giovedì 24 febbraio 2011

Disegnatori a Mantova!

Purtroppo non ci sarò a Mantova comics, perché tra il lavoro che non concede tregue e il fatto che tutte le fiere fumettistiche sono lontane da Palermo, non mi è proprio possibile. Però ho seguito in rete un po’ di annunci sulla manifestazione, e mi fa piacere segnalare la presenza del gruppo di disegnatori che va sotto il nome di Drawers, che ho avuto il piacere di conoscere e apprezzare allo scorso “Lucca comics & games”. Da allora seguo con piacere gli aggiornamenti che i vari disegnatori pubblicano sui profili dei social network o sui blog personali. E con lo stesso piacere voglio comunicare a quegli sventurati che capitano su queste pagine la loro presenza nella fiera mantovana. E lo faccio cun l’ultima trovata che si sono inventati, cioè utilizzare come avatar di Facebook un disegno a sviluppo verticale che pubblicizza l’evento, ognuno con un proprio disegno. Mi scuso in partenza se non li inserisco tutti, ma ci tenevo a rendere omaggio a quelle persone con le quali ho avuto il piacere di scambiare qualche parola tra un disegno e l’altro. E se il mio emissario in terra lombarda riuscirà, anche con l’uso estremo della forza, a strappare un disegno a qualcuno mentre svolge la commissione che gli ho assegnato (l’acquisto del nuovo sketch book), colgo l’occasione per ringraziare in anticipo e pubblicamente! Buon lavoro a tutti i fabbricanti di sogni! E un augurio particolare a D.D.M. per la sua laurea di cui ho avuto recente notizia!





























































domenica 20 febbraio 2011

La famiglia Winshaw

Ho finalmente colmato una delle più grosse lacune della mia storia di lettore, e in questo modo ho anche avuto il piacere di leggere finalmente quello che mi sento tranquillamente di definire il capolavoro di Jonathan Coe. In effetti, avendone letto tutti i romanzi (tranne l’ultimo, uscito qualche mese fa), posso trarre un buon bilancio della produzione di questo scrittore, e confermare che “La famiglia Winshaw” segna la svolta decisiva nella produzione letteraria dell’autore inglese. Da un lato, infatti, dobbiamo collocare i romanzi giovanili, come “L’amore non guasta” e “Donna per caso”. Dall’altro, i romanzi più maturi, sia dal punto di vista dello stile che da quello dei contenuti, rappresentati da “La banda dei brocchi”, “Circolo chiuso”, “La casa del sonno”, e “La pioggia prima che cada”. A fare da spartiacque, ma direi anche da traghettatore da una sponda all’altra, “La famiglia Winshaw”.

Michael Owen è un giovane scrittore che dopo un paio di opere discrete ma senza troppe pretese si trova a fare i conti con la classica crisi di ispirazione. A questo si aggiunga che Michael non è quello che potremmo definire una persona equilibrata ed emotivamente sana, dovendo fare i conti con un vissuto di traumi adolescenziali, illusioni e ambizioni infrante, amori frustrati e conflitti familiari, e si può capire facilmente come non sia affatto strano che trascorra buona parte delle sue giornate chiuso in una stanza a guardare ossessivamente film in videocassetta. Su questa base, si inserisce l’elemento perturbante della storia, vale a dire l’offerta che gli viene fatta di scrivere la cronaca storica di una delle famiglie più note, benestanti ed influenti dell’Inghilterra della seconda metà del Novecento: i Winshaw. Questi, dietro la facciata di rispettabili plasmatori delle sorti economico – sociali del paese, nascondono un comune desiderio di soddisfare i loro più bassi desideri: dalla brama di successo mediatico alla avidità di denaro, dagli istinti sessuali allo sfruttamento delle masse. Inseritisi ognuno in una posizione cardine dei giochi di potere del mondo contemporaneo (la politica, la finanza, il commercio, l’industria, la comunicazione), tessono le loro trame per favorirsi l’un l’altro e trarre sempre più benefici a discapito degli ignari cittadini amministrati. E i pochissimi membri della famiglia meno intaccati da questa pochezza d’animo vengono relegati nel limbo della follia, della solitudine o della morte, a seconda di quale di queste opportunità si presenti più agevole da perseguire. Nel corso della storia, vediamo quindi Michael altalenare tra il suo disagio personale e gli orrori perpetrati dai membri della famiglia Winshaw sotto gli occhi indifferenti o distratti del mondo, ma all’inizio non sembra esserci molto più di una semplice cronaca, nelle sue parole. Tuttavia, ben presto il giovane scrittore (e noi con lui) sarà destinato a scoprire che gran parte, per non dire tutto, di quello che riguarda la sua vita finora e la sua stessa esistenza al mondo è legata alla famiglia di cui sta scrivendo, e che eventi che ha sempre ritenuto frutti del caso potrebbero in realtà essere tessere di un complicato disegno tessuto da qualcuno, e ce potrebbero avere ripercussioni devastanti sul suo futuro.

Come è giustamente esplicitato in quarta di copertina, non è facile attribuire una definizione a questo romanzo capolavoro. Dalla saga familiare al giallo, passando per il romanzo di denuncia e la cronaca storica, Jonathan Coe tesse una trama che fotografa lo spaccato dell’Inghilterra dal secondo dopoguerra agli anni Novanta, intercalandola con elementi autobiografici e di grande slancio sentimentale (è solo una mia opinione, ma ho la sensazione che molto di quello che è Michael Owen sia parte di quello che è stato Jonathan Coe). Un romanzo dove nulla, neanche il più marginale dei paragrafi, è lasciato al caso, e dove realtà e finzione si fondono fino a rendersi indistinguibili l’uno dall’altro. Un romanzo che non dovrebbe mancare nella libreria di ogni appassionato del concetto di ‘narrazione’.

Insolita ed eccitante era la presenza di una persona davanti alla mia porta, ma quel piacere fu temperato non soltanto dall’inopportuno tempismo dell’interruzione ma anche dalla sensazione, caparbia e inquietante, di avere già visto quella donna: tanto che da un momento all’altro avrei potuto riconoscerla e persino rammentarne il nome. Nella mano sinistra stringeva un foglio formato A4, piegato a metà; la destra le ciondolava irrequieta sul fianco, come se stesse cercando una tasca in cui nascondersi.

giovedì 3 febbraio 2011

I giorni nudi

Claudio Piersanti era un nome che suonava familiare quando l’ho letto sul ripiano della libreria, scritto in bianco su quell’oceano blu che è la copertina del suo nuovo romanzo. Qualche tempo fa, invece, era un nome del tutto estraneo e nuovo ai miei occhi. Quella volta, la copertina aveva lo sfondo scuro, e spiccava violento il colore rosso dei capelli di lei, che nella posa china in avanti coprivano quasi interamente il viso. Quel libro era “Il ritorno a casa di Enrico Metz” e devo dire che la mia memoria ha fatto un gradevole salto indietro quando ho riletto il nome dell’autore su un nuovo romanzo, qualche mese fa. Ricordo una piacevole sensazione di leggerezza che ho provato nel leggere quel romanzo, e alcune immagini, ferme nel tempo, che scandivano il ritmo della lettura. In particolare, ho in mente l’immagine autunnale di un parco, con le foglie rosse e marroni che cadono leggere a terra. Anche questo romanzo ha una narrazione molto introspettiva, come lo era stato l’altro, sebbene questa volta ci sia un elemento diverso che mi ha colpito.

Alberto è uno scrittore di sceneggiati televisivi, da anni fa questo lavoro insieme al collega Guido e, sebbene forse ci sia nei suoi pensieri qualche rimpianto per non essersi dedicato di più al mondo del cinema, tutto sommato può ritenersi una persona soddisfatta della propria vita. Tuttavia, le vite equilibrate e regolari esistono proprio per essere perturbate da eventi straordinari, e cosa può esserci di più straordinario, per un uomo, di una donna? In seguito ad un incidente, Alberto conosce nei corridoi di un ospedale la giovane Lucia, praticamente una ragazzina in confronto a lui, con la quale stringe un legame che si capisce subito essere destinato a diventare, di lì a poco, una vera e propria relazione amorosa. Assistiamo così ad una rappresentazione della vita di questo uomo maturo dal momento in cui Lucia entra a farne parte, in cui in una prima fase leggiamo un crescendo di emozioni, mentre in seguito costatiamo il loro declino. Alberto si trova di fronte, forse suo malgrado, a pensieri e sensazioni che da sempre lo accompagnano ma che raramente hanno raggiunto il grado della coscienza, portati alla superficie della sua anima dalla freschezza ed esuberanza di Lucia, che poco alla volta prende campo nel suo piccolo mondo chiuso e angusto, portando con sé la novità. Una novità fatta di corpi che si scoprono e si desiderano, che si congiungono e si separano, che si cercano e che si trovano, ma anche una novità fatta di ciuffetti di fragola e bicchieri di yogurt lasciati in giro per casa. Così, con la ventata portata dalla ragazza, accadono eventi importanti nella vita di Alberto, come la definitiva separazione dal socio di una vita e l’avvio di nuove opportunità lavorative, la ristrutturazione della casa di villeggiatura e la partecipazione ad alcuni eventi mondani, ma Alberto non riesce a mettere da parte una crescente inquietudine: che cosa gli riserva il futuro? E che cosa il futuro si aspetta che lui faccia?

Muovendosi sul difficile confine della analisi introspettiva di un uomo ormai ben dentro i dubbi e i disagi della maturità da un lato, e le ambizioni e le frustrazioni di una donna nel pieno della giovinezza dall’altro, Claudio Piersanti traccia un meraviglioso ritratto di coppia, un dramma in due atti in cui nel primo assistiamo all’esplodere delle emozioni positive, dall’entusiasmo della novità all’esaltazione del rapporto sessuale vissuto attraverso la nudità dei corpi, mentre nel secondo è rappresentato quello che rimane quando sogni e ambizioni cozzano con la realtà e si incrinano, lasciando come traccia alcune crepe indelebili. Il tutto filtrato attraverso la psiche contorta di un uomo isolatosi volontariamente dal mondo, che non sa fare altro che cercare rifugio nel silenzio della sua casa e della sua routine. Ma quando tutto quello che era arrivato a turbare questo equilibrio scompare, ecco che il fantasma della depressione si insinua nell’animo di Alberto, che inconsciamente si punisce per quello che ha o non ha fatto e saputo fare durante quella relazione

“I giorni nudi” è un romanzo intenso, malinconico ma allo stesso tempo allegro, estremamente intimista ed introspettivo ma anche legato a doppio filo alla materialità dei corpi e delle azioni. Un romanzo che va letto con costanza e senza pause, perché solo così se ne può apprezzare appieno il significato profondo e il messaggio positivo che ne esce alla fine.

Dopo un sonno perfetto, Alberto si svegliò eccitato come quando da bambino aveva avuto in regalo la bicicletta da corsa. Suo padre era passato a prendergliela dopo il lavoro e l’aveva portata a casa che era già notte. Non potendo provarla subito si era accontentato di sognarla e al mattino si era svegliato prestissimo per rivederla: la sua stupenda Bianchi! Proprio come allora, i suoi occhi dovevano ancora saziarsi di Lucia. Scostò il lenzuolo e sprofondò nella contemplazione del suo corpo. Quel percorso nella bellezza era appena iniziato e lui capì che lo avrebbe portato lontano. Qualcuno gli aveva spiegato che la perfezione si raggiunge nel momento in cui si ha qualcosa in abbondanza e ci si può assopire sazi e certi di averne ancora al risveglio, a volontà. Facile riconoscere la matrice infantile del desiderio. Come non capire i lattanti, in questa loro passione? In poche ore era già tornato lattante. Il lattante di una donna molto più giovane di lui.