Esordio italiano per la scrittrice norvegese Anne Holt, che con questo romanzo si inserisce a pieno titolo nel filone dei romanzi gialli dal sapore letterario. Dalle poche ma incisive righe biografiche in quarta di copertina, si capisce che la sua non è una passione solo narrativa ma anche professionale. Laureata in legge ma con un passato di giornalista televisiva, collaboratrice della Polizia di Stato norvegese, avvocato, con una piccola parentesi di un paio di anni come Ministro della Giustizia. Fin dai suoi esordi letterari, nei primi anni Novanta, ha riscosso molto favore da parte di pubblico e critica, vincendo perfino il più prestigioso premio norvegese per il crime novel, The Riverton Prize. “Quello che ti meriti” è il primo di una serie di thriller investigativi che ha per protagonisti l’investigatore Stubo e la criminologa Vik.
Nel freddo della Norvegia sembra che tutto debba muoversi seguendo la lenta e monotona routine che ci si aspetta dai popoli nordici, ma la realtà è molto più complessa di come ce la aspettiamo. Quando sparisce un bambino senza che nessuno se ne accorga, scattano la preoccupazione dei genitori e le ricerche delle autorità locali, ma le ipotesi riguardo alla scomparsa sono molte. Nella maggior parte dei casi si tratta di piccole fughe da casa di bambini troppo vivaci e sicuri di loro stessi. Quando il numero comincia a crescere e i bambini non si trovano, la preoccupazione sale e si cominciano a fare ipotesi molto più serie e angoscianti, soprattutto se non arriva nessuna richiesta di riscatto. Quando una coppia di genitori riceve un misterioso pacco che si scopre contenere il cadavere del figlio, con sopra un biglietto dove si legge l’enigmatica frase ‘Adesso hai quello che ti meriti’, il problema diventa un caso di polizia criminale. Ma l’investigatore Yngvar Stubo non sa dove sbattere la testa, dato che i bambini rapiti e ritrovati morti non sembrano avere nessun collegamento tra loro, così come i loro genitori, i luoghi dove sono scomparsi o le circostanze del rapimento. Forse, potrebbe aiutarlo Johanne Vik, una persona che si occupa di analizzare tutto quello che succede nelle menti criminali. È così che si mette insieme una improbabile squadra di detective in cui alla percettività ed esperienza dell’uomo di legge si mescoleranno le speculazioni logico – psicologiche della donna di ricerca. E il tempo stringe, perché gli assassini come quello che ha ucciso i bambini in genere non si fermano da soli, vogliono essere fermati, e visto che manca all’appello un cadavere, c’è la possibilità che la prima bambina scomparsa sia ancora viva.
Muovendosi in maniera altalenante tra l’interpretazione psicologica dei personaggi e le scene d’azione, Anne Holt intesse una trama sottile e variegata, che alterna più filoni di un’unica narrazione, che convergeranno solo alla fine. I tormenti passati dell’investigatore Stubo si uniscono alla vita complicata di Johanne e di sua figlia Kristian, e a un caso giudiziario di molti anni prima, che ha suscitato la curiosità della criminologa, e in cui un innocente ha scontato anni di galera e odio sociale per qualcosa che non ha mai commesso. Ma proprio nelle ultime pagine del romanzo, si insinua un sospetto: che Aksel Seier abbia pagato in anticipo le colpe di qualcuno che non potrà più essere punito?
I bambini non sanno di dover morire. Non hanno il concetto della morte. Lottano per vivere istintivamente, come le lucertole che se minacciate sono pronte a rinunciare alla coda. Tutte le creature sono geneticamente programmate per cercare di sopravvivere. Anche i bambini. Loro però non hanno il concetto della morte. Ai bambini fanno paura le cose concrete. Il buio. Gli sconosciuti, forse; essere separati dalla famiglia, il dolore, i rumori spaventosi, la perdita di un oggetto. La morte, invece, è incomprensibile per una mente non ancora matura. I bambini non sanno di dover morire.
Nel freddo della Norvegia sembra che tutto debba muoversi seguendo la lenta e monotona routine che ci si aspetta dai popoli nordici, ma la realtà è molto più complessa di come ce la aspettiamo. Quando sparisce un bambino senza che nessuno se ne accorga, scattano la preoccupazione dei genitori e le ricerche delle autorità locali, ma le ipotesi riguardo alla scomparsa sono molte. Nella maggior parte dei casi si tratta di piccole fughe da casa di bambini troppo vivaci e sicuri di loro stessi. Quando il numero comincia a crescere e i bambini non si trovano, la preoccupazione sale e si cominciano a fare ipotesi molto più serie e angoscianti, soprattutto se non arriva nessuna richiesta di riscatto. Quando una coppia di genitori riceve un misterioso pacco che si scopre contenere il cadavere del figlio, con sopra un biglietto dove si legge l’enigmatica frase ‘Adesso hai quello che ti meriti’, il problema diventa un caso di polizia criminale. Ma l’investigatore Yngvar Stubo non sa dove sbattere la testa, dato che i bambini rapiti e ritrovati morti non sembrano avere nessun collegamento tra loro, così come i loro genitori, i luoghi dove sono scomparsi o le circostanze del rapimento. Forse, potrebbe aiutarlo Johanne Vik, una persona che si occupa di analizzare tutto quello che succede nelle menti criminali. È così che si mette insieme una improbabile squadra di detective in cui alla percettività ed esperienza dell’uomo di legge si mescoleranno le speculazioni logico – psicologiche della donna di ricerca. E il tempo stringe, perché gli assassini come quello che ha ucciso i bambini in genere non si fermano da soli, vogliono essere fermati, e visto che manca all’appello un cadavere, c’è la possibilità che la prima bambina scomparsa sia ancora viva.
Muovendosi in maniera altalenante tra l’interpretazione psicologica dei personaggi e le scene d’azione, Anne Holt intesse una trama sottile e variegata, che alterna più filoni di un’unica narrazione, che convergeranno solo alla fine. I tormenti passati dell’investigatore Stubo si uniscono alla vita complicata di Johanne e di sua figlia Kristian, e a un caso giudiziario di molti anni prima, che ha suscitato la curiosità della criminologa, e in cui un innocente ha scontato anni di galera e odio sociale per qualcosa che non ha mai commesso. Ma proprio nelle ultime pagine del romanzo, si insinua un sospetto: che Aksel Seier abbia pagato in anticipo le colpe di qualcuno che non potrà più essere punito?
I bambini non sanno di dover morire. Non hanno il concetto della morte. Lottano per vivere istintivamente, come le lucertole che se minacciate sono pronte a rinunciare alla coda. Tutte le creature sono geneticamente programmate per cercare di sopravvivere. Anche i bambini. Loro però non hanno il concetto della morte. Ai bambini fanno paura le cose concrete. Il buio. Gli sconosciuti, forse; essere separati dalla famiglia, il dolore, i rumori spaventosi, la perdita di un oggetto. La morte, invece, è incomprensibile per una mente non ancora matura. I bambini non sanno di dover morire.
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