lunedì 15 febbraio 2010

Il gioco dell'angelo

A volte può essere difficile inquadrare un romanzo in un genere preciso, per esempio quando in esso confluiscono diversi motivi narrativi, tanto che è difficile capire se è una storia impegnata, sentimentale, di fantascienza, dell’orrore. Il secondo libro ‘adulto’ di Carlos Ruiz Zafon è proprio di questo tipo. L’ho chiamato così solo per distinguerlo dalle sue precedenti opere, che, escludendo “L’ombra del vento”, sono tutte storie per ragazzi. Non che queste abbiano un valore più scarso rispetto ad altre, anzi, a mio modo di vedere sono da tenere in altissima considerazione, perché avvicinare un bambino alla lettura significa dargli la possibilità di arricchire il suo patrimonio culturale, il suo lessico, la sua sintassi, e visto che purtroppo oggi la maggior parte dei media, televisione in testa, ha fatto dell’ignoranza e della distruzione della cultura i suoi vessilli di battaglia, non ci resta che sperare che sopravvivano ancora autori con la voglia di scrivere per i bambini e i ragazzi. Dicendo questo, e leggendo il romanzo ve ne renderete conto, non ho fatto il mio classico preambolo iniziale, di cui probabilmente vi sarete ormai stancati, ma ho già cominciato a parlare della storia. “Il gioco dell’angelo” è, a mio modo di vedere, nient’altro che una stupenda, intensa e tormentata storia d’amore per la letteratura.

Il giovane David Martin ha una sola grande passione, nella vita: diventare uno scrittore. Fin da bambino ha sempre avuto una forte attrazione per la lettura, ferocemente contrastata dall’ignoranza del padre, ma alimentata in segreto grazie all’amicizia di un libraio di cui il ragazzo diventa, poco a poco, una sorta di figlio adottivo. Passando attraverso la redazione di un giornale locale, e grazie al supporto di un ricco giornalista che lo prende sotto la sua ala protettrice, il giovane Martin riesce a pubblicare dei racconti d’appendice a puntate, e finalmente sbarca nel mondo dell’editoria scrivendo storie avventurose ambientate nella sua Barcellona. David ha talento, sa come coinvolgere il pubblico, e soffre dei vincoli in cui lo costringono quei poco di buono dei suoi editori, tutt’altro che persone oneste. Ma la vita del giovane sembra essere destinata a non conoscere la felicità. Viene colto da un male incurabile che lo sta consumando, la ragazza di cui è da sempre innamorato decide di sposare il suo mentore, le richieste dei suoi editori si fanno sempre più pressanti e minacciose. David sembra destinato a scivolare verso un abisso di disperazione, una caduta inesorabile che lo porterà a morire di lì a non molto, quando incontra uno strano personaggio, un editore in cerca di talenti che ha per lui una commissione molto particolare. Se David vuole continuare a vivere, lui lo renderà possibile, a patto che scriva per lui. E il suo compito sarà quello di creare una religione. Inconsapevole di chi sia realmente la persona con cui sta stringendo l’accordo, e ignaro delle conseguenze che questo porterà, David accetta. Inizia così la sua nuova vita. Ma alcune cose cominciano a non quadrare, troppi sospetti si affollano nella sua mente, troppi misteri sono legati a quell’uomo, al suo libro, alla casa dove David va a vivere e a molte delle persone che incontrerà nel suo percorso. E quando si renderà conto di quale sia la realtà che si cela dietro il gioco dell’angelo, potrebbe essere troppo tardi. Gli ingranaggi sono stati messi in moto, la macchina della violenza e dell’orrore si è attivata, e non sarà facile arrestarla o rallentare la sua corsa.

Con un sottile e complesso gioco di specchi, Zafon mischia gli occhi del lettore con quelli del protagonista, al punto che non sarà facile capire cosa è reale e cosa è solo immaginato, nemmeno nella storia. Inoltre, a differenza di come siamo abituati, non tutti i misteri verranno svelati da un comodo colpo di scena finale. Ci saranno alcuni punti oscuri, nel corso della storia, che rimarranno tali anche dopo la fine, come di fatto succede anche nella vita reale. Tutto quello che accade, accade per una ragione, ma a volte, per non dire spesso, questa ragione ci sfugge, e forse è proprio questo che rende la nostra vita interessante.

Uno scrittore non dimentica mai la prima volta che accetta qualche moneta o un elogio in cambio di una storia. Non dimentica mai la prima volta che avverte nel sangue il dolce veleno della vanità e crede che, se riuscirà a nascondere a tutti la sua mancanza di talento, il sogno della letteratura potrà dargli un tetto sulla testa, un piatto caldo alla fine della giornata e soprattutto quanto più desidera: il suo nome stampato su un miserabile pezzo di carta che vivrà sicuramente più a lungo di lui. Uno scrittore è condannato a ricordare quell’istante, perché a quel punto è già perduto e la sua anima ha ormai un prezzo.

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