giovedì 25 giugno 2009

Gli sguardi degli altri

Apparire è da sempre stata una componente fondamentale dell’essere. Nella letteratura prima, e in tutte le arti da essa derivate poi, come il teatro, il cinema e tante altre, il concetto del soggetto osservato è sempre stato un tema centrale. Basti pensare a quanto antico sia il manufatto che noi chiamiamo maschera. Nelle civiltà precolombiane, nelle tribù africane, nell’antico Egitto, la maschera ha sempre fatto parte della ritualità. Un oggetto che come unico scopo aveva quello di coprire ciò che realmente è per rivelare quello che deve essere mostrato. Venendo a giorni più vicini ai nostri, non si può non pensare a Pirandello, che della dissociazione tra soggetto osservante e soggetto osservato ha fatto uno dei suoi capisaldi. Da “Così è (se vi pare)” a “Uno, nessuno, centomila”, gran parte della sua opera è scandita dal concetto di fondo che non siamo ciò che siamo ma ciò che gli altri vedono di noi.

In questo post volevo soffermarmi sul fatto che, in tempi più recenti, un regista giapponese ha creato un’opera che non ha nulla da invidiare a quelle del drammaturgo agrigentino. Hideaki Anno nel suo “Neon Genesis Evangelion” ci ha messo dentro tutta la molteplicità e complessità dell’essere umano, e questo aspetto è uno dei motivi più importanti di tutta l’opera. Ma bastano i pochi minuti conclusivi per comprendere il messaggio grandioso che il regista ha trasmesso. L’angoscia di un ragazzo che incarna l’intero concetto di essere umano va in scena sul palcoscenico della realtà, ma una realtà che lui stesso ha plasmato a immagine e somiglianza del suo animo. Sono proprio le voci delle persone che gli stanno intorno ad aprire delle brecce in questa realtà, che una volta raggiunta la consapevolezza, si infrange e sgretola come vetro sotto i colpi di un martello. E sul sottofondo di “The heady feeling of freedom”, il ragazzo capisce che a renderci ciò che siamo non sono le opinioni degli altri, come noi non rendiamo reali quelli che guardiamo. Solo la manifestazione del proprio animo può trasformare la realtà in verità. Se non siamo abituati a piacere al nostro prossimo, ci convinciamo di essere odiati, e finiamo per odiarci. Per questo “non bisogna preoccuparsi più di tanto degli sguardi degli altri”. E finalmente, una madre mai conosciuta rivela che l’unico modo di amare è amarci. Dobbiamo credere in noi e negli altri. Senza questi sentimenti, non è possibile stare insieme. “Le persone che odiano se stesse non sono capaci di amare né di credere nel loro prossimo”.


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