giovedì 27 agosto 2009

L'assenza

Quando quel qualcosa che conosci e che ti rende felice si allontana, ti manca. Ti manca al punto che ogni pensiero libero è per quella persona, ogni volta che guardi un punto indefinito pensi a lei, ogni volta che vai a dormire muovi il braccio nel posto accanto e pensi a quella mano che hai stretto, a quel profumo che hai sentito, a quella pelle che hai baciato. Vederla girarsi verso di te e sorridere ad ogni sguardo, sentirla accompagnare i tuoi gesti con i suoi, sentire quel corpo vicino al tuo ti fa desiderare che il tempo si fermi. E quando il tempo riparte, vale a poco sapere che pochi giorni dopo la rivedrai. Quello che ti manca è il qui e l’adesso. Vorresti guardarla e dirle che c’è un solo posto dove puoi stare, e quel posto è ovunque accanto a lei. Quando non senti più nessun odore, quello è l’odore della solitudine. E aspettare significa camminare con passi lenti, verso quel qualcosa che ormai sai che arriverà, ma proprio per questo ti sembra sempre un po’ troppo lontano. Ma in questa lentezza, in questo alone di tristezza, c’è la possibilità di essere felici. Perché non tutti hanno l’occasione di essere tristi perché la persona che amano è distante, alcuni possono solo essere tristi perché non hanno nessuna persona da amare. Ho provato questa seconda tristezza per molto tempo, e ora ho la fortuna di provare la prima. Per questa tristezza, questa malinconia, questa assenza che mi fai provare, ti ringrazio.






















L’assenza – Fiorella Mannoia

Sarai distante o sarai vicino,
sarai più vecchio o più ragazzino,
sarai contento o proverai dolore,
starai più al freddo o starai più al sole.

Conosco un posto dove puoi tornare,
conosco un cuore dove attraccare.

Se chiamo forte potrai sentire,
se credi agli occhi potrai vedere,
c’è un desiderio da attraversare,
e un magro sogno da decifrare.

Conosco un posto dove puoi tornare,
conosco un cuore dove attraccare.

Conosco un posto dove puoi tornare,
conosco un cuore dove puoi stare.

Piovono petali di girasole
sulla ferocia dell’assenza,
la solitudine non ha odore,
ed il coraggio è un’antica danza.
Tu segui i passi di questo aspettare,
tu segui il senso del tuo cercare.

Conosco un posto dove puoi tornare,
conosco un cuore dove puoi stare.



lunedì 17 agosto 2009

Nient'altro che noi


Chi segue questo blog da un po’ sa bene che non sono nuovo a post mooolto lunghi. Quando un argomento mi piace, ne parlo. Però ci sono cose di cui è troppo difficile parlare, delle sensazioni che le parole difficilmente possono esprimere. In questo periodo della mia vita mi sta capitando proprio questo. Mi trovo a provare sentimenti così belli che difficilmente potrei parlarne. Come si fa a descrivere quello che si prova a stare accanto alla persona che desideri, a guardarla, a stringerla. Queste cose si possono solo provare, non raccontare. E credo che tutti, almeno una volta nella vita, abbiano il diritto di provare quello che sto provando io adesso. Per darvi un’idea di quello che sento, mi affido alle parole della canzone, che già dal titolo esprime un concetto basilare dello stare insieme: non ti serve nient’altro. Quando sei con quella persona, tutto il resto è solo un contorno, un’aggiunta. Piacevole, certo, a volte emozionante. Ma senza tutto il resto non cambierebbe niente in quelle due persone, mentre senza l’altro tutto il resto non conta più niente.



Nient’altro che noi – 883

Potrei stare ore e ore qui ad accarezzare
la tua bocca ed i tuoi zigomi, senza mai parlare,
senza ascoltare altro, nient’altro che il tuo respiro crescere,
senza sentire altro che noi, nient’altro che noi.

Potrei stare fermo immobile, solo con te addosso,
a guardare le tue palpebre chiudersi a ogni passo
della mia mano lenta che scivola sulla tua pelle umida,
senza sentire altro che noi, nient’altro che noi.

Non c’è niente al mondo che valga un secondo
vissuto accanto a te, che valga un gesto tuo, un tuo movimento.
Perché niente al mondo mi ha mai dato tanto
da emozionarmi come quando siamo noi, nient’altro che noi.

Potrei perdermi guardandoti mentre stai dormendo,
col tuo corpo che, muovendosi, sembra stia cercando
anche nel sonno di avvicinarsi a me, quasi fosse impossibile
per te sentire altro che noi, nient’altro che noi.

Non c’è niente al mondo che valga un secondo
vissuto accanto a te, che valga un gesto tuo, un tuo movimento.
Perché niente al mondo mi ha mai dato tanto
da emozionarmi come quando siamo noi, nient’altro che noi.

Non c’è niente al mondo che valga un secondo
vissuto accanto a te, che valga un gesto tuo, un tuo movimento.
Perché niente al mondo mi ha mai dato tanto
da emozionarmi come quando siamo noi, nient’altro che noi.


lunedì 10 agosto 2009

Hagakure

L’Oriente esercita un fascino indiscutibile su noi abitanti del mondo occidentale, e il Giappone ha sempre rappresentato per me una sorta di regno incantato, dove forze misteriose pervadono le cose di tutti i giorni, anche gli oggetti e i gesti più semplici della vita quotidiana. “Hagakure” è una delle opere più significative tramandateci dalla tradizione giapponese, e la sua importanza è dovuta al fatto che ci trasmette l’antica saggezza dei samurai sotto forma di brevi aforismi, dai quali emerge lo spirito del Bushido, la Via del guerriero. Yamamoto Tsunetomo ci tramanda, attraverso la penna di un allievo, Tsuramoto, il codice dei samurai e l’ideale di vita che guidò tutta la sua esistenza. Anche se Tsunetomo aveva espressamente ordinato all’allievo di bruciare il manoscritto con i suoi aforismi alla sua morte, Tsuratomo lo fece circolare tra i samurai del feudo cui apparteneva, dove divenne il testo fondamentale segreto dell’etica marziale. Per oltre centocinquanta anni, “Hagakure” fu il libro segreto dei samurai e fu considerato alla stregua di un testo sacro. Solo con la restaurazione Meiji, a metà Ottocento, fu divulgato, e venne pubblicato per la prima volta nel 1906. purtroppo, nel corso della storia, ha conosciuto alterne vicende, ad esempio quando venne sfruttato per alimentare il fanatismo dei giovani kamikaze durante la seconda guerra mondiale. Tuttavia, “Hagakure” è proprio il contrario di un inno alla morte. Letto nel modo corretto, rivela un pensiero complesso e positivo. Morire per valori che si ritengono superiori è un principio basilare dell’etica del samurai, ma non si tratta della morte fisica, bensì del sopprimere il proprio ego per raggiungere la perfezione nella fedeltà ai propri ideali. Questo insegnamento sulla morte è estremamente prezioso e attuale. Attraverso la vittoria sulla paura di morire, ottenuta volgendo costantemente il pensiero alla fine, l’uomo raggiunge la libertà e la pace interiore. Ciò non significa rassegnarsi a percepire la vita con pessimismo, anzi vuol dire cogliere la gioia e la bellezza racchiuse in ogni singolo istante e vivere il momento presente in modo cosciente, nella sua unicità.

Una persona fondamentalmente sicura non si angustierà se dettagli o questioni minori si riveleranno contro le aspettative. Ma, alla fine, i particolari sono importanti. Il modo giusto e quello sbagliato di agire si trovano nelle piccole cose.

sabato 8 agosto 2009

Quindici domande... Quindici risposte

Prendo spunto da questo curioso giochetto mandatomi da un amico su Facebook, dato che in fondo è perfettamente in tema con quello di cui di solito parlo, e invito chiunque volesse a partecipare. In effetti, il titolo di un libro può dire molto su una persona, sia su quella che scrive che su quella che legge. E a volte è davvero curioso notare come a certe domande la risposta migliore è proprio questa, per quanto bizzarra possa suonare in prima battuta. Per esempio, sono particolarmente orgoglioso di come ho risposto al punto 2. In seguito ho provato a cercare qualcos’altro che andasse bene, ma non ho trovato niente che rendesse bene l’idea come quel titolo. Se poi si ha la fortuna di averlo letto, sarà ancora più bello capire il significato della frase.




ISTRUZIONI:
Domande su di te.
Rispondi usando i titoli dei libri che hai letto.


1. Sei maschio o femmina?
Se questo è un uomo (Primo Levi)

2. Descriviti:
La pioggia prima che cada (Jonathan Coe)

3. Cosa provano le persone quando stanno con te?
L'insostenibile leggerezza dell'essere (Milan Kundera)

4. Descrivi la tua relazione precedente:
Una storia comune (Shemuel Josef Agnon)

5. Descrivi la tua relazione corrente:
Guarda come ti amo (Luis Leante)

6. Dove vorresti trovarti?
Un po' più in là sulla destra (Fred Vargas)

7. Come ti senti nei riguardi dell'amore?
L'idiota (Fedor Dostoevskij)

8. Com'è la tua vita?
La solitudine dei numeri primi (Paolo Giordano)

9. Che cosa chiederesti se avessi a disposizione un solo desiderio?
Le città del mondo (Elio Vittorini)

10. Di' qualcosa di saggio...
L'amore non guasta (Jonathan Coe)

11. Una musica:
Per chi suona la campana (Ernest Hemingway)

12. Chi o cosa temi?
Le menzogne della notte (Gesualdo Bufalino)

13. Un rimpianto:
Vita (Melania Mazzucco)

14. Un consiglio per chi è più giovane:
Parti in fretta e non tornare (Fred Vargas)

15. Da evitare accuratamente:
La banda dei brocchi (Jonathan Coe)

giovedì 6 agosto 2009

Nei boschi eterni

I romanzi di Fred Vargas sono come i suoi personaggi. Niente è come sembra. E nessuno potrebbe essere il protagonista di un romanzo di Jean Baptiste Adamsberg se non Jean Baptiste Adamsberg. Un poliziotto spalatore di nuvole, uno che porta avanti le sue inchieste guardando volare i gabbiani sulla Senna, cercando ciottoli nel fondo del fiume della regione dove è nato, seguendo un’ombra. La logica è l’esatto opposto di quello che è lui. Pensieri in disordine, frasi a casaccio, disegni senza senso. Tutto questo viene incorporato insieme in un amalgama senza corpo né forma che alla fine produce un risultato che nessuna regola, nessuna legge, nessuna formula matematica potrebbe mai ottenere. Allo stesso modo, la scrittura di Fred Vargas segue gli stessi ritmi. Un romanzo si sviluppa con parole, frasi, capitoli che si avvinghiano gli uni agli altri cercando una strada nel nulla del caso, ma alla fine, a pochi metri dalla meta, deviano verso un sentiero secondario, un viottolo sterrato e poco battuto, che però è l’unico che conduce alla reale destinazione, alla conclusione della storia. Leggere questi romanzi è esattamente come inoltrarsi sulle strade di una città sconosciuta con in mano una mappa e una bussola, solo che è la mappa di un’altra città e la bussola non segna il nord. Solo quando ci si rende conto che non si può fare affidamento sulla logica, si raggiunge il luogo che si è cercato, la fine della storia, il colpevole.

È esattamente questo che succede in “Nei boschi eterni”. Per centinaia di pagine seguiamo il corso caotico dei pensieri di Adamsberg, tra passato e presente, tra formule magiche e guerre di stambecchi, per renderci conto solo alla fine che siamo stati tutti tratti in inganno, a cominciare da lui e dall’intera squadra Anticrimine del tredicesimo arrondissement di Parigi. A niente valgono le logiche erudizioni di Danglard, la potenza di Retancourt, la tecnologia di Froissy, e le altre qualità dei poliziotti della squadra. Alla fine, per trovare una collega scomparsa, bisogna fare affidamento sul fiuto di un gatto che di solito è troppo inerte perfino per andare fino alla ciotola dell’acqua. sono queste le uniche armi che Adamsberg possiede, armi imprecise, senza mirino, senza filo, senza impugnatura. Armi che nemmeno lui sa come utilizzare. Non c’è una regola, non c’è logica. Adamsberg ha solo una vanga con cui spalare nuvole. Che potrà sembrare inutile, ma solo lui sa come fare bene una cosa inutile.

Adamsberg annuì: la solida razionalità della patologa lo faceva riemergere dalle sue brume. L’ombra non poteva essere ovunque, a Freiburg, alla Chapelle, a Montrouge, a casa sua. Era soprattutto nella sua testa.
“Hai ragione”, disse.
“Limitati a lavorare come un idiota, un passo per volta. Il lucido, le scarpe, la descrizione tipo che ti ho fornito, i testimoni che potrebbero averla vista con Diala e La Paille”.
“In fondo, mi consigli di lavorare logicamente”.
“Sì. Conosci un altro modo?”.
“Conosco solo un altro modo”.