Stavolta, piuttosto che con il Morrison visionario e allucinato con il quale siamo abituati ad avere a che fare, siamo alle prese con quello cinico e spietatamente critico nei confronti della società. Quello della prima parte di “Animal man”, o delle prime cinque o sei pagine di “The Invisibles”, per intenderci. Non ci sono dialoghi assurdi, non ci sono creature dall’improbabile natura, non ci sono nemmeno supereroi. C’è solo una ragazza adolescente, anonima e annoiata, dalla vita monotona e totalmente prevedibile, immersa nei cliché della società piccolo borghese di un quartiere bene, dove la più grande preoccupazione familiare è cosa potrebbero pensare i vicini. Ad un certo punto questa ragazza vede piombare nella sua vita il classico teppista, selvaggio e irresistibile, che le mette davanti le possibilità di una vita vissuta ben oltre i confini della legalità e del buon costume. Il tipico ragazzo spedito (letteralmente) ad un orfanotrofio appena nato, dentro una scatola di cartone di cui gli hanno consegnato i francobolli, cresciuto poco e male, e per il quale sesso, alcol, droga e armi sono le uniche ragioni di vita. È ovvio che una presenza disturbante come questa non può non avere un qualche effetto sulla vita di una ragazza in un periodo complicato e pericoloso come l’adolescenza. Che fare? Continuare la sua vita di privazioni e banalità come se nulla fosse, o uccidere il proprio ragazzo e darsi alla fuga, senza sapere dove andare, inseguiti dalla polizia, e avendo come unico scopo quello di trascorrere un lampo di pura incoscienza e vitalità?Spietato e dissacrante come pochi sanno essere, Grant Morrison non

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