni di Preston Payne e Sondra Fuller, entrambi angosciati dal loro aspetto repellente e dai loro poteri che li rendono degli emarginati. È piacevole che anche in una storia caratterizzata dall’azione e dall’orrore, alla fine possa trovare posto un momento di tenerezza, con i due abbracciati a guardare il tramonto, facendosi ognuno sostegno delle angosce dell’altro.

Ma torniamo a Batman. In appendice al volume, c’è un’altra storia sempre di Grant, in cui vengono ripercorse le origini di Clayface II, Matt Hagen, che in una immersione subacquea trova una pozza contenente uno strano materiale che ribolle e immergendosi in essa scopre di poter trasformare il suo corpo in argilla, anche se per un tempo limitato. Questa sostanza non gli conferisce però solo le straordinarie capacità di mutaforma, ma sembra influenzare anche la sua mente, rendendola più propensa a commettere crimini. L’avidità era sempre stata una caratteristica di Hagen, ma l’argilla l’ha esaltata, insieme ad altri lati oscuri del suo carattere, fino a fargli uccidere la sua fidanzata che non accettava più quello che lui era diventato. Nelle sue scorribande all’insegna del furto, Clayface non poteva non scontrarsi con Batman, un Batman proprio all’inizio della sua carriera di eroe mascherato, ancora incerto sul suo futuro e su cosa dovesse spingerlo. Un Batman che troppo facilmente poteva cadere vittima della paura, di quella stessa paura che gli avevano insegnato a usare come arma. Non dimentichiamoci che Batman, per quanto forte e determinato, è comunque un essere umano, e trovarsi di fronte ad un mostro d’argilla dalla forza sovrumana, e restare impotente a guardarlo uccidere due uomini, è un’esperienza che non poteva non scuoterlo. Bruce Wayne si trova davanti a un bivio: sconfiggere la sua paura, o smettere di essere Batman. Ma la determinazione, l’intelligenza e la forza di volontà permettono di superare qualunque barriera. Adesso Batman sa che non tornerà più indietro.

In memoria 77 - Frate Alberigo

Noi passamm’oltre, là ‘ve la gelata
ruvidamente un’altra gente fascia,
non volta in giù, ma tutta riversata.
Lo pianto stesso lì pianger non lascia,
e il duol, che trova in su gli occhi rintoppo,
si volve in entro e fa crescer l’ambascia;
chè le lagrime prime fanno groppo,
e sì, come visiere di cristallo,
riempion sotto il ciglio tutto il coppo.
[...]
E un de’ tristi della fredda crosta
gridò a noi: “O anime crudeli
tanto, che data v’è l’ultima posta,
levatemi dal viso i duri veli,
sì ch’io sfoghi il dolor che il cor m’impregna,
un poco, pria che il pianto si raggeli.”
Per ch’io a lui: “Se vuoi ch’io ti sovvenga,
dimmi chi se’; e s’io non ti disbrigo,
al fondo della ghiaccia ir mi convegna!”
Rispuose adunque: “Io son frate Alberigo,
io son quel delle frutta del mal orto,
che qui riprendo dattero per figo.”
“Oh,” diss’io lui, “or se’ tu ancor morto?”
Ed egli a me: “Come il mio corpo stea
nel mondo su, nulla scienza porto.
Cotal vantaggio ha questa Tolomea,
che spesse volte l’anima ci cade
innanzi ch’Antropos mossa la dea.
E perché tu più volentier mi rade
le ‘nvetriate lagrime del volto,
sappi che tosto che l’anima trade,
come fec’io, il corpo suo l’è tolto
da un demonio, che poscia il governa
mentre che il tempo suo tutto sia volto:
ella ruina in sì fatta cisterna;
e forse pare ancor lo corpo suso
dell’ombra che di qua dietro mi verna.
Tu il dei saper, se tu vien pur mo giuso:
elli è ser Branca d’Oria, e son più anni
poscia passati ch’el fu sì racchiuso.”
“Io credo,” diss’io lui, “che tu t’inganni;
che Branca d’Oria non morì unquanche,
e mangia e bee e dorme e veste panni.”
“Nel fosso su,” diss’ei, “di Malebranche,
la dove bolle la tenace pece,
non era giunto ancor Michel Zanche,
che questi lasciò un diavol in sua vece
nel corpo suo, ed un suo prossimano,
che il tradimento insieme con lui fece.
Ma distendi oramai in qua la mano;
aprimi gli occhi!”; ed io non gliel’apersi:
e cortesia fu lui esser villano.

Inferno, canto XXXIII versi 91-99 e 109-150

domenica 9 novembre 2008

Premio Dardos 2008

Ringrazio di cuore l'amica (ormai credo che posso definirti così anche se non ci siamo mai nè visti nè parlati di persona) Fra, che mi ha nominato sul suo blog insieme ad altri come vincitore di questo premio. Un premio che mi sembra bello sottolineare nei suoi intenti riprendendo le stesse parole di Fra (che forse sono quelle di chi originariamente ha ideato il premio):

"Questo è un premio che riconosce i valori che ogni blogger dimostra ogni giorno nel suo impegno a trasmettere i valori culturali, etici, letterari e personali. In breve mostra la sua creatività in ogni cosa che fa".

Queste due frasi esprimono molto bene il senso del premio, e mi rendono molto orgoglioso di averlo ricevuto. A volte ho peccato di eccessiva modestia, non me ne vogliate se stavolta pecco di un pizzico di presunzione. Forse è vero che anche io, nel mio piccolo, contribuisco a diffondere messaggi e valori che ritrovo in tutto quello che mi circonda. E siccome quello che mi circonda è in larga parte costituito da libri e fumetti, sono molto contento di poter condividere le emozioni che questi mi trasmettono con tutti quelli che vengono a leggere queste pagine. E sono contento che qualcuno lo noti e gli faccia piacere. Ringrazio ancora Fra, che è una delle mie più assidue lettrici e commentatrici (con mio grande piacere), e passo a nominare meritevoli di questo premio:

Veronica con il suo Blog "Con la testa tra le nuvole" e Valentina con il suo blog "Eyes Wide Ciack". Per questa volta mi fermo qui, non perchè magari non ce ne siano altri meritevoli, ma perchè voglio dare un piccolo merito a quelle persone che più di tutte mi seguono in quello che scrivo.

mercoledì 5 novembre 2008

I have a dream...

“Non diventerà presidente comunque: non la chiamano Casa Bianca solo perché è bianca”.

Questa frase, tratta da un telefilm americano, oggi, per la prima volta nella storia, smette di essere vera. Oggi, la Casa Bianca si chiama così solo per il colore dell’intonaco. Oggi, un nero di origine africana rende quel sogno del suo predecessore ideologico un tantino più concreto. Quando Barak Obama, qualche mese fa, vinse la sfida con Hillary Clinton per diventare il candidato democratico alla quarantaquattresima presidenza degli Stati Uniti, io ero molto scettico. Ero convinto, per fortuna a torto, che l’America poteva forse essere pronta per avere un presidente donna, ma certamente non era pronta per avere un presidente nero. Come ho detto, mi sbagliavo. Non voglio stare qui a fare una ipocrita idealizzazione di quello che questa elezione rappresenta, Obama è comunque un uomo politico, dovrà comunque confrontarsi con problemi concreti e molto seri, e il fatto che la sua elezione rappresenti una svolta non lo metterà al riparo da critiche e lamentele, né tanto meno lo proteggerà dal commettere errori. Dovrà dimostrare, come chiunque altro, di avere le capacità che necessitano a chi deve guidare uno dei più grandi stati del mondo. Come chiunque altro, si troverà di fronte a questioni molto complesse sia in ambito nazionale che internazionale. Come chiunque altro, dovrà dare risposte a tutti quelli che, da domani e per i prossimi quattro anni, gli faranno le domande. Ma è proprio questa la frase chiave di tutto il discorso: come chiunque altro. In un paese che solo pochi decenni fa non permetteva ai bambini neri di frequentare le scuole dei bianchi, che non ammetteva che i militari neri condividessero gli alloggi e la mensa con i loro commilitoni bianchi, oggi un nero siede alla scrivania dello studio ovale. Tutti si aspettano molto da Barak Obama. Superare la crisi economica che in questo periodo sta investendo gli USA non sarà un gioco da ragazzi per la sua amministrazione. Ma nel mio incallito idealismo, voglio fare due richieste al nuovo presidente degli Stati Uniti, una che riguarda la sua politica interna e l’altra quella estera, facendo per un attimo finta che anche lui sia tra quelli che ogni tanto leggono queste pagine. Vorrei che eliminasse dal suo paese la condanna a morte come strumento di punizione in quegli stati in cui ancora è in vigore. E vorrei che ponesse fine a qualsiasi iniziativa di guerra da parte delle forze armate americane e che si impegnasse attivamente perché anche tutti gli altri capi di stato dei paesi coinvolti in quelle azioni seguano il suo esempio. Mi rendo conto che è solo un sogno. Non molto tempo fa era un sogno che un nero diventasse presidente degli Stati Uniti d’America. Realizzare quest’ultimo forse può voler dire che è possibile realizzare anche gli altri. “C’è sempre speranza”.

martedì 4 novembre 2008

Le donne dei comics - Mystica



















È salita alla ribalta con i tre film ispirati ai fumetti degli X-Men, e c’è un motivo. Sicuramente è un personaggio interessante, ma il fatto che a interpretarla sia stata Rebecca Romijn, e che andasse in giro vestita praticamente della sua pelle, hanno certo contribuito a rendere il personaggio noto al grande pubblico, in particolare quello dei maschietti. Chi invece segue le storie delle testate mutanti da qualche anno, la conosceva già.

Mystica è un personaggio molto complesso e sfaccettato, uno di quelli che negli anni d’oro della Marvel rappresentava perfettamente il concetto di antieroe. Forse nessuno più di lei ha attraversato tante volte il limite che separa la legalità dal crimine. Esordisce alla testa di un gruppo di terroristi mutanti che vogliono rivendicare con la forza il loro diritto a esistere nel mondo tanto quanto gli umani. Di quel periodo, due personaggi fondamentali vanno presi in considerazione: la veggente cieca Destiny, e Rogue. Con la prima, Mystica ha sempre avuto un rapporto molto speciale, che andava oltre la semplice amicizia, a dimostrare come non per forza una terrorista dovesse essere priva di sentimenti, e la controprova è il dolore che ha provato quando se l’è vista morire tra le braccia. Di Rogue, Mystica si è sempre considerata la madre adottiva, la prima che l’ha accolta quando i poteri della ragazzina la rendevano un pericolo per chiunque le si avvicinasse. E proprio da lei venne la decisione di mandare la ragazza alla scuola per giovani dotati di Xavier, per aiutarla a gestire e controllare i suoi poteri come lei non poteva fare.
Subito dopo, Mystica diventa il leader di una squadra governativa per la gestione degli affari mutanti, quindi un agente del governo americano a tutti gli effetti, sotto la supervisione di Valerie Cooper. Da lì in poi, più volte ha prestato le sue abilità di mutaforma nonché le straordinarie capacità nelle arti marziali ora per una causa ora per l’altra, ora al fianco degli X-Men, di cui è arrivata a far parte per un periodo, ora scontrandosi con questi in battaglie all’ultimo sangue.

Potremmo dire quindi che, con la stessa facilità con cui è capace di cambiare aspetto, potendo assumere le sembianze di chiunque, Mystica è capace di mutare anima. Da spietata terrorista a madre gelosa, da assassina su commissione ad amante affettuosa. Uno di quei personaggi al limite tra il bene e il male che diversi anni fa hanno fatto il successo delle storie mutanti e di cui oggi si sente molto la mancanza. Non perché non vi sono oggi personaggi che potrebbero essere interessanti, ma perché non c’è più quella caratterizzazione intima e personale degli eroi e dei loro avversari che li rendeva qualcosa di più che semplici personaggi e li avvicinava molto al concetto di persone.

domenica 2 novembre 2008

A egregie cose...

Non serve, o non dovrebbe servire, che io stia qui a ricordare chi era Ugo Foscolo e quello che ha scritto. Voglio estrapolare, in questo giorno, un breve passo dal carme “Dei sepolcri”, perché in questo, più che in ogni altra cosa che io abbia letto, si trova spiegato il senso di questo giorno. Oggi noi onoriamo i defunti. Non importa credere o meno in una particolare forma di dio. Non importa che le persone che amavamo e che sono morte le ricordiamo ogni giorno. C’è qualcosa di più. Qualcosa che ancora ci possono dare. Qualcosa che accenda i nostri animi.

A egregie cose il forte animo accendono
l’urne de’ forti, o Pindemonte; e bella
e santa fanno al peregrin la terra
che le ricetta. Io, quando il monumento
vidi ove posa il corpo di quel grande
che, temperando lo scettro a’ regnatori,
gli allor ne sfronda, ed alle genti svela
di che lagrime grondi e di che sangue;
e l’arca di colui che nuovo Olimpo
alzò in Roma a’ Celesti; e di chi vide
sotto l’etereo padiglion rotarsi
più mondi, e il sole irradiarli immoto,
onde all’Anglo che tanta ala vi stese
sgombrò primo le vie del firmamento;
te beata, gridai, per le felici
aure pregne di vita, e pe’ lavacri
che da’ suoi gioghi a te versa Appennino!
Lieta dell’aer tuo veste la luna
di luce limpidissima i tuoi colli
per vendemmia festanti; e le convalli
popolate di case e d’oliveti
mille di fiori al ciel mandano incensi.
E tu prima, Firenze, udivi il carme
che allegrò l’ire al Ghibellin fuggiasco;
e tu i cari parenti e l’idioma
desti a quel dolce di Calliope labbro
che Amore, in Grecia nudo e nudo in Roma,
d’un velo candidissimo adornando,
rendea nel grembo a Venere celeste.
Ma più beata che in un tempio accolte
serbi l’italie glorie; uniche forse
dacchè le mal vietate Alpi e l’alterna
onnipotenza delle umane sorti,
armi e sostanze t’invadeano ed are
e patria e, tranne la memoria, tutto.

Lives

Non ho parlato molto spesso di manga in queste pagine, certamente non così spesso come ho parlato dei fumetti americani. Non perché tra i manga non vi siano opere degne di apprezzamento, anzi. Il motivo è forse un altro: i fumetti orientali sono per lo più seriali. Mi direte che anche quelli occidentali lo sono, anzi, a differenza delle serie manga, quelle occidentali hanno la caratteristica di essere pressoché infinite. Però c’è un aspetto della produzione americana che la distingue in maniera sostanziale da quella orientale. Un personaggio dei comics americani è una creatura che potremmo dire viva di vita propria. Viene creata da un team di autori, ma nella sua evoluzione naturale è previsto che siano molti altri a realizzarne storie e disegni, a volte mantenendone le caratteristiche originali, più spesso facendone delle reinterpretazioni. Inoltre, i grossi calibri del fumetto americano si sono sempre prestati come soggetti di miniserie e racconti autoconclusivi, spesso di pregiata fattura, che li rendono particolarmente adatti per analisi e commenti. Tutto questo in oriente non succede, o succede molto di rado. Un personaggio manga è sempre una creatura del suo scrittore, che spesso ne è anche il disegnatore, e le sue avventure si dipanano in una serie più o meno lunga. Per questo, non esistono interpretazioni diverse di un personaggio ad opera di più autori, né storie separate dal percorso principale delle sue vicende. Questo aspetto ne rende più difficile la trattazione, perché non è semplice analizzare tutti i motivi narrativi di una serie di venticinque – trenta albi senza scrivere un vero e proprio trattato. Inoltre, essendo produzioni quasi esclusive di una sola persona (gli assistenti si limitano a disegnare gli sfondi o a inchiostrare le tavole, e non sempre), le serie manga sono molto diluite nel tempo. Per darvi un’idea, la serie “Berserk” è stata pubblicata per la prima volta in Italia nell’agosto 1996, e oggi, dodici anni dopo, è arrivata all’equivalente del trentaduesimo volume originale. Una testata americana, nello stesso intervallo di tempo, sarebbe arrivata in vicinanza del numero 150!

Sotto questo aspetto, “Lives” è una storia atipica. L’autore è lo stesso di “Battle Royale”, Masayuki Taguchi, che in quella serie curava solo la parte grafica e che qui si cimenta anche con la scrittura. Non so se essere rammaricato o contento che “Lives” sia diverso dagli altri manga. In pratica, il fumetto non riscosse molto successo in patria, e l’autore dovette abbandonarne la produzione dopo aver realizzato i due numeri che sono arrivati da poco nel nostro paese, e che costituiscono il prologo ad una vicenda che doveva anche in questo caso articolarsi in una serie. Mi rammarico perché il lavoro sembrava davvero interessante, e avrei voluto leggerne il prosieguo. Mi rallegro perché così ho l’occasione di parlarne. A dispetto di quanti pensano che chi sa disegnare non sa scrivere, Taguchi mostra tutto il suo talento nel tessere una trama coinvolgente.

In un momento non ben precisato del nostro tempo, una catastrofe si abbatte sulla Terra, e in particolare sulla città di Tokyo, nella forma di una pioggia di meteoriti. Sembra che l’umanità sia destinata ad estinguersi, invece dopo le esplosioni, il mondo sembra solo essere regredito ad un’era primordiale. In luogo di palazzi e città compaiono alberi e foreste, senza alcuna traccia di civiltà. A poco a poco scopriamo dei sopravvissuti al disastro, che però hanno subito dei cambiamenti. Una sorta di mutazione consente loro di acquisire aspetto e capacità tipiche di alcune specie animali, compresi gli istinti connaturati in esse. E in un mondo privo di tecnologia e civiltà, il primo istinto è certamente la fame.

Con questo cambiamento che sconvolgerebbe chiunque, abbiamo l’occasione di vedere le reazioni dei vari personaggi, dalla paura all’ottimismo, dall’altruismo alla violenza. Inoltre, a beneficio dei lettori, il finale ci rivela un colpo di scena molto interessante, che doveva nelle intenzioni dell’autore costituire il punto di partenza della serie, cosa che ovviamente non è più successa. Infine, un cenno meritano i bellissimi disegni di Taguchi, che con le anatomie si trova molto a suo agio (lo aveva già dimostrato in “Battle Royale” e lo conferma qui), in particolare quelle femminili. Molto particolari sono soprattutto le espressioni dei volti, che trasmettono alla perfezione le emozioni dei personaggi. Un vero peccato quindi che la serie non abbia più preso forma, e che dobbiamo accontentarci di questo antipasto, che, per quanto raffinato e gustoso, ci lascia il desiderio di un piatto che non gusteremo mai.

In memoria 76 - Contro Pisa

Ahi, Pisa, vituperio delle genti
del bel paese là dove il sì suona;
poi che i vicini a te punir son lenti,
muovansi la Caparra e la Gorgonia,
e faccian siepe ad Arno i su la foce,
sì ch’egli anneghi in te ogni persona!
Chè se il conte Ugolino aveva voce
d’aver tradita te delle castella,
non dovei tu i figliuoli porre a tal croce.

Inferno, canto XXXIII versi 79-87