È una storia che ha rappresentato un punto di svolta epocale, se non per l’intero panorama del fumetto, certamente per le storie che riguardano Batman. Fino a non molto tempo prima infatti, sebbene le storie potessero tingersi di colori foschi e atmosfere gotiche, c’era sempre una sorta di lieto fine, una conclusione in cui l’eroe risultava una figura positiva che si opponeva al male e immancabilmente lo sconfiggeva. Poi qualcosa cambia. La seconda metà degli anni Ottanta è un periodo particolare per il fumetto americano, che conosce forse la sua più grande evoluzione concettuale. Fino ad allora, infatti, le storie dei supereroi erano sempre state considerate come un passatempo, e dedicate ad un pubblico prevalentemente adolescente. A metà anni Ottanta, autori come Frank Miller, che propone un Batman invecchiato e in piena crisi esistenziale, e soprattutto Alan Moore, che con il suo “Watchmen” demolisce il concetto di supereroe come era conosciuto fino ad allora, cambiano il fumetto dei supereroi. Non più avventure spassionate per ragazzi, dove immancabilmente i buoni vincono e alla fine tutti sorridono, ma storie e personaggi tormentati da problemi e dubbi uguali a quelli della vita di tutti i giorni, esasperati però dalle vicende ben oltre la normalità in cui si trovano coinvolti. I buoni smettono di vincere sempre, smettono di essere infallibili, a volte smettono perfino di essere così buoni come erano prima.
Nel 1988 esce “The killing Joke”, partorita dalla mente di Alan Moore (sempre lui), la storia che segna la prima grande sconfitta di Batman. Il Joker, evaso da Arkham, spara a Barbara Gordon, figlia del commissario e aiutante di Batman nei panni di Batgirl, e la rende paraplegica. Batman comincia a farsi delle domande strane. Si chiede se non sarebbe stato meglio aver ucciso il Joker in una delle tante occasioni che ha avuto. Pensieri piuttosto inconsueti, per un paladino della giustizia. Meno di un anno dopo, le cose prendono una piega ancora più tragica. Jim Starlin e Jim Aparo creano “Una morte in famiglia”, miniserie destinata a segnare un punto nodale nelle storie del Cavaliere oscuro. Ancora una volta, il Joker si accanisce contro uno dei partner di Batman, il giovane Jason Todd, che dall’abbandono di Dick Grayson veste i panni di Robin. Le sorti della vicenda vengono però in questo caso stabilite non dagli autori, ma dai lettori. Infatti la DC aveva lanciato l’iniziativa che fossero i lettori a decidere, tramite il loro voto, se il giovane Robin nel finale della storia si sarebbe salvato o se sarebbe morto. E il pubblico, forse stanco dei lieto fine che la facevano da padrone da anni, scelse morte. Jason Todd viene massacrato dal Joker a colpi di spranga, per poi morire in un’esplosione per aver scelto di difendere la ritrovata madre.
Detta così potrebbe sembrare banale, ma la vicenda va analizzata a fondo, per capire bene la psicologia dei personaggi. La separazione da Dick Grayson, il primo Robin, e il modo in cui era avvenuta, avevano lasciato un segno profondo nell’anima di Batman. Così, quando gli si presentò davanti un giovane disagiato che sopravviveva rubando ruote di macchine, colse l’occasione per farne il nuovo Robin. E in effetti Jason era bravo, dotato di intelligenza e qualità atletiche almeno pari a quelle di Dick. Purtroppo però, la morte violenta dei genitori e la difficile infanzia l’avevano reso un giovane pieno di rabbia e presunzione. Combattere il crimine per lui era solo un gioco e un’occasione in cui sfogare le sue emozioni nascoste. Un uomo acuto come Batman avrebbe dovuto accorgersene. Ma forse in quella situazione l’eroe non era molto diverso dal proverbiale cieco che non vuol vedere, e si convinse che la disciplina e l’addestramento avrebbero prima o poi mitigato il carattere irruente del ragazzo. Purtroppo però le cose andarono diversamente, al punto che, durante una missione, Robin si sentì abbastanza sicuro di sé da ignorare l’ordine di Batman di non affrontare il Joker da solo. Il risultato fu che, mentre l’eroe sventava una minaccia nucleare, il ragazzo veniva massacrato dal folle pagliaccio.
Da quel momento in poi, nulla sarà più lo stesso per l’uomo pipistrello. Il peso di aver mandato al macello un giovane che aveva preso sotto la sua ala protettrice lo tormenterà per il resto della sua vita, e ancora oggi, dopo vent’anni, nelle storie attuali si può ancora ritrovare il dolore per il più grande fallimento della sua vita da eroe. Con “Una morte in famiglia” si sancisce definitivamente il concetto che era stato anticipato in embrione da “The killing Joke”: i buoni non vincono sempre. Anche un eroe come Batman può conoscere l’amarezza del fallimento e non ci può essere fallimento più grande per un padre di non essere in grado di proteggere il proprio figlio. Anche se di fatto non c’era nessun legame di sangue con Jason Todd, la ferita scavata dalla sua morte nel cuore di Bruce Wayne sarà destinata a non rimarginarsi mai.
Nel 1988 esce “The killing Joke”, partorita dalla mente di Alan Moore (sempre lui), la storia che segna la prima grande sconfitta di Batman. Il Joker, evaso da Arkham, spara a Barbara Gordon, figlia del commissario e aiutante di Batman nei panni di Batgirl, e la rende paraplegica. Batman comincia a farsi delle domande strane. Si chiede se non sarebbe stato meglio aver ucciso il Joker in una delle tante occasioni che ha avuto. Pensieri piuttosto inconsueti, per un paladino della giustizia. Meno di un anno dopo, le cose prendono una piega ancora più tragica. Jim Starlin e Jim Aparo creano “Una morte in famiglia”, miniserie destinata a segnare un punto nodale nelle storie del Cavaliere oscuro. Ancora una volta, il Joker si accanisce contro uno dei partner di Batman, il giovane Jason Todd, che dall’abbandono di Dick Grayson veste i panni di Robin. Le sorti della vicenda vengono però in questo caso stabilite non dagli autori, ma dai lettori. Infatti la DC aveva lanciato l’iniziativa che fossero i lettori a decidere, tramite il loro voto, se il giovane Robin nel finale della storia si sarebbe salvato o se sarebbe morto. E il pubblico, forse stanco dei lieto fine che la facevano da padrone da anni, scelse morte. Jason Todd viene massacrato dal Joker a colpi di spranga, per poi morire in un’esplosione per aver scelto di difendere la ritrovata madre.
Detta così potrebbe sembrare banale, ma la vicenda va analizzata a fondo, per capire bene la psicologia dei personaggi. La separazione da Dick Grayson, il primo Robin, e il modo in cui era avvenuta, avevano lasciato un segno profondo nell’anima di Batman. Così, quando gli si presentò davanti un giovane disagiato che sopravviveva rubando ruote di macchine, colse l’occasione per farne il nuovo Robin. E in effetti Jason era bravo, dotato di intelligenza e qualità atletiche almeno pari a quelle di Dick. Purtroppo però, la morte violenta dei genitori e la difficile infanzia l’avevano reso un giovane pieno di rabbia e presunzione. Combattere il crimine per lui era solo un gioco e un’occasione in cui sfogare le sue emozioni nascoste. Un uomo acuto come Batman avrebbe dovuto accorgersene. Ma forse in quella situazione l’eroe non era molto diverso dal proverbiale cieco che non vuol vedere, e si convinse che la disciplina e l’addestramento avrebbero prima o poi mitigato il carattere irruente del ragazzo. Purtroppo però le cose andarono diversamente, al punto che, durante una missione, Robin si sentì abbastanza sicuro di sé da ignorare l’ordine di Batman di non affrontare il Joker da solo. Il risultato fu che, mentre l’eroe sventava una minaccia nucleare, il ragazzo veniva massacrato dal folle pagliaccio.
Da quel momento in poi, nulla sarà più lo stesso per l’uomo pipistrello. Il peso di aver mandato al macello un giovane che aveva preso sotto la sua ala protettrice lo tormenterà per il resto della sua vita, e ancora oggi, dopo vent’anni, nelle storie attuali si può ancora ritrovare il dolore per il più grande fallimento della sua vita da eroe. Con “Una morte in famiglia” si sancisce definitivamente il concetto che era stato anticipato in embrione da “The killing Joke”: i buoni non vincono sempre. Anche un eroe come Batman può conoscere l’amarezza del fallimento e non ci può essere fallimento più grande per un padre di non essere in grado di proteggere il proprio figlio. Anche se di fatto non c’era nessun legame di sangue con Jason Todd, la ferita scavata dalla sua morte nel cuore di Bruce Wayne sarà destinata a non rimarginarsi mai.