Stavolta, piuttosto che con il Morrison visionario e allucinato con il quale siamo abituati ad avere a che fare, siamo alle prese con quello cinico e spietatamente critico nei confronti della società. Quello della prima parte di “Animal man”, o delle prime cinque o sei pagine di “The Invisibles”, per intenderci. Non ci sono dialoghi assurdi, non ci sono creature dall’improbabile natura, non ci sono nemmeno supereroi. C’è solo una ragazza adolescente, anonima e annoiata, dalla vita monotona e totalmente prevedibile, immersa nei cliché della società piccolo borghese di un quartiere bene, dove la più grande preoccupazione familiare è cosa potrebbero pensare i vicini. Ad un certo punto questa ragazza vede piombare nella sua vita il classico teppista, selvaggio e irresistibile, che le mette davanti le possibilità di una vita vissuta ben oltre i confini della legalità e del buon costume. Il tipico ragazzo spedito (letteralmente) ad un orfanotrofio appena nato, dentro una scatola di cartone di cui gli hanno consegnato i francobolli, cresciuto poco e male, e per il quale sesso, alcol, droga e armi sono le uniche ragioni di vita. È ovvio che una presenza disturbante come questa non può non avere un qualche effetto sulla vita di una ragazza in un periodo complicato e pericoloso come l’adolescenza. Che fare? Continuare la sua vita di privazioni e banalità come se nulla fosse, o uccidere il proprio ragazzo e darsi alla fuga, senza sapere dove andare, inseguiti dalla polizia, e avendo come unico scopo quello di trascorrere un lampo di pura incoscienza e vitalità?
Spietato e dissacrante come pochi sanno essere, Grant Morrison non perde l’occasione di criticare ogni aspetto ipocrita della società contemporanea, dalla famiglia benpensante e perbenista che ha anche qualche scheletruccio nell’armadio di cui però non si deve parlare, ai finti anarchici e rivoluzionari, che sotto il velo della contestazione artistica nascondono solo un mucchio di parole vuote e la concreta e paralizzante paura che impedisce quasi sempre di agire a coloro che spendono molto tempo a parlare. Alla fine, la vera rivoluzione (se così si può definire il suo atto conclusivo) la farà proprio quel delinquente, con una bomba a mano che era destinata ad essere solo un’immagine simbolica e concettuale. E se dieci anni possono essere sufficienti a trasformare un’adolescente in una brava mammina, non è detto che la lezione insegnatale dal poco di buono di cui si era innamorata, quella del prendere in mano la propria vita e cambiarla, con ogni mezzo, lecito o illecito che sia, non possa ancora dare i suoi frutti.
Spietato e dissacrante come pochi sanno essere, Grant Morrison non perde l’occasione di criticare ogni aspetto ipocrita della società contemporanea, dalla famiglia benpensante e perbenista che ha anche qualche scheletruccio nell’armadio di cui però non si deve parlare, ai finti anarchici e rivoluzionari, che sotto il velo della contestazione artistica nascondono solo un mucchio di parole vuote e la concreta e paralizzante paura che impedisce quasi sempre di agire a coloro che spendono molto tempo a parlare. Alla fine, la vera rivoluzione (se così si può definire il suo atto conclusivo) la farà proprio quel delinquente, con una bomba a mano che era destinata ad essere solo un’immagine simbolica e concettuale. E se dieci anni possono essere sufficienti a trasformare un’adolescente in una brava mammina, non è detto che la lezione insegnatale dal poco di buono di cui si era innamorata, quella del prendere in mano la propria vita e cambiarla, con ogni mezzo, lecito o illecito che sia, non possa ancora dare i suoi frutti.
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