Poco fa ero affacciato alla finestra e guardavo l’ingresso del Pronto Soccorso. È strano come i pensieri ti raggiungano quando non te li aspetti. È notte, sono di guardia in ospedale, tutto tranquillo, ho fatto il giro, controllato i malati, nessuna emergenza. Ripasso qualcosa, poi magari mi metto a leggere. E invece, guardando un’ambulanza entrare con la luce lampeggiante, mi vengono un mare di pensieri in testa. Ricordi del passato, ricordi di un futuro che ancora non si è verificato, ricordi di un futuro che forse, anzi quasi sicuramente, non si verificherà mai. Che diavolo significano queste cose? Parole in disordine senza nessun nesso logico? Ricordare il futuro? Forse sono i miei neuroni svegli dalle 5.30 di mattina, che hanno sostenuto la tensione degli esami di profitto del primo anno di specializzazione, e che dovranno affrontare una notte in ospedale, e poi una mattina, e poi un pomeriggio? Guardo uno schermo, ci sono delle facce. Vedo una donna con la pancia, congratulazioni. Vedo una ragazza con la chitarra, mi fa piacere. Non vedo l’unica cosa che vorrei vedere. Ricordi di quando ero più piccolo. C’erano tante cose in meno, in me, a quel tempo. Ho fatto passi avanti. Ho corso, ho girato angoli, ho salito scale, ho superato ostacoli, sono caduto, mi sono ferito. Ma questa è l’unica cosa che continuo a sentire, che continua a capitare, che continuo a provare, che continuo a incontrare. Che continua. Sono un medico, curo le ferite. Sono bravo. Non è presunzione, e non c’è falsa modestia. Sono bravo. So quello che so fare, so quello che devo fare, so che non posso non farlo, e lo faccio. E lo so fare. Allora perché l’unica altra cosa che mi manca non riesco a farla? Ho imparato a infilare aghi praticamente in ogni vaso sanguigno del corpo umano, ho imparato a prelevare roba praticamente da ogni cavità, e l’ho imparato da solo, guardando, ascoltando, toccando, rubando, provando. Se tremavo dentro, fuori ero di pietra. Ho guardato negli occhi persone alle quali ho detto che sarebbero morte, ho affrontato la paura, la disperazione e l’odio dei familiari. Non mi sono mai tirato indietro di fronte a queste cose. E poi, mi ritrovo a scrivere una mail, anzi un allegato ad una mail, che forse rimarrà senza risposta. Ho la terribile sensazione di stare scappando. Odio scappare. E odio non capire perché scappo. Anche se forse non sto proprio scappando. Semplicemente, questa cosa non sono ancora bravo a farla. Guardo due occhi azzurri ai quali ho cercato di dare, di trasmettere qualcosa, quello che so. Trasmetti ciò che imparato hai. Ho trasmesso quello che non c’è nei libri, quello che ho imparato con il mio sacrificio, con il mio impegno, con la mia passione. Ho cercato di trasmettere il sacrificio, l’impegno, la passione, a quegli occhi azzurri. E poi scrivo.
lunedì 16 maggio 2011
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2 commenti:
...e scrivi pure bene.
Grazie. Non hai idea di quello che ti passa per la testa in una notte di guardia in ospedale, a meno che non le faccia anche tu!
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