lunedì 14 settembre 2009

Parti in fretta e non tornare

Finalmente ho potuto leggere la prima indagine di Jean Baptiste Adamsberg in qualità di commissario capo della squadra anticrimine del tredicesimo arrondissement di Parigi. A lungo andare, con questi personaggi, c’è sempre il rischio che comincino a stancare. La novità della prima storia che leggi non c’è più, non ti stupisci delle bizzarrie del pensiero e del comportamento. Ma allo stesso tempo, scatta un altro tipo di meccanismo. Proprio perché crediamo di conoscere tutto del personaggio, non possiamo fare a meno di immaginare come si comporterà in una certa situazione, o come reagirà ad un certo evento, e questo è uno stimolo incredibile ad andare avanti divorando pagine su pagine. Metteteci poi che le storie non sono mai banali, e avrete capito perché, anche dopo cinque romanzi, non mi sono stancato di Adamsberg. È come parlare con una persona piacevole, non importa quante volte avete chiacchierato e di cosa, sai che anche la prossima sarà piacevole come quella appena passata.

A Parigi, di notte, sulle porte delle case compaiono strani simboli e sigle. All’altro capo della città, un ex marinaio che si è reinventato come pubblico banditore declama criptici messaggi che parlano di malattia e morte. Ovviamente non c’è nessuna correlazione tra i due fatti, come pensano tutti. Tutti tranne Adamsberg, che su quei segni non ci vede affatto chiaro, e intanto i messaggi si fanno sempre più espliciti e con riferimento a qualcosa di preciso. L’aiuto di uno storico spiantato e di una galleria di personaggi bizzarri almeno tanto quanto lui costringerà il commissario ad un viaggio indietro nel tempo di alcuni secoli, quando una minaccia innominabile devastava l’Europa strisciando silenziosa. Ma quello che Adamsberg non sa è che questa minaccia ha esteso le sue propaggini fino a tempi relativamente recenti, al punto che ancora oggi ci può essere chi uccide servendosi di quest’arma tanto invisibile quanto letale.

Adamsberg lasciò la casa di rue Chasle un po’ frastornato, passando per il giardinetto incolto. C’era gente che sapeva una quantità di cose spaventosa. Che da un lato era stata attenta a scuola, e poi aveva continuato ad accumulare conoscenze a vagonate. Conoscenze di un altro mondo. Gente che dedicava la vita a untori, a pulci latine e elettuari. E questo, poco ma sicuro, era solo uno dei tanti vagoni ammassati nella testa di Marc Vandoosler. Vagoni che, del resto, non sembravano aiutarlo a cavarsela meglio di un altro nell’esistenza. Eppure, stavolta, sarebbero stati di vitale importanza.

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