L’avevo comprato per l’unico motivo per cui copro i romanzi in versione economica: fare conto paro. Poi qualche settimana fa ho visto Erri De Luca intervistato a “Che tempo che fa”. Non lo conoscevo, mai visto né sentito parlare, prima. Mai letto niente. L’intervista mi è piaciuta, soprattutto la parte sulla Bibbia. A quanto pare, quando si alza al mattino, legge la Bibbia in ebraico antico. Dice che è una sua esigenza di risveglio, ha bisogno di svegliarsi “in ebraico antico e con caffé napoletano”. È molto bella l’immagine di una persona che si alza in un lingua. Come se quella lingua possa servire come prima interfaccia tra il mondo del sonno e quello della veglia. Mi è piaciuto perché anche io, sebbene non proprio sempre, ho bisogno di svegliarmi in un certo modo. Niente di così intellettuale come Erri De Luca, ma ognuno è fatto a modo suo. Sentendo quell’intervista, mi è venuta voglia di leggere l’unico libro che ho di questo autore, che a quanto pare è piuttosto famoso, ma che io non conoscevo.
A quanto dice il titolo (e pare che sia vero), tutto il mondo è diviso in tre. E anche la vita di un uomo è divisa in tre. Tre anni una siepe, tre siepi un cane, tre cani un cavallo, tre cavalli un uomo. Qui si raccontano i primi due cavali di un uomo, lui stesso li racconta, a se stesso, a chi lo circonda, a noi che lo leggiamo. Non ci sono verbi al passato, per lui, tutto è qui e ora, anche quello che era da qualche altra parte e prima. L’altra parte è quel triangolo rettangolo di terra che si chiama Argentina, e in Argentina un italiano ci va per tanti motivi. Lui ci è andato per amore, ed è finito a combattere la dittatura quando gli hanno ucciso la ragazza. Una guerriglia clandestina fatta di toccate (poche) e fughe (molte). L’ultima di queste lo porta fino al corno più a sud del paese, e qui scopre una grande verità: il sud è il cappello, non le scarpe, del mondo. Devi appendere una cartina al contrario per capire veramente il mondo. Ma il presente dell’Argentina, della guerra e della morte, lascia il posto al presente del giardiniere, della poesia, dei libri usati. Di parole senza articoli, senza preposizioni. Parole che colgono il significato puro della realtà. Una per tutte è amore. Amore di oggi, Laila, gli fa ricordare amore di ieri, in Argentina, ed è bello e triste allo stesso tempo vedere come si accartocciano i ricordi nella mente di un giardiniere. Un extracomunitario che vive vendendo mazzetti di mimose gli insegna cos’è l’onestà, la gratitudine e il dovere. Glielo insegna (o forse solo ricorda) nel modo peggiore possibile. Ma io non sono riuscito a non ammirarlo. Con una macchia su un marciapiede, muore il secondo cavallo. Il primo era morto su una nave che partiva dall’Argentina. Come e dove morirà il terzo, nemmeno il più saggio può dirlo.
Vado per il campo con un nuovo alberello di melo da piantare.
Lo metto giù, lo giro, guardo i suoi rami appena accennati tentare posto nello spazio intorno.
Un albero ha bisogno di due cose: sostanza sotto terra e bellezza fuori. Sono creature concrete ma spinte da una forza di eleganza. Bellezza necessaria a loro è vento, luce, uccelli, grilli, formiche e un traguardo di stelle verso cui puntare la formula dei rami.
La macchina che negli alberi spinge linfa in alto è bellezza, perché solo la bellezza in natura contraddice la gravità.
Senza bellezza l’albero non vuole. Perciò mi fermo in un punto del campo e chiedo: “Qui vuoi?”.
Non mi aspetto una risposta, un segno nel pugno in cui tengo il suo tronco, però mi piace dire una parola all’albero. Lui sente i bordi, gli orizzonti e cerca un punto esatto per sorgere.
Un albero ascolta comete, pianeti, ammassi e sciami. Sente le tempeste sul sole e le cicale addosso con la stessa premura di vegliare. Un albero è alleanza tra il vicino è il perfetto lontano.
Se viene da un vivaio e deve attecchire in suolo sconosciuto, è confuso come un ragazzo di campagna al primo giorno di fabbrica. Così lo porto a spasso prima di scavargli il posto.
A quanto dice il titolo (e pare che sia vero), tutto il mondo è diviso in tre. E anche la vita di un uomo è divisa in tre. Tre anni una siepe, tre siepi un cane, tre cani un cavallo, tre cavalli un uomo. Qui si raccontano i primi due cavali di un uomo, lui stesso li racconta, a se stesso, a chi lo circonda, a noi che lo leggiamo. Non ci sono verbi al passato, per lui, tutto è qui e ora, anche quello che era da qualche altra parte e prima. L’altra parte è quel triangolo rettangolo di terra che si chiama Argentina, e in Argentina un italiano ci va per tanti motivi. Lui ci è andato per amore, ed è finito a combattere la dittatura quando gli hanno ucciso la ragazza. Una guerriglia clandestina fatta di toccate (poche) e fughe (molte). L’ultima di queste lo porta fino al corno più a sud del paese, e qui scopre una grande verità: il sud è il cappello, non le scarpe, del mondo. Devi appendere una cartina al contrario per capire veramente il mondo. Ma il presente dell’Argentina, della guerra e della morte, lascia il posto al presente del giardiniere, della poesia, dei libri usati. Di parole senza articoli, senza preposizioni. Parole che colgono il significato puro della realtà. Una per tutte è amore. Amore di oggi, Laila, gli fa ricordare amore di ieri, in Argentina, ed è bello e triste allo stesso tempo vedere come si accartocciano i ricordi nella mente di un giardiniere. Un extracomunitario che vive vendendo mazzetti di mimose gli insegna cos’è l’onestà, la gratitudine e il dovere. Glielo insegna (o forse solo ricorda) nel modo peggiore possibile. Ma io non sono riuscito a non ammirarlo. Con una macchia su un marciapiede, muore il secondo cavallo. Il primo era morto su una nave che partiva dall’Argentina. Come e dove morirà il terzo, nemmeno il più saggio può dirlo.
Vado per il campo con un nuovo alberello di melo da piantare.
Lo metto giù, lo giro, guardo i suoi rami appena accennati tentare posto nello spazio intorno.
Un albero ha bisogno di due cose: sostanza sotto terra e bellezza fuori. Sono creature concrete ma spinte da una forza di eleganza. Bellezza necessaria a loro è vento, luce, uccelli, grilli, formiche e un traguardo di stelle verso cui puntare la formula dei rami.
La macchina che negli alberi spinge linfa in alto è bellezza, perché solo la bellezza in natura contraddice la gravità.
Senza bellezza l’albero non vuole. Perciò mi fermo in un punto del campo e chiedo: “Qui vuoi?”.
Non mi aspetto una risposta, un segno nel pugno in cui tengo il suo tronco, però mi piace dire una parola all’albero. Lui sente i bordi, gli orizzonti e cerca un punto esatto per sorgere.
Un albero ascolta comete, pianeti, ammassi e sciami. Sente le tempeste sul sole e le cicale addosso con la stessa premura di vegliare. Un albero è alleanza tra il vicino è il perfetto lontano.
Se viene da un vivaio e deve attecchire in suolo sconosciuto, è confuso come un ragazzo di campagna al primo giorno di fabbrica. Così lo porto a spasso prima di scavargli il posto.