Negli ultimi tempi ho riscoperto un po’ di quella passione per la letteratura d’azione che per parecchi anni avevo relegato ad un cantuccio del mio tempo libero. Mi ero dedicato per un po’ a romanzi di autori contemporanei, molto intimisti, e in particolare avevo dato sfogo alla mia passione per le saghe familiari, iniziata con De Roberto, passata attraverso Tomasi di Lampedusa, per arrivare ad autori stranieri come Biancheri o Ramsland. Negli ultimi mesi, invece, complice anche la scoperta di Fred Vargas e dei suoi particolari romanzi, mi sono riscoperto lettore di gialli, da quelli più letterari a quelli di impostazione più classica. E giallo e nero sono parenti stretti da sempre, al punto che spesso è difficile distinguere dove cominci uno e finisca l’altro. Proprio su questa scia, ho comprato questo romanzo di Edward Bunker, attirato anche dai commenti in quarta di copertina. Autore interessante, Bunker, non solo per le sue opere e il suo modo di scrivere, ma anche per la sua vita. Leggendo la prefazione, tra l’altro affidata a James Ellroy, ho scoperto che questo autore ha passato in carcere diciotto dei suoi quarantatre anni, uscendovi e rientrandovi a più riprese. Ladro, truffatore e a volte violento, in carcere si rende conto dei grossolani meccanismi dell’esistenza umana, dallo scambio di favori alla lealtà tra prigionieri, dal tradimento alla vendetta. Ma, a differenza di come noi “gente normale” siamo abituati a considerare i detenuti, Bunker scopre anche una curiosa quanto salvifica passione per la lettura. Nelle lunghe ore passate a guardare il sole a strisce, divora romanzi uno dietro l’altro, acquisendone una capacità dialettica e culturale che farebbe invidia a molti dei nostri personaggi pubblici. Spentisi i fuochi della giovinezza, Bunker ha scoperto il piacere della vita tranquilla, con una moglie e un figlio, diventando il classico bravo ragazzo americano.
Ma avendo smesso di frequentare il carcere, ha deciso di scrivere del carcere, e di quel magico, pericoloso e affascinante mondo che è il crimine. Persino il più superficiale dei lettori riconoscerebbe infatti in Max Dembo, protagonista di “Come una bestia feroce”, più che un semplice accenno autobiografico. Si può dire tranquillamente che Max sia Edward, o che Edward sia Max, fate voi, sta di fatto che leggere questo romanzo significa calarsi non solo nell’ambiente, ma anche nella psicologia del criminale. Quello che più colpisce, di questa lettura, non è l’atmosfera squisitamente noir dei bassifondi californiani, ma il modo in cui Max Dembo pensa quando si trova in quel contesto. Si capisce che ci sono dettagli in questi processi mentali che solo chi li ha sperimentati personalmente può riprodurre a parole. Certi meccanismi logici non sarebbero possibili per un qualsiasi autore che volesse scrivere di una rapina. Solo un ladro può sapere come si pianifica un colpo. E solo chi le ha provate di persona potrebbe trasmettere così chiaramente le sensazioni di una rapina a mano armata. Ma insieme al criminale, in Max Dembo si sente pulsare anche l’uomo di lettura che è Bunker. L’atmosfera idilliaca di certi paesaggi, le sensazioni che semplici attività quotidiane suscitano in qualcuno che si era totalmente disabituato ad esse, creano un incredibile contrasto con la crudezza delle immagini strettamente legate al mondo criminale, la violenza più rude, la volgarità più disinvolta, la più sfrenata bassezza istintuale.
Certo, se non amate le atmosfere più noir, questo non è un romanzo che fa per voi. Ma anche in caso contrario, come scrive Ellroy nella prefazione, “ultimo avvertimento: diffidate, non uscirete intatti dal vostro incontro con Max Dembo”.
- Non ci posso credere: è tutta la vita che fumiamo erba nei ghetti, e un tempo era il crimine pi grave del mondo. Se venivi beccato non c’era verso di ottenere un po’ di clemenza dalla corte. E adesso che tutti quei rampolli di senatori vengono sorpresi a fumare, si mettono a cambiare la legge. Fin quando si trattava di noi poveri coglioni, a nessuno fregava un cazzo.
- L’hai detto. Ma noi eravamo fuori passo con i tempi.
Ma avendo smesso di frequentare il carcere, ha deciso di scrivere del carcere, e di quel magico, pericoloso e affascinante mondo che è il crimine. Persino il più superficiale dei lettori riconoscerebbe infatti in Max Dembo, protagonista di “Come una bestia feroce”, più che un semplice accenno autobiografico. Si può dire tranquillamente che Max sia Edward, o che Edward sia Max, fate voi, sta di fatto che leggere questo romanzo significa calarsi non solo nell’ambiente, ma anche nella psicologia del criminale. Quello che più colpisce, di questa lettura, non è l’atmosfera squisitamente noir dei bassifondi californiani, ma il modo in cui Max Dembo pensa quando si trova in quel contesto. Si capisce che ci sono dettagli in questi processi mentali che solo chi li ha sperimentati personalmente può riprodurre a parole. Certi meccanismi logici non sarebbero possibili per un qualsiasi autore che volesse scrivere di una rapina. Solo un ladro può sapere come si pianifica un colpo. E solo chi le ha provate di persona potrebbe trasmettere così chiaramente le sensazioni di una rapina a mano armata. Ma insieme al criminale, in Max Dembo si sente pulsare anche l’uomo di lettura che è Bunker. L’atmosfera idilliaca di certi paesaggi, le sensazioni che semplici attività quotidiane suscitano in qualcuno che si era totalmente disabituato ad esse, creano un incredibile contrasto con la crudezza delle immagini strettamente legate al mondo criminale, la violenza più rude, la volgarità più disinvolta, la più sfrenata bassezza istintuale.
Certo, se non amate le atmosfere più noir, questo non è un romanzo che fa per voi. Ma anche in caso contrario, come scrive Ellroy nella prefazione, “ultimo avvertimento: diffidate, non uscirete intatti dal vostro incontro con Max Dembo”.
- Non ci posso credere: è tutta la vita che fumiamo erba nei ghetti, e un tempo era il crimine pi grave del mondo. Se venivi beccato non c’era verso di ottenere un po’ di clemenza dalla corte. E adesso che tutti quei rampolli di senatori vengono sorpresi a fumare, si mettono a cambiare la legge. Fin quando si trattava di noi poveri coglioni, a nessuno fregava un cazzo.
- L’hai detto. Ma noi eravamo fuori passo con i tempi.
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