giovedì 6 agosto 2009

Nei boschi eterni

I romanzi di Fred Vargas sono come i suoi personaggi. Niente è come sembra. E nessuno potrebbe essere il protagonista di un romanzo di Jean Baptiste Adamsberg se non Jean Baptiste Adamsberg. Un poliziotto spalatore di nuvole, uno che porta avanti le sue inchieste guardando volare i gabbiani sulla Senna, cercando ciottoli nel fondo del fiume della regione dove è nato, seguendo un’ombra. La logica è l’esatto opposto di quello che è lui. Pensieri in disordine, frasi a casaccio, disegni senza senso. Tutto questo viene incorporato insieme in un amalgama senza corpo né forma che alla fine produce un risultato che nessuna regola, nessuna legge, nessuna formula matematica potrebbe mai ottenere. Allo stesso modo, la scrittura di Fred Vargas segue gli stessi ritmi. Un romanzo si sviluppa con parole, frasi, capitoli che si avvinghiano gli uni agli altri cercando una strada nel nulla del caso, ma alla fine, a pochi metri dalla meta, deviano verso un sentiero secondario, un viottolo sterrato e poco battuto, che però è l’unico che conduce alla reale destinazione, alla conclusione della storia. Leggere questi romanzi è esattamente come inoltrarsi sulle strade di una città sconosciuta con in mano una mappa e una bussola, solo che è la mappa di un’altra città e la bussola non segna il nord. Solo quando ci si rende conto che non si può fare affidamento sulla logica, si raggiunge il luogo che si è cercato, la fine della storia, il colpevole.

È esattamente questo che succede in “Nei boschi eterni”. Per centinaia di pagine seguiamo il corso caotico dei pensieri di Adamsberg, tra passato e presente, tra formule magiche e guerre di stambecchi, per renderci conto solo alla fine che siamo stati tutti tratti in inganno, a cominciare da lui e dall’intera squadra Anticrimine del tredicesimo arrondissement di Parigi. A niente valgono le logiche erudizioni di Danglard, la potenza di Retancourt, la tecnologia di Froissy, e le altre qualità dei poliziotti della squadra. Alla fine, per trovare una collega scomparsa, bisogna fare affidamento sul fiuto di un gatto che di solito è troppo inerte perfino per andare fino alla ciotola dell’acqua. sono queste le uniche armi che Adamsberg possiede, armi imprecise, senza mirino, senza filo, senza impugnatura. Armi che nemmeno lui sa come utilizzare. Non c’è una regola, non c’è logica. Adamsberg ha solo una vanga con cui spalare nuvole. Che potrà sembrare inutile, ma solo lui sa come fare bene una cosa inutile.

Adamsberg annuì: la solida razionalità della patologa lo faceva riemergere dalle sue brume. L’ombra non poteva essere ovunque, a Freiburg, alla Chapelle, a Montrouge, a casa sua. Era soprattutto nella sua testa.
“Hai ragione”, disse.
“Limitati a lavorare come un idiota, un passo per volta. Il lucido, le scarpe, la descrizione tipo che ti ho fornito, i testimoni che potrebbero averla vista con Diala e La Paille”.
“In fondo, mi consigli di lavorare logicamente”.
“Sì. Conosci un altro modo?”.
“Conosco solo un altro modo”.

2 commenti:

Fra ha detto...

i tuoi commenti mi fanno sempre venir voglia di iniziare a leggere il libro che consigli. Questo tra l'altro ce l'ho in libreria...
Un abbraccio
fra

Adryss ha detto...

Non ti resta che procurare tutti gli altri! ^^ Io sto sbavando da un mese dietro all'ultimo, "Un luogo incerto"... non vedo l'ora di poterlo comprare! Un bacio, :-)