Ho finalmente colmato una delle più grosse lacune della mia storia di lettore, e in questo modo ho anche avuto il piacere di leggere finalmente quello che mi sento tranquillamente di definire il capolavoro di Jonathan Coe. In effetti, avendone letto tutti i romanzi (tranne l’ultimo, uscito qualche mese fa), posso trarre un buon bilancio della produzione di questo scrittore, e confermare che “La famiglia Winshaw” segna la svolta decisiva nella produzione letteraria dell’autore inglese. Da un lato, infatti, dobbiamo collocare i romanzi giovanili, come “L’amore non guasta” e “Donna per caso”. Dall’altro, i romanzi più maturi, sia dal punto di vista dello stile che da quello dei contenuti, rappresentati da “La banda dei brocchi”, “Circolo chiuso”, “La casa del sonno”, e “La pioggia prima che cada”. A fare da spartiacque, ma direi anche da traghettatore da una sponda all’altra, “La famiglia Winshaw”.
Michael Owen è un giovane scrittore che dopo un paio di opere discrete ma senza troppe pretese si trova a fare i conti con la classica crisi di ispirazione. A questo si aggiunga che Michael non è quello che potremmo definire una persona equilibrata ed emotivamente sana, dovendo fare i conti con un vissuto di traumi adolescenziali, illusioni e ambizioni infrante, amori frustrati e conflitti familiari, e si può capire facilmente come non sia affatto strano che trascorra buona parte delle sue giornate chiuso in una stanza a guardare ossessivamente film in videocassetta. Su questa base, si inserisce l’elemento perturbante della storia, vale a dire l’offerta che gli viene fatta di scrivere la cronaca storica di una delle famiglie più note, benestanti ed influenti dell’Inghilterra della seconda metà del Novecento: i Winshaw. Questi, dietro la facciata di rispettabili plasmatori delle sorti economico – sociali del paese, nascondono un comune desiderio di soddisfare i loro più bassi desideri: dalla brama di successo mediatico alla avidità di denaro, dagli istinti sessuali allo sfruttamento delle masse. Inseritisi ognuno in una posizione cardine dei giochi di potere del mondo contemporaneo (la politica, la finanza, il commercio, l’industria, la comunicazione), tessono le loro trame per favorirsi l’un l’altro e trarre sempre più benefici a discapito degli ignari cittadini amministrati. E i pochissimi membri della famiglia meno intaccati da questa pochezza d’animo vengono relegati nel limbo della follia, della solitudine o della morte, a seconda di quale di queste opportunità si presenti più agevole da perseguire. Nel corso della storia, vediamo quindi Michael altalenare tra il suo disagio personale e gli orrori perpetrati dai membri della famiglia Winshaw sotto gli occhi indifferenti o distratti del mondo, ma all’inizio non sembra esserci molto più di una semplice cronaca, nelle sue parole. Tuttavia, ben presto il giovane scrittore (e noi con lui) sarà destinato a scoprire che gran parte, per non dire tutto, di quello che riguarda la sua vita finora e la sua stessa esistenza al mondo è legata alla famiglia di cui sta scrivendo, e che eventi che ha sempre ritenuto frutti del caso potrebbero in realtà essere tessere di un complicato disegno tessuto da qualcuno, e ce potrebbero avere ripercussioni devastanti sul suo futuro.
Come è giustamente esplicitato in quarta di copertina, non è facile attribuire una definizione a questo romanzo capolavoro. Dalla saga familiare al giallo, passando per il romanzo di denuncia e la cronaca storica, Jonathan Coe tesse una trama che fotografa lo spaccato dell’Inghilterra dal secondo dopoguerra agli anni Novanta, intercalandola con elementi autobiografici e di grande slancio sentimentale (è solo una mia opinione, ma ho la sensazione che molto di quello che è Michael Owen sia parte di quello che è stato Jonathan Coe). Un romanzo dove nulla, neanche il più marginale dei paragrafi, è lasciato al caso, e dove realtà e finzione si fondono fino a rendersi indistinguibili l’uno dall’altro. Un romanzo che non dovrebbe mancare nella libreria di ogni appassionato del concetto di ‘narrazione’.
Insolita ed eccitante era la presenza di una persona davanti alla mia porta, ma quel piacere fu temperato non soltanto dall’inopportuno tempismo dell’interruzione ma anche dalla sensazione, caparbia e inquietante, di avere già visto quella donna: tanto che da un momento all’altro avrei potuto riconoscerla e persino rammentarne il nome. Nella mano sinistra stringeva un foglio formato A4, piegato a metà; la destra le ciondolava irrequieta sul fianco, come se stesse cercando una tasca in cui nascondersi.
Michael Owen è un giovane scrittore che dopo un paio di opere discrete ma senza troppe pretese si trova a fare i conti con la classica crisi di ispirazione. A questo si aggiunga che Michael non è quello che potremmo definire una persona equilibrata ed emotivamente sana, dovendo fare i conti con un vissuto di traumi adolescenziali, illusioni e ambizioni infrante, amori frustrati e conflitti familiari, e si può capire facilmente come non sia affatto strano che trascorra buona parte delle sue giornate chiuso in una stanza a guardare ossessivamente film in videocassetta. Su questa base, si inserisce l’elemento perturbante della storia, vale a dire l’offerta che gli viene fatta di scrivere la cronaca storica di una delle famiglie più note, benestanti ed influenti dell’Inghilterra della seconda metà del Novecento: i Winshaw. Questi, dietro la facciata di rispettabili plasmatori delle sorti economico – sociali del paese, nascondono un comune desiderio di soddisfare i loro più bassi desideri: dalla brama di successo mediatico alla avidità di denaro, dagli istinti sessuali allo sfruttamento delle masse. Inseritisi ognuno in una posizione cardine dei giochi di potere del mondo contemporaneo (la politica, la finanza, il commercio, l’industria, la comunicazione), tessono le loro trame per favorirsi l’un l’altro e trarre sempre più benefici a discapito degli ignari cittadini amministrati. E i pochissimi membri della famiglia meno intaccati da questa pochezza d’animo vengono relegati nel limbo della follia, della solitudine o della morte, a seconda di quale di queste opportunità si presenti più agevole da perseguire. Nel corso della storia, vediamo quindi Michael altalenare tra il suo disagio personale e gli orrori perpetrati dai membri della famiglia Winshaw sotto gli occhi indifferenti o distratti del mondo, ma all’inizio non sembra esserci molto più di una semplice cronaca, nelle sue parole. Tuttavia, ben presto il giovane scrittore (e noi con lui) sarà destinato a scoprire che gran parte, per non dire tutto, di quello che riguarda la sua vita finora e la sua stessa esistenza al mondo è legata alla famiglia di cui sta scrivendo, e che eventi che ha sempre ritenuto frutti del caso potrebbero in realtà essere tessere di un complicato disegno tessuto da qualcuno, e ce potrebbero avere ripercussioni devastanti sul suo futuro.
Come è giustamente esplicitato in quarta di copertina, non è facile attribuire una definizione a questo romanzo capolavoro. Dalla saga familiare al giallo, passando per il romanzo di denuncia e la cronaca storica, Jonathan Coe tesse una trama che fotografa lo spaccato dell’Inghilterra dal secondo dopoguerra agli anni Novanta, intercalandola con elementi autobiografici e di grande slancio sentimentale (è solo una mia opinione, ma ho la sensazione che molto di quello che è Michael Owen sia parte di quello che è stato Jonathan Coe). Un romanzo dove nulla, neanche il più marginale dei paragrafi, è lasciato al caso, e dove realtà e finzione si fondono fino a rendersi indistinguibili l’uno dall’altro. Un romanzo che non dovrebbe mancare nella libreria di ogni appassionato del concetto di ‘narrazione’.
Insolita ed eccitante era la presenza di una persona davanti alla mia porta, ma quel piacere fu temperato non soltanto dall’inopportuno tempismo dell’interruzione ma anche dalla sensazione, caparbia e inquietante, di avere già visto quella donna: tanto che da un momento all’altro avrei potuto riconoscerla e persino rammentarne il nome. Nella mano sinistra stringeva un foglio formato A4, piegato a metà; la destra le ciondolava irrequieta sul fianco, come se stesse cercando una tasca in cui nascondersi.
1 commento:
L'ho letto moltissimi anni fa e non avevo mai avuto occasione di parlarne con nessuno. L'ho trovo un romanzo immenso e per certi versi agghiacciante. Ironico e crudele. Epico e surreale. E' l'unico libro di Jonathan Coe che ho letto, e non ho mai compreso (ma non ho neppure approfondito, in verità) successive voci che definivano Coe come un autore "new age". Questo è un romanzo che andrebbe riscoperto. E' importante, ma poco noto, temo.
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