Le mie colleghe mi chiamano "Ippo", per altri sono solo "'u dutturi". Quello vero è Filippo Maria Longo, anche se pochi lo sanno. Non so bene come sono capitato sul web, ma credo che ci resterò per un po'. Sembra un posto niente male.
Haddon - Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte
Jackson - L'incubo di Hill House
Wescott - Il falco pellegrino
Spark - Il settimo conte di Lucan
Richler - La versione di Barney
McGrath - Grottesco
McGrath - Follia
Parks - Lingue di fuoco
Agnon - Una storia comune
Marai - Confessioni di un borghese
Marai - Le braci
Tolkien - Lo hobbit
Tolkien - Il signore degli anelli
Mazzantini - Non ti muovere
Camilleri - La gita a Tindari
Camilleri - La pazienza del ragno
Camilleri - Un mese con Montalbano
Camilleri - Un filo di fumo
Camilleri - La voce del violino
Camilleri - La forma dell'acqua
Camilleri - Il ladro di merendine
Camilleri - Il cane di terracotta
Grimm - Le fiabe del focolare
Hemingway - Per chi suona la campana
Lovecraft - La tomba
Meyer - La soluzione sette percento
Tsunetomo - Hagakure
Mazzucco - Vita
Rizzo - Ethlinn la dea nascosta
Tabucchi - Sostiene Pereira
Swift - I viaggi di Gulliver
Verne - Viaggio al centro della terra
Verne - Il giro del mondo in ottanta giorni
Xingjian - La montagna dell'anima
Marx - Manifesto del partito comunista
Levi - Le parole sono pietre
Levi - Cristo si è fermato a Eboli
Graves - La storia ancestrale
Dick - I giocatori di titano
Cotterell - Miti e leggende
Miller - Tropico del Capricorno
Miller - Tropico del Cancro
King - Quattro dopo mezzanotte
King - L'incendiaria
King - La metà oscura
Hesse - Il giuoco delle perle di vetro
Golding - Il sognore delle mosche
Cornwell - La spada perduta
Cornwell - Il tradimento
Cornwell - La torre in fiamme
Cornwell - Il cuore di Derfel
Cornwell - Il re d'inverno
Buzzati - Il deserto dei Tartari
Clarcke - 2001 Odissea nello spazio
Burgess - Arancia meccanica
Tomasi di Lampedusa - I racconti
Stevenson - Lo strano caso del dr. Jekyll e del sig. Hyde
Sciascia - Il contesto
Sciascia - Gli zii di Sicilia
Nietzesche - Autobiografia attraverso le lettere
Nietzesche - Il crepuscolo degli idoli
Nietzesche - L'anticristo
Vittorini - Le città del mondo
Stoker - Dracula
Salinger - Il giovane Holden
De Roberto - I Vicerè
Tomasi di Lampedusa - Il gattopardo
Benni - La compagnia dei Celestini
Alajmo - Nuovo repertorio dei pazzi della città di Palermo
Bradbury - Fahrenheit 451
Cavallaro e Martino - Tra scienza e arte
Kundera - Lo scherzo
Kesey - Qualcuno volò sul nido del cuculo
Garcia Marquez - Cent'anni di solitudine
Bellonci - Rinascimento privato
King - La zona morta
King - Cose preziose
Hemingway - Addio alle armi
Hemingway - Il vecchio e il mare
Cadnum - Lo specchio di Giuda
Bassani - Il giardino dei Finzi Contini
Shelley - Frankenstein
Tolstoj - Anna Karenina
Sepulveda - Jacaré
Morgan - Il cielo, la terra e quel che sta nel mezzo
Sciascia - I pugnalatori
Kundera - L'insostenibile leggerezza dell'essere
Sciascia - Il giorno della civetta
Poe - Racconti
Natoli - I beati paoli
Levi - La tregua
Levi - Se questo è un uomo
Moro - Utopia
Freud - Il disagio della civiltà
Bonaviri - L'infinito lunare
Baum - Il mago di Oz
Baudelaire - I fiori del male
Defoe - Robinson Crusoe
Cussler - Iceberg
Cussler - Onda d'urto
Gurney - Dinotopia
Jacq - L'ultimo nemico
Jacq - La regina di Abu Simbel
Jacq - La battaglia di Qadesh
Jacq - La dimora millenaria
Jacq - Il figlio della luce
Melville - Moby Dick
Pavese - La luna e i falò
Verne - Ventimila leghe sotto i mari
Svevo - La coscienza di Zeno
Sciascia - A ciascuno il suo
Sciascia - Il mare colore del vino
Moravia - L'attenzione
Conan Doyle - La valle della paura
Lovecraft - La casa stregata
Hesse - Siddharta
Freud - Aforismi e pensieri
Guareschi - Il compagno Don Camillo
Guareschi - Don Camillo
Collodi - Le avventure di Pinocchio
Clancy - La grande fuga dell'Ottobre rosso
Adams - La collina dei conigli
Conan Doyle - Il segno dei quattro
Conan Doyle - Lo studio in rosso
Cussler - Virus
Cussler - Dragon
Avviso
Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto aggiornato senza alcuna periodicità. Non può essere pertanto considerato un prodotto editoriale ai sensi della legge numero 62 del 07/03/2001. I testi sono frutto della elaborazione personale degli argomenti di cui tratto, salvo le citazioni, esplicitamente dichiarate, di opere di altri autori. Le immagini pubblicate sono state trovate su pagine web e giudicate di pubblico dominio. Se qualcuno, potendo vantare diritti su di esse, volesse chiederne la rimozione, può scrivere all'indirizzo di posta elettronica reperibile all'interno del mio profilo personale.
Apparire è da sempre stata una componente fondamentale dell’essere. Nella letteratura prima, e in tutte le arti da essa derivate poi, come il teatro, il cinema e tante altre, il concetto del soggetto osservato è sempre stato un tema centrale. Basti pensare a quanto antico sia il manufatto che noi chiamiamo maschera. Nelle civiltà precolombiane, nelle tribù africane, nell’antico Egitto, la maschera ha sempre fatto parte della ritualità. Un oggetto che come unico scopo aveva quello di coprire ciò che realmente è per rivelare quello che deve essere mostrato. Venendo a giorni più vicini ai nostri, non si può non pensare a Pirandello, che della dissociazione tra soggetto osservante e soggetto osservato ha fatto uno dei suoi capisaldi. Da “Così è (se vi pare)” a “Uno, nessuno, centomila”, gran parte della sua opera è scandita dal concetto di fondo che non siamo ciò che siamo ma ciò che gli altri vedono di noi.
In questo post volevo soffermarmi sul fatto che, in tempi più recenti, un regista giapponese ha creato un’opera che non ha nulla da invidiare a quelle del drammaturgo agrigentino. Hideaki Anno nel suo “Neon Genesis Evangelion” ci ha messo dentro tutta la molteplicità e complessità dell’essere umano, e questo aspetto è uno dei motivi più importanti di tutta l’opera. Ma bastano i pochi minuti conclusivi per comprendere il messaggio grandioso che il regista ha trasmesso. L’angoscia di un ragazzo che incarna l’intero concetto di essere umano va in scena sul palcoscenico della realtà, ma una realtà che lui stesso ha plasmato a immagine e somiglianza del suo animo. Sono proprio le voci delle persone che gli stanno intorno ad aprire delle brecce in questa realtà, che una volta raggiunta la consapevolezza, si infrange e sgretola come vetro sotto i colpi di un martello. E sul sottofondo di “The heady feeling of freedom”, il ragazzo capisce che a renderci ciò che siamo non sono le opinioni degli altri, come noi non rendiamo reali quelli che guardiamo. Solo la manifestazione del proprio animo può trasformare la realtà in verità. Se non siamo abituati a piacere al nostro prossimo, ci convinciamo di essere odiati, e finiamo per odiarci. Per questo “non bisogna preoccuparsi più di tanto degli sguardi degli altri”. E finalmente, una madre mai conosciuta rivela che l’unico modo di amare è amarci. Dobbiamo credere in noi e negli altri. Senza questi sentimenti, non è possibile stare insieme. “Le persone che odiano se stesse non sono capaci di amare né di credere nel loro prossimo”.
Volevo fare le mie congratulazioni ad Antonella e Laura, da domani specializzande in Medicina Interna, e Maria Antonietta, specializzanda in Neurologia. Ve lo meritate.
Non sono mai stato un grande appassionato di shojo manga. Ne conosco pochi, ne ho letti ancora meno. Per chi non lo sapesse, gli shojo manga sono quelli di argomento sentimentale, riguardano prevalentemente storie d’amore tra adolescenti giapponesi. Il numero di queste opere prodotte in Giappone è enorme, e anche in Italia, dove arriva solo una piccola parte delle opere giapponesi, le storie di questo tipo di contano a decine. Eppure ogni tanto ci vogliono. Ci sono momenti in cui è necessario leggere emozioni positive, storie in cui sai che i momenti brutti passano e si risolvono, storie in cui tutti i personaggi, alla fine, trovano la felicità. Per alcuni saranno storie banali, scontate, prevedibili. Forse è vero. Però in alcuni casi la prevedibilità di queste storie può dare una sensazione di speranza. Senza la pretesa di essere opere essenziali, di spiegare con immagini e parole il senso dell’esistenza umana, riescono a rilassare. Riescono a dare un lieto fine anche quando non ne vedi uno nel mondo reale. È per questo che ho riletto, in questi giorni, l’opera forse più conosciuta di Wataru Yoshizumi. Una storia che, come molti, avevo conosciuto nella sua trasposizione animata. Erano gli anni tra le medie e il liceo, quando si comincia a guardare al mondo con occhi un po’ diversi. Quello che non c’era stato prima e non aveva dato nessun segno di necessità, ad un tratto comincia a mancarti, e quando succede, questo senso di mancanza difficilmente va via, anche dopo molti anni. Si cresce, si impara, ci si innamora, ci si lascia, si ha paura, si è cercati, si è rifiutati. Quando si trova una persona, quella sensazione si fa da parte, anche lei spera di non dover più tornare a svolgere il suo compito. Quella sensazione che ti costringe a dire le parole “mi manca”. Quella sensazione che ti fa provare il desiderio di piangere anche se non riesci più a farlo da anni. Ma a questa sensazione bisogna anche essere grati, perché è lei che ti impedisce di rinunciare, è lei che ti impedisce di abituarti, consapevole che l’abitudine è una malattia da cui non si guarisce. Preferisce farsi odiare per quello che ti fa provare, piuttosto che lasciarti da solo in un posto da cui difficilmente potresti venir fuori. È in momenti così che fumetti come questo rivelano tutta la loro ragion d’essere. Non saranno opere fondamentali della letteratura disegnata, ma vi assicuro che leggerli in una giornata di sole, seduti in una terrazza da cui si vede il mare e si sente solo il vento che fa muovere le foglie, è capace di dare sensazioni che nessun’altra lettura può dare. Sensazioni che ti fanno pensare “un giorno, prima o poi, succederà”.
Vi sarà bastato leggere il post “Blu” per capire che con il mare ho un legame speciale. E quando ascoltai per la prima volta questa canzone, le immagini del mare mi rimasero impresse nella mente, come se le avessi vissute con la mia stessa presenza, come uno spettatore invisibile partecipe di quella scena mistica. Ogni volta che l’ascolto, alla fine mi lascia un piacevole senso di smarrimento, una estraneità dal mondo reale che solo la vera commistione con la natura può dare. Stendersi sulla sabbia e diventare sabbia, appoggiarsi ad un ramo e diventare legno, odorare un limone e svanire lentamente con quel profumo. Proprio come succede alla bambina, che su una spiaggia del Portogallo scopre di essere niente nell’immensità dell’oceano che si trova davanti, che la abbraccia e l’accoglie come una figlia appena nata. Scopre di fare parte di qualcosa che non riesce a capire, ma che probabilmente neanche vuole capire. E quando acquisisce questa consapevolezza del niente, lei stessa smette di esistere come essere unico per far parte di un tutto, per essere “solo del sole”.
E in questa enormità di niente, le nostre vite, momenti come lampi che si accendono per un istante e tornano subito dopo nel buio. Francesco Guccini ha capito una grande verità dell’esistenza umana. Non si muore né di fumo né di alcol, non si muore né di pallottole né di malattie. Si muore di vita. E la vita dobbiamo imparare a viverla, giorno per giorno, cogliendo tutti i momenti che ci regala. “Il fiore perfetto è una cosa rara. Se si trascorresse un’intera vita a cercarlo, non sarebbe una vita sprecata”.
Canzone della bambina portoghese – Francesco Guccini 1972
E poi e poi, gente viene qui e ti dice di saper già ogni legge delle cose. E tutti, sai, vantano un orgoglio cieco di verità fatte di formule vuote... E tutti, sai, ti san dire come fare, quali leggi rispettare, quali regole osservare, qual è il vero vero... E poi e poi, tutti chiusi in tante celle fanno a chi parla più forte per non dir che stelle e morte fan paura...
Al caldo del sole, al mare scendeva la bambina portoghese, non c’eran parole, rumori soltanto come voci sorprese, il mare soltanto e il suo primo bikini amaranto... le cose più belle e la gioia del caldo alla pelle...
Gli amici vicino sembravan sommersi dalla voce del mare... o sogni, o visioni, qualcosa la prese e si mise a pensare, sentì che era un punto al limite d’un continente, sentì che era un niente, l’Atlantico immenso di fronte...
E in questo sentiva qualcosa di grande che non riusciva a capire, che non poteva intuire, che avrebbe spiegato, se avesse capito lei, quell’oceano infinito...
Ma il caldo l’avvolse, si sentì svanire e si mise a dormire e fu solo del sole, come di mani future, restaron soltanto il mare e un bikini amaranto...
E poi e poi, se ti scopri a ricordare, ti accorgerai che non te ne importa niente e capirai che una sera o una stagione son come lampi, luci accese e dopo spente e capirai che la vera ambiguità è la vita che viviamo, il qualcosa che chiamiamo esser uomini... E poi e poi, che quel vizio che ti ucciderà non sarà fumare o bere, ma il qualcosa che ti porti dentro, cioè vivere, vivere e poi, poi vivere e poi, poi vivere...
Ancora una volta mi trovo alle prese con una miniserie manga tratta da un anime. Già in passato mi è capitato più volte di parlare di prodotti di questo tipo, dato che negli ultimi anni c’è stata una sorta di inversione di tendenza. Mentre prima era una regola che l’opera originale fosse il manga da cui poi veniva tratto un anime, di recente capita che i ruoli si invertano. È il caso di “Wolf’s rain”, “Neon Genesis Evangelion”, “Full metal panic!”, “Orphen” e altre ancora. Stesso destino ha avuto “Darker than black”, miniserie in due volumi da pochissimo pubblicata e tratta dall’omonima serie animata. Purtroppo, però, di quest’ultima non ho mai visto un episodio, e l’unica cosa che mi ha spinto a comprare il manga è stata una rapida occhiata data in fumetteria, oltre al fatto che fossero solo due numeri. Devo dire però che, a mio parere, due numeri non bastano. Ma andiamo con ordine.
In un ipotetico futuro non molto lontano, Tokyo viene sconvolta dall’apparizione di un territorio chiamato Hell’s gate, un luogo misterioso che viene subito circoscritto con un enorme muro e a cui viene vietato l’accesso. Nello stesso momento, compaiono degli individui dotati di poteri terrificanti e conosciuti solo col nome di ‘contraenti’. È questo lo scenario di apertura della storia, che ha come protagonista Kana, una adolescente il cui padre è morto un anno prima in una misteriosa strage di massa. Ma Kana non riesce a rassegnarsi alla morte del padre, e continua a compiere ricerche su di lui, fino a che, un giorno, non incontra per caso un uomo che gli somiglia in maniera incredibile. Da quel momento, la ragazza viene coinvolta in una serie di vicende che ne mettono a rischio la vita, incontrando misteriosi individui che tentano di ucciderla. Un altro incontro, però, è destinato a cambiare il corso della sua vita. Si tratta di Hei, anche lui uno dei contraenti, che però, in più di un’occasione, la salva e la protegge. Da questo incontro, Kana arriverà a scoprire la verità sul padre e sulle circostanze della sua presunta morte, così come si cominciano a delineare alcuni dettagli sulla natura dei contraenti. Questi non sono altro che esseri umani, che in circostanze misteriose acquisiscono poteri straordinari, per lo più di controllo elementale, ma questi doni hanno un prezzo. I contraenti diventano esseri del tutto privi di sentimenti ed emozioni, agiscono solo per i loro interessi o per compiere le missioni che vengono loro assegnate, e non si fanno alcuno scrupolo ad uccidere. Quali siano le reali identità di personaggi come Krang e Kanon, e quali i loro scopi, si scoprirà solo nel corso della storia, come pure il ruolo che ognuno avrà nel processo di maturazione di Kana.
La serie procede ad un ritmo incalzante, tra una scena d’azione e un momento di riflessione in cui alcuni aspetti vengono chiariti. Tuttavia, come dicevo all’inizio, forse non sono bastati solo due volumi per esprimere al meglio la potenzialità della storia. Molti aspetti che potevano risultare interessanti se ben analizzati sono stati appena accennati, senza essere approfonditi, come ad esempio le origini dei contraenti. Ma anche alcuni aspetti puramente narrativi mi sono sembrati troppo abbozzati, uno per tutti i rapporti tra i personaggi principali, che secondo me avrebbero meritato un’analisi un po’ più approfondita. A quanto pare, dunque, in questa versione cartacea si è preferito enfatizzare l’azione e le atmosfere fantascientifiche e sorvolare su altri aspetti, che magari nell’opera animata sono stati più curati (come dicevo, non ho avuto modo di vederla). In definitiva, vale la pena di leggere questi due volumetti, se l’obiettivo è quello di trascorrere un paio di ore seduti in poltrona, chi ha invece maggiori pretese, forse farebbe meglio a evitarli.
A volte sarebbe bello avere un messaggero fidato su cui poter contare per dire quelle cose che è troppo difficile dire. Un messaggero che sia capace di trovare la persona che cerchi in qualunque luogo si trovi, e di usare le parole e i gesti perfetti per far capire la vera essenza del messaggio. Quando è troppo complicato mettere insieme le frasi, sarebbe bello saper scrivere una canzone. Che sappia non solo portare il messaggio, ma interpretare la risposta a questo per trasformare i dubbi in certezze, per eliminare vane speranze e per trovare il modo giusto di comportarsi. Sarebbe bello, ma non è così facile. Per questo, bisogna trovare la forza di parlare, di correre i rischi necessari, perché a volte un piccolo rischio può dare delle grandi ricompense. Anche se, di solito, quando il rischio è piccolo la ricompensa è piccola. Per le cose importanti vale la pena lottare.
Canzone – Lucio Dalla, 1996
Non so aspettarti più di tanto ogni minuto mi dà l’istinto di cucire il tempo e portarti di qua. Ho un materasso di parole scritte apposta per te e ti direi spegni la luce che il cielo c’è. (Stare lontano da lei) non si vive. (Stare senza di lei) mi uccide.
Testa dura, testa di rapa, vorrei amarti anche qua, nel cesso di una discoteca o sopra il tavolo di un bar. O stare nudi in mezzo a un campo a sentirsi addosso il vento, io non chiedo più di tanto, anche se muoio son contento. (Stare lontano da lei) non si vive. (Stare senza di lei) mi uccide.
Canzone, cercala se puoi, dille che non mi perda mai, va per le strade, tra la gente, diglielo veramente.
Io i miei occhi dai tuoi occhi non li staccherei mai e adesso anzi io me li mangio tanto tu non lo sai. Occhi di mare senza scogli, il mare sbatte su di me che ho sempre fatto solo sbagli ma uno sbaglio che cos’è. (Stare lontano da lei) non si vive. (Stare senza di lei) mi uccide.
Canzone, cercala se puoi, dille che non mi lasci mai va per le strade, tra la gente, diglielo dolcemente.
E come lacrime la pioggia mi ricorda la sua faccia, io la vedo in ogni goccia che mi cade sulla giacca. (Stare lontano da lei) non si vive. (Stare senza di lei) mi uccide.
Canzone, trovala se puoi, dille che l’amo e se lo vuoi, va per le strade, tra la gente, diglielo veramente, non può restare indifferente, e se rimane indifferente non è lei.
(Stare lontano da lei) non si vive. (Stare senza di lei) mi uccide.
Era la primavera di qualche anno fa, non ricordo esattamente quando, e le giornate cominciavano a farsi più piacevoli, in campagna. Ricordo che mio padre stava trafficando in magazzino e ogni tanto aveva bisogno di aiuto per spostare qualcosa di pesante, così io mi sedevo per terra con le spalle contro il muretto di un’aiuola, e leggevo. Avrei potuto lasciar stare il libro per quando non avessi avuto altro da fare, ma non so perché mi aveva coinvolto al punto che non volevo fare pause troppo lunghe nella lettura. Il libro in questione era “Un pezzo da galera”.
Come sempre, quando si tratta di un romanzo di Vonnegut, niente è come sembra. Walter F. Starbuck è figlio di poveri immigrati, che grazie al (o forse sarebbe meglio dire per colpa del) datore di lavoro dei genitori viene mandato ad Harvard. Non si può dire che sia uno studente brillante, ma nemmeno uno dei peggiori. Fin da allora, Walter comprende che la sua vita è destinata ad essere nella media. Studio nella media, lavoro nella media, amori nella media. Per amore si iscrive al Partito Comunista, e per ingenuità tradisce un collega e amico denunciandolo ai tribunali maccartisti. Licenziato e poi riassunto dal governo federale, finisce per fare fotocopie in uno scantinato umido e buio, in un ufficio che fa parte dell’amministrazione Nixon. Quando scoppia lo scandalo Watergate, per uno stupido orgoglio preferisce stavolta la galera piuttosto che collaborare con la magistratura rivelando quel poco che sa. Ed è proprio da un carcere di minima sicurezza, uno di quelli per ‘colletti bianchi’, che ascoltiamo il racconto di qualche decennio di storia americana. Un racconto fatto alla maniera di Vonnegut, con ironia, sarcasmo, cinismo e romanticismo allo stesso tempo, in cui si sorride per l’amarezza e si piange per l’allegria. Leggendo tra le righe, spunta prepotente la critica amara a quel sistema di vita americano, che ormai potremmo dire essere occidentale, e di cui l’autore stesso sa di fare inevitabilmente parte, affiancata dall’analisi spietata dei rapporti sentimentali e di amicizia, e dalla denuncia dei sistemi violenti delle forze dell’ordine. Ma possiamo anche leggerla semplicemente come l’autobiografia di un uomo che sa che al sua vita è dominata dal caso. Nulla o quasi di quello che gli è successo è scaturito dalla sua volontà. E forse, quella del caso è l’unica vera legge che regola il mondo degli uomini.
La cosa più imbarazzante per me, riguardo questa autobiografia, è che, a ogni piè sospinto, si dimostra che non sono mai stato una persona seria. Ho passato un sacco di guai, nel corso degli anni, ma sempre per caso. Non ho mai rischiato la vita, né le mie comodità, al servizio del prossimo. Vergogna!