domenica 18 aprile 2010

Heavy rain

Non sono passati poi tantissimi anni da quando tenevamo in mano una scatoletta grigia con una crocetta a sinistra e due tasti rotondi a destra, e facevamo saltare Super Mario da una piattaforma all’altra all’instancabile salvataggio della principessa. Ogni volta si cominciava dall’inizio e per finire il gioco ci volevano ore passate davanti alla televisione, senza potersi fermare, con le costanti lamentele e i rimproveri dei genitori. Dai miei ricordi ero piuttosto piccolo, ma neanche tantissimo, direi che stiamo parlando di circa venti anni fa, e in questo lasso di tempo siamo arrivati ad avere esperienze di gioco davvero rivoluzionarie. Partiamo dagli hardware. È innegabile che ormai abbiamo a disposizione dei veri e propri supercomputer dedicati solo al gioco. Quella scatoletta con un paio di tasti è diventata un pad anatomico con quattordici tasti di controllo e due levette analogiche per il movimento continuo del personaggio e della visuale in tutte le direzioni del piano. L’impostazione informatica consente inoltre il salvataggio in diversi punti del gioco, tanto che non esiste più il concetto del ‘facciamo una partita’. Una singola avventura può durare complessivamente anche decine di ore di gioco, comodamente scandibili in più riprese. E ovviamente sono cambiati i giochi, anche se sotto questo aspetto ci sono delle considerazioni da fare. Tanto per cominciare, per quanto grande sia il numero di titoli che le diverse case di produzione sfornano sul mercato, possiamo tutti raggrupparli in non più di una decina di generi. In fondo, quello che si fa in un gioco è più o meno sempre lo stesso: picchiare, sparare, correre, volare, saltare, raccogliere... Possono essere più o meno curati gli elementi narrativi, i richiami ad opere storiche o mitologiche o letterarie, il numero di personaggi, protagonisti o comprimari, può variare di molto e possono essere molto diverse le modalità di azione (a turni, in tempo reale, più esplorazione e ricerca, più combattimento, ecc...), ma in definitiva abbiamo sempre a che fare con una storia, uno o più personaggi con un obiettivo da raggiungere, e l’abilità del giocatore sta nel raggiungerlo nel modo più brillante possibile. Tutto questo fino a “Heavy rain”.

Tutti noi esseri teledipendenti (chi più chi meno) siamo piuttosto saturi di film e telefilm thriller barra gialli barra noir, ma per quanto coinvolgente possa essere la trama, è sempre qualcosa che sta succedendo sullo schermo e che ci limitiamo a guardare. Con “Heavy rain” questo concetto non vale più. Abbiamo letteralmente a disposizione un film interattivo, in cui le nostre scelte e le azioni che faremo compiere ai protagonisti cambieranno il corso degli eventi. Purtroppo, quando si parla di qualcosa di questo tipo, è difficile farlo senza svelare particolari interessanti e misteriosi, che generano la suspance durante la storia, ma cercherò di farlo lo stesso.

Ethan Mars è il padre felice di una famiglia felice, che trascorre la sua vita felice tra lavoro e passatempi vari. La storia inizia in un giorno felice del compleanno del suo figlio felice, Jason, quando cominciando a prendere confidenza con i controlli, apparecchiamo la tavola, giochiamo con i bambini e andiamo a fare una passeggiata. Tutto molto felice, insomma. Ma la giornata è destinata a trasformarsi in tragedia, perché Jason muore in un incidente senza che suo padre riesca a salvarlo. Inizia così il dramma interattivo, e i titoli di testa (come dicevo, è un vero e proprio film) con le immagini di una città in cui sembra piovere sempre ci accompagnano due anni dopo quell’evento, in cui un Ethan sull’orlo, anzi, ben oltre l’orlo della depressione si colpevolizza di non aver saputo salvare il figlio e cerca di tenere insieme i pezzi di una vita distrutta, separato dalla moglie e con l’altro figlio con il quale non riesce ad instaurare alcun tipo di rapporto. Proprio in quel periodo, l’assassino dell’origami ricomincia a colpire. Questo è un serial killer che uccide bambini affogandoli nell’acqua piovana e facendoli ritrovare in zone dimesse con un piccolo origami in mano e un’orchidea sul petto. Scott shelby, il secondo protagonista, è un investigatore privato assunto dalle famiglie delle vittime per indagare su questo killer, che comincia a raccogliere informazioni sui bambini, e scopre che i loro padri avevano ricevuto una misteriosa lettera quando i figli erano scomparsi. La stessa lettera che Ethan Mars riceve quando suo figlio Shaun scompare. Intanto, il cadavere di un altro bambino vittima dell’assassino dell’origami viene ritrovato vicino ad una ferrovia, motivo per cui entra in scena il nostro terzo protagonista, Norman Jayden, un investigatore dell’FBI scelto apposta per indagare su questi omicidi con un rivoluzionario sistema scientifico chiamato ARI. Il quarto personaggio è Madison Paige, che incontra per caso (almeno così sembra) Ethan, ferito e sconvolto, in uno squallido motel di quartiere, e cerca di aiutarlo. A poco a poco scopriamo che Ethan soffre di improvvisi black out, e sembra manifestare alcuni sintomi di schizofrenia, per cui lui stesso è convinto che sia l’altra parte di sé ad aver rapito Shaun e ad aver mandato quella lettera che contiene degli indizi, ottenibili solo dopo il superamento di alcune prove, con i quali potrà scoprire dove è tenuto prigioniero il bambino. Infatti, l’assassino non affoga direttamente le sue vittime, ma le rinchiude in un pozzo o qualcosa di simile e aspetta che si riempia di acqua piovana. Più piove, più presto il bambino muore. Da qui la ‘pioggia pesante’ del titolo, pioggia che scandisce tutta la storia con il suo cadere incessante.

La storia è molto ben strutturata, coinvolgente, senza punti morti e abbastanza variegata nell’alternare i vari personaggi per mantenere alta la tensione. Il coinvolgimento emotivo è notevole, come pure la pesantezza psicologica nell’agire nei panni di Ethan, padre angosciato non solo dalla possibilità della imminente morte del suo secondo figlio a due soli anni di distanza da quella del primo, ma soprattutto dal costante dubbio di esserne lui stesso la causa, e che tutto questo macabro gioco a ritrovare Shaun sia solo un modo che la parte malata di sé ha escogitato per punirsi della morte di Jason. Tuttavia, quello che davvero affascina è la possibilità di interagire letteralmente con la storia, facendo in modo, ad esempio, che Ethan sopravviva o muoia nella storia, che venga arrestato o che scappi dalla polizia, che riesca o meno a salvare il figlio. E questo vale per tutti i protagonisti, in modo che per ognuno ci siano circa quattro – cinque modi diversi di concludere la storia, in un intreccio del tutto imprevedibile. Se ogni volta che avete visto un eroe accusato ingiustamente sfuggire alla cattura della polizia vi siete infastiditi del fatto che tutto vada sempre nello stesso modo, con “Heavy rain” potrete sfogare il vostro desiderio di protagonismo facendogli fare tutto quello che volete. “Heavy rain” apre la strada (speriamo) ad un nuovo concetto di gioco, in cui il protagonista diventa davvero il giocatore, e in cui la vera sfida non è arrivare alla fine ma fare la scelta giusta. Un po’ come nella vita vera.

2 commenti:

Valentina Ariete ha detto...

Oh ho la play3 da circa due mesi (e subito sono passata al blu-ray: un altro mondo!!!) e questo gioco mi è stato stra-consigliato.

Anche tu confermi che un gioco-film.
Insomma: me lo devo proprio comprare!!!
^^

Adryss ha detto...

Sì sì, te lo stra-consiglio anch'io, è meraviglioso. In molti hanno detto che è il primo gioco della storia che ha fatto piangere dalla commozione. Se vuoi, posso anche mandarti un file con la guida, in modo da poter sbloccare tutte le possibilità della storia, ma te la consiglio solo dopo averlo giocato una prima volta, in modo da goderti la suspance della storia. Sono contento che hai anche tu una PS3, magari in futuro possiamo chiacchierare di qualche gioco. Io ne ho già un bel po', ma non so che generi ti piacciono. In caso ne parliamo tramite mail. Un bacio grande! ^^