lunedì 26 novembre 2007

Fathom

Mi è necessaria una precisazione, prima di parlare di quest’opera a fumetti. Necessaria perché non voglio rischiare un’accusa di plagio, necessaria perché rappresenta un minimo, anche se a mio modo di vedere giusto, sfogo. Necessaria perché tengo all’opinione di chi legge quello che scrivo in questo spazio.
Qualche anno fa iniziai una collaborazione con un sito (del quale preferisco non fare il nome), che partiva da una mia idea. Nelle mie allora frequenti scorribande tra le maglie della rete, mi ero imbattuto in questo sito, che si occupava principalmente di sovrannaturale, e nel quale pubblicavano i loro articoli anche persone esterne allo staff. Contattai il webmaster, e gli esposi la mia idea di una rubrica che parlasse di fumetti di argomento affine. Ne fu entusiasta, e molto disponibile, in un primo tempo, tanto che nel giro di qualche mese vidi pubblicati una presentazione, una pubblicità di vetrina e cinque articoli (tra l’altro, uno di questi mi costò molto impegno e fatica nella raccolta delle fonti bibliografiche e nella loro sintesi in circa quaranta pagine word). Purtroppo però, quando ebbi pronto un sesto articolo, la risposta al mio invio fu che adesso il sito aveva fondato una associazione privata, che solo gli iscritti potevano pubblicare, e che l’iscrizione comportava una spesa di quindici euro, un abbonamento alla rivista pubblicata dall’associazione, e una presenza annuale alle riunioni. Per questi motivi, decisi unilateralmente di non avere più nessun contatto con queste persone. Non ho idea di che fine abbia fatto il sito, ma i miei articoli vi erano pubblicati, e anche se comparivano con il mio nome, qualcuno potrebbe pensare ad un omonimo. Per questo, ci tengo a precisare che tutto quello che si legge su questo blog è frutto esclusivo del mio lavoro, della mia fantasia, della mia pazzia, e forse di qualcos’altro che mi porto appresso, ma certamente non del furto del lavoro altrui. E a scanso di equivoci, dato che mi ripropongo di recuperare questo materiale per successivi post, vi dico che gli articoli pubblicati riguardavano: “Fathom”, “The Coven”, “Soul saga”, “Jonathan Steele” e “Neon Genesis Evangelion”. Di questi, il primo lo leggerete, con qualche piccola modifica, qui di seguito, il secondo e il terzo sono di prossima pubblicazione, gli ultimi due non credo che li utilizzerò mai. Il sesto invio, di cui parlavo, è “Arrowsmith”, del quale avete già letto in questa sede. A questo punto, non mi resta che augurarvi…Buona immersione!

Fathom
Ad ogni essere umano è capitato almeno una volta di guardare in cielo e porsi la fatidica domanda: ‘Ma siamo davvero soli nell'universo?’. Alla ricerca di un'altra forma di vita intelligente (ponendo come prima quella umana, cosa tutt’altro che scontata) si sono dedicati molti uomini per molte generazioni. Chiunque di quelli che hanno scrutato l’universo ha sperato, almeno per un istante, di vedere a un certo punto materializzarsi davanti ai suoi occhi una creatura aliena, a bordo della sua astronave. La letteratura, la cinematografia e l'arte in generale hanno sin dalle loro prime forme dato sfogo e voce a questa curiosità connaturata nell'uomo, molto spesso esasperandola e facendo passare per banali eventi e situazioni che in realtà non lo sono. Una delle più grosse banalità, che solo negli ultimi anni è stata finalmente abbandonata, era quella che gli alieni venissero da Marte, da cui il termine marziani.

Qualche anno fa ho avuto occasione di leggere qualcosa di veramente interessante riguardo a questa tematica: gli alieni. Si diceva di come sia banale la concezione che gli alieni vengano da Marte. In “Fathom”, lo sceneggiatore e disegnatore Michael Turner porta l'attenzione su questo concetto e lo amplifica al punto da mostrare una banalità ancor più grande, e tuttavia più celata: perché gli alieni devono venire per forza dallo spazio? Con una sapiente operazione letteraria, l'autore porta a riflettere sul significato intrinseco della parola alieno, che etimologicamente deriva dal latino alius - alia - aliud, cioè ‘altro, estraneo, diverso’. Diverso da cosa? Ma naturalmente dalla natura intrinseca dell'osservatore, che è inevitabilmente un rappresentante del genere umano.
Ma torniamo alla domanda: perché per forza dallo spazio? Utile risulta, per spiegare il rivoluzionario punto di vista di Turner, citare le battute iniziali della sua opera:

“Terra. Strano nome per un pianeta la cui superficie è coperta per più di due terzi da oceani, laghi e fiumi. “Acqua” sarebbe stato più corretto. Le montagne più alte... le depressioni più profonde... la maggior parte delle specie di vita... dei pericoli... e dei misteri... sono tutti sotto la superficie. L’uomo ha sempre avuto foga di guardare le stelle per trovare risposte... o una guida... o il vero motivo per cui siamo su questo pianeta... e ha dimenticato di guardare nel luogo più ovvio... sotto i suoi piedi. Nel mondo sotterraneo.”


Già questo basta a far intuire al lettore che aprendo il primo albo di Fathom si trova alle prese con un’opera rivoluzionaria e innovativa. Ma, proprio per quella sinergia tra parole e disegni che si deve realizzare in un fumetto, solo guardando la sequenza delle tavole che ripercorre e integra quella delle didascalie ci si rende conto del valore intrinseco dell’opera.
Questo tuttavia è solo il primo di una serie di spunti interessantissimi che Turner ci mostra. Sempre riguardo al tema della diversità, egli ci spinge a riflettere su come questa vada sempre ricercata all’interno delle cose e non sulla loro superficie. Proprio per questo i suoi alieni hanno un aspetto esteriore assolutamente assimilabile a quello della specie umana, tanto assimilabile che la protagonista, ovviamente un’aliena, vive per circa tredici anni in mezzo agli umani senza rendersi conto della sua vera natura e senza che altri notino la differenza. Una razza aliena che quindi potrebbe perfettamente vivere in mezzo a noi.

Altro tema interessante è quello dell’evoluzione. Evidentemente, per essere alieni, questi esseri devono avere delle caratteristiche peculiari. Gli alieni di Turner vivono nell'acqua. Di più, sono fatti di acqua, o meglio ancora sono in grado di trasformarsi in acqua. E dall’acqua sono in grado di sviluppare un'energia devastante, di molto superiore a quella delle armi costruite dall'uomo. Oltretutto sono creature estremamente intelligenti ed evolute, tanto da sviluppare una tecnologia largamente superiore a quella degli umani.
Inoltre, a differenza degli umani, che per quanto evoluti riescono ad essere alquanto stupidi, essi hanno capito che i rapporti con la razza umana sarebbero estremamente difficili. In questo si può cogliere un'ulteriore critica di Turner alla nostra specie. Nel corso dei secoli l’uomo ha preso coscienza della sua evoluzione e si è convinto, sbagliando, di occupare il gradino più alto della scala filogenetica. Da questa consapevolezza è scaturita l’arroganza di dover dominare su tutto quello che lo circonda. La razza degli acquatici, consapevole della sua superiorità evolutiva quanto della sua inferiorità numerica, ha deciso quindi di estraniarsi dalle faccende degli umani, limitandosi ad osservare senza mai mostrarsi. L'uomo ha però commesso l'inconsapevole quanto imperdonabile errore di violare e profanare l'habitat naturale di queste creature. I test per gli ordigni nucleari sono stati la proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso, soprattutto quando hanno distrutto una città sottomarina e ucciso migliaia di esseri viventi. Alcuni sono rimasti dell’avviso di non intervenire, cautelandosi in altro modo, altri hanno deciso che la superiorità della loro razza doveva ormai venire alla luce per portare al dominio sul genere umano. Lo scontro è a questo punto inevitabile.

Molti possono essere i messaggi da isolare in questo opera: guerra, evoluzione, terrorismo, complotti militari, coraggio individuale. Tra tutti ne voglio scegliere uno: qualunque azione ci accingiamo a compiere, dobbiamo sempre pensare che avrà delle conseguenze su quanto ci circonda, e inoltre non possiamo mai sapere che cosa c’è nell’ignoto del nostro pianeta. Una cosa è certa: per quanti sforzi facciamo, nel singolo come nel collettivo, ci sarà sempre prima o poi qualcuno che ci supererà. Giudicarsi al di sopra di qualsiasi altra cosa è solo la manifestazione di una cieca arroganza che purtroppo ci portiamo dentro fin dalle nostre prime generazioni.

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