lunedì 20 luglio 2009

"...quasi normale..."


Avrebbe potuto essere molto più di parte. In fondo, Francesco Guccini è un comunista della vecchia guardia, e ha sempre cantato le sue idee con forza e senza sottintesi. Ma in questa occasione, probabilmente non voleva scrivere una canzone ‘politica’. Non ci sono torti e ragioni da assegnare a nessuna delle due parti. Sta cantando di quello che è successo otto anni fa proprio in questo giorno. La vita umana non è né di destra né di sinistra. E così come piangiamo i soldati morti in Iraq, allo stesso modo dovremmo piangere i ragazzi morti nelle manifestazioni. “Piazza Alimonda” fa parte dell’album “Ritratti”, ed è a tutti gli effetti un ritratto, quello di una città colta nel momento in cui succedeva qualcosa di più grande di lei, qualcosa di cui molti non si sono neanche accorti che è successa, quelli che stendevano il bucato o portavano a spasso il cane. Altri l’hanno visto ma hanno fatto finta di niente. ma Genova no. Lei lo sa, lei ha visto. Solo che non lo dà a vedere, con i profili dei suoi palazzi, le sue strade strette, la sua “lanterna impassibile”. Ne ha viste, di onde, quella lanterna. Eppure, impercettibilmente, anche una città può cambiare. Dopo quello che è successo, piazza Alimonda “ritorna come sempre, quasi normale”. Il sangue non va via facilmente dalle strade.


Francesco Guccini – Piazza Alimonda, 2004

Genova, schiacciata sul mare, sembra cercare respiro al largo, verso l’orizzonte,
Genova, repubblicana di cuore, vento di sale, s’anima forte,
Genova che si perde in centro, nei labirintici vecchi carruggi,
parole antiche e nuove, sparate a colpi come da archibugi.

Genova, quella giornata di luglio, d’un caldo torrido d’Africa nera,
sfera di sole a piombo, rombo di gente, tesa atmosfera,
nera o blu l’uniforme, precisi gli ordini, sudore e rabbia,
facce e scudi da opliti, l’odio di dentro come una scabbia.

Ma poco più lontano, un pensionato ed un vecchio cane
guardavano un aeroplano che lento andava macchiando il mare,
una voce spezzava l’urlare estatico dei bambini,
panni distesi al sole, come una beffa, dentro ai giardini.

Uscir di casa a vent’anni è quasi un obbligo, quasi un dovere,
piacere di incontri a grappoli, ideali semplici, essere e avere,
la grande folla chiama, canti e colori, grida ed avanza,
sfida il sole implacabile, quasi incredibile passo di danza.

Genova, chiusa da sbarre, Genova soffre come in prigione,
Genova, marcata a vista, attende un soffio di liberazione,
dentro agli uffici uomini freddi discutono la strategia,
e uomini caldi esplodono, un colpo secco, morte e follia.

Si rompe il tempo e l’attimo, per un istante, resta sospeso,
appeso al buio e al niente, poi l’assurdo video ritorna acceso,
marionette si muovono, cercando alibi per quelle vite
dissipate e disperse nell’aspro odore della cordite.

Genova non sa ancora niente, lenta agonizza, fuoco e rumore,
ma come quella vita giovane spenta, Genova muore,
per quanti giorni l’odio colpirà ancora a mani piene,
Genova risponde al porto con l’urlo alto delle sirene.

Poi tutto ricomincia, come ogni giorno, e chi ha la ragione,
dico nobili uomini, danno, implacabili, giustificazione,
come ci fosse un modo, uno soltanto per riportare
una vita troncata, tutta una vita da immaginare.

Genova non ha scordato, perché è difficile dimenticare,
c’è traffico, mare, accento danzante e vicoli da camminare.
La lanterna, impassibile, guarda da secoli gli scoglie l’onda,
ritorna, come sempre, quasi normale, piazza Alimonda.

La salvia splendens luccica, copre un’aiuola triangolare,
viaggia il traffico solito, scorrendo rapido e regolare,
al bar caffé e grappini, verde un’edicola vende la vita,
resta, amara e indelebile,
resta, amara e indelebile,
resta, amara e indelebile, la traccia aperta di una ferita.

2 commenti:

Vision ha detto...

bellissima...

veronica ha detto...

come sempre riesci a dipingere bene le cose che senti...un abbraccio!