Non sono mai stato un grande appassionato di shojo manga. Ne conosco pochi, ne ho letti ancora meno. Per chi non lo sapesse, gli shojo manga sono quelli di argomento sentimentale, riguardano prevalentemente storie d’amore tra adolescenti giapponesi. Il numero di queste opere prodotte in Giappone è enorme, e anche in Italia, dove arriva solo una piccola parte delle opere giapponesi, le storie di questo tipo di contano a decine. Eppure ogni tanto ci vogliono. Ci sono momenti in cui è necessario leggere emozioni positive, storie in cui sai che i momenti brutti passano e si risolvono, storie in cui tutti i personaggi, alla fine, trovano la felicità. Per alcuni saranno storie banali, scontate, prevedibili. Forse è vero. Però in alcuni casi la prevedibilità di queste storie può dare una sensazione di speranza. Senza la pretesa di essere opere essenziali, di spiegare con immagini e parole il senso dell’esistenza umana, riescono a rilassare. Riescono a dare un lieto fine anche quando non ne vedi uno nel mondo reale. È per questo che ho riletto, in questi giorni, l’opera forse più conosciuta di Wataru Yoshizumi. Una storia che, come molti, avevo conosciuto nella sua trasposizione animata. Erano gli anni tra le medie e il liceo, quando si comincia a guardare al mondo con occhi un po’ diversi. Quello che non c’era stato prima e non aveva dato nessun segno di necessità, ad un tratto comincia a mancarti, e quando succede, questo senso di mancanza difficilmente va via, anche dopo molti anni. Si cresce, si impara, ci si innamora, ci si lascia, si ha paura, si è cercati, si è rifiutati. Quando si trova una persona, quella sensazione si fa da parte, anche lei spera di non dover più tornare a svolgere il suo compito. Quella sensazione che ti costringe a dire le parole “mi manca”. Quella sensazione che ti fa provare il desiderio di piangere anche se non riesci più a farlo da anni. Ma a questa sensazione bisogna anche essere grati, perché è lei che ti impedisce di rinunciare, è lei che ti impedisce di abituarti, consapevole che l’abitudine è una malattia da cui non si guarisce. Preferisce farsi odiare per quello che ti fa provare, piuttosto che lasciarti da solo in un posto da cui difficilmente potresti venir fuori. È in momenti così che fumetti come questo rivelano tutta la loro ragion d’essere. Non saranno opere fondamentali della letteratura disegnata, ma vi assicuro che leggerli in una giornata di sole, seduti in una terrazza da cui si vede il mare e si sente solo il vento che fa muovere le foglie, è capace di dare sensazioni che nessun’altra lettura può dare. Sensazioni che ti fanno pensare “un giorno, prima o poi, succederà”.
lunedì 22 giugno 2009
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2 commenti:
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Complimenti per il blog, ottimo lavoro! A presto
Grazie davvero della proposta, ma per adesso non posso prendere impegni di questo tipo perché sono molto impegnato con l'università. Comunque se in futuro dovessi essere più libero ci penserò. Grazie anzora, ^^
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