venerdì 15 gennaio 2010

Imprimatur

Siamo appena entrati nel secondo decennio del 2000, tra poco potremo tornare a usare frasi come “è nato nel ‘12” o “scade nel ‘14”. Eppure stasera (14.01.2010) accendendo il televisore, mi sono sentito catapultato mille anni nel passato. Eravamo ancora in quella che va sotto il nome di Età di mezzo quando le massime autorità del tempo (quelle ecclesiastiche) decidevano cosa poteva essere scritto e cosa no. La frase “Nihil obstat quominus imprimatur” (nulla impedisce che sia stampato), un marchio a tutti gli effetti, era il requisito fondamentale perché un’opera scritta potesse essere divulgata, e la cosa avveniva solo quando l’opera in questione veniva approvata da chi gestiva i mezzi di comunicazione di allora. Eppure, dopo mille anni, non abbiamo ancora imparato che non basta un timbro (o la mancanza di esso) per impedire a un’idea di circolare. Scritti e documenti clandestini di ogni tipo se ne infischiavano altamente di timbri più o meno sacri e trasmettevano già allora la cosiddetta parola del demonio.

Oggi sento parlare di un progetto governativo per la regolamentazione di internet. Fior di giornalisti mi dicono che non è possibile che Google, in base al suo algoritmo di ricerca, ‘decida’ cosa la gente deve leggere e cosa no. Sento dire che su Youtube non è più possibile tollerare la presenza di video e filmati senza selezionare la fonte o l’argomento. Mi sento davvero male. Anzi, mi sento seriamente preoccupato. Il controllo dei mezzi di comunicazione è da sempre stato la prerogativa fondamentale di ogni forma di regime. E tra l’altro non capisco in che modo ci si possa liberare da un presunto controllo da parte di Google sull’informazione inserendo un’altra forma di controllo. È come dire che per risolvere il problema degli omicidi bisogna scendere in strada a uccidere i potenziali assassini. Mi rendo conto che c’è un po’ di paura nell’aria. Capisco che chi un tempo deteneva l’autorità assoluta su certi argomenti si senta minacciato dalla possibilità concreta e immediata che internet offre di acquisire conoscenze e informazioni su qualsiasi cosa venga in mente. Ma nella mia visione del mondo, questo dovrebbe rappresentare uno stimolo piuttosto che una minaccia. Un incentivo a migliorarsi sempre più per dimostrare che le proprie capacità sono insostituibili. Allo stesso modo, qualunque idea, in qualunque modo venga espressa, non mi farà mai paura. Sono un medico, ma se dovessi scoprire che esiste un sito in cui si propone di uccidere tutti i medici, non perderei neanche un minuto di sonno. Comincerei a preoccuparmi nel momento in cui qualcuno decidesse di mettere in pratica quella teoria. Tuttavia, la mia seppur limitata esperienza e conoscenza della storia mi ha insegnato che nessuno che abbia intenzione di fare del male ne parla mai. Lo fa e basta. Preferisco di gran lunga che qualcuno mi minacci di morte, perché chi non lo fa potrebbe uccidermi senza aver aperto bocca.

Viviamo in un mondo in cui la comunicazione ha raggiunto velocità tali da annullare qualsiasi limitazione geografica, e questo ci ha catapultato nella terza guerra mondiale, quella della conoscenza e dell’informazione. O arriviamo ad avere l’informazione o siamo tagliati fuori dalla realtà, e non possiamo più avere intermediari: la rete ci permette di andare a vedere direttamente. Per questo me ne sbatto altamente dell’algoritmo di Google. Quando era nato, Google erano due ragazzi in un garage con un computer e un filo del telefono, che hanno inventato uno dei più grandi ritrovati scientifici di sempre: il motore di ricerca. Qualche anno fa, quei due ragazzi sono diventati quarantenni, sono diventati multimiliardari, e si sono fatti comprare dal governo cinese. Questo è spiacevole. Ma la speranza è che ci siano sempre due ragazzi di quindici anni in un garage che inventeranno qualcosa per rompere il culo a quelli di Google. Oggi scopro che Google sta cominciando a ribellarsi alle restrizioni, rimuovendo i blocchi alla ricerca imposti dal governo cinese. Questo mi fa sperare. Mi fa sperare che quando scrivo su questo blog una piccola riflessione indirizzata al presidente Obama, magari in quella stanza dalla curiosa forma ovale ci sia un computer acceso e collegato alla pagina di “Cose preziose”. Mi fa sperare che accanto al mio blog dove si chiacchiera di libri, fumetti, e qualcos’altro, ce ne siano altri dove si dice che i comunisti sono dei criminali terroristi, che i musulmani vanno sterminati, che i preti sono dei mafiosi, e via dicendo. Perché non mi fanno paura le voci, mi fa paura che qualcuno pensi di metterle a tacere, a prescindere dal fato che io sia d’accordo con alcune e in disaccordo con altre. Perché ho paura che un giorno qualcuno deciderà che non si può avere un blog che parla di fumetti, o di libri, o di cinema. Se quel giorno arriverà, comincerò a scrivere nell’ombra, con o senza imprimatur. So che la cito spesso, ma è una frase che adoro: “Boss... avevi ragione tu. Non si tratta di cambiare il mondo. Si tratta di fare del nostro meglio per lasciarlo così com’è. Si tratta di rispettare la volontà altrui, e di credere nella propria”. Se qualcuno vuole dire o scrivere qualcosa contro di me, si faccia avanti: la mia penna non si troverà mai indietro.

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