domenica 11 gennaio 2009

Sembra di sentirlo ancora dire al mercante di liquore...



Proprio così. Anzi, non sembra: lo sento ancora. Vi sembrerà strano, detto da un ateo convinto, ma io credo nella vita eterna e nel paradiso. Un paradiso particolare, creato da ognuno di noi e popolato da tutti quelli che per noi non moriranno mai. Nel mio paradiso, Fabrizio de Andrè ha un posto d’onore, e con lui ci sono tutte le sue creature. Una corte di persone, non solo personaggi, in cui nessuno ha una sedia più alta di un altro. Gesù è seduto e chiacchiera con una prostituta, Babbo Natale violenta una ragazza, Carlo Martello scambia due parole con un becchino, e centinaia di altri, tutti insieme e tutti, inesorabilmente, unici.

Chi è Fabrizio de Andrè? L’hanno definito in molti modi, poeta, cantautore, anarchico, sognatore. L’hanno schedato, censurato, sequestrato. L’hanno cercato, applaudito, amato. Eppure credo che nessuno sappia veramente chi è. Io meno di chiunque altro. Posso dire quello che è per me. Ero piccolo, davvero molto piccolo, quando cominciai a sentire le sue canzoni. Negli anni si sono aggiunti consapevolezza e interesse, ma la passione, l’attrazione, è rimasta quella di quel bambino che ascoltava rapito le sue creature parlare con la sua voce. Forse il modo migliore in cui posso definirlo è cercatore. Per tutta la vita, non ha fatto altro che cercare. Ma cosa? Cercava la solidarietà nell’ipocrisia della società? Cercava l’amore nel degrado e nel disprezzo umano? Cercava l’umano nella divinità? Cercava il rispetto nell’emarginazione? Sì, sicuramente c’era tutto questo. Ma non solo questo. Fabrizio cercava la vita nella vita. Cercava l’uomo nell’uomo. Cercava il sogno nel sogno. Cercava la natura nella natura. E li ha trovati tutti. Avrebbe potuto tenerseli per sé, invece ce li ha regalati.

Conosco tutte le sue canzoni a memoria, e costantemente mi risuonano nelle orecchie frasi come “Tu che lo vendi, cosa ti compri di migliore?”, o “Mi spiega che penso e bevimmo ‘occafé”. Non c’è altro modo di ricordare Fabrizio, se non con le parole delle sue creature. Per questo mi è piaciuta molto l’idea di Sergio Algozzino, fumettista palermitano, che per commemorarne la morte fa parlare i suoi personaggi in una storia senza troppe pretese. Non vuole spiegarci il mondo o la vita, ci ricorda soltanto l’inutilità del parlarsi addosso. Ci fa capire che spesso il silenzio è il miglior tributo, la migliore orazione. Un silenzio in cui risuonano le sue melodie, e dove ognuno di noi può ricordarlo come vuole. L’11 gennaio 1999 è solo un numero su una pagina del calendario, così come lo è quello di oggi, 11 gennaio 2009. Nessuno conta i giorni di un’amicizia, o di un amore. L’11 gennaio di dieci anni fa non è successo niente, non è finito proprio niente. Fabrizio è vivo insieme a noi. Ed è stato proprio lui a insegnarmi che “l’inferno esiste solo per chi ne ha paura”.

5 commenti:

Patoublues ha detto...

complimenti filippo! bel post!!! ;)

Adele

Adryss ha detto...

Grazie! ^_^

Fra ha detto...

Concordo, ognuno vive il proprio Fabrizio in un modo personalissimo, questo è il suo più grande regalo: la libertà che si prova ascoltandolo
Un abbraccio
Fra

veronica ha detto...

Post bellissimo che davvero rende giustizia a un simile cantautore...BRAVO!

Adryss ha detto...

Grazie, Fra e Veronica! Devo dire che non è stato facile scrivere quello che sentivo, ma a quanto dite credo di esserci riuscito! :-)