È capitato spesso di parlarne con degli amici che, oltre ad essere colpevoli della inconsistenza delle mie finanze, sono anche appassionati di fumetti (sarà per questo che li vendono. Quasi tutti a me, tra l’altro…). Che cosa rimane, oggi, dei cari, buoni, vecchi supereroi? In effetti, siamo un po’ tutti costretti ad assistere ad un costante declino delle produzioni di questi personaggi, sempre più invischiati in maxi-saghe complicatissime, in cui decine e decine di personaggi, sia ‘buoni’ che ‘cattivi’, fanno la loro comparsa, spesso solo per una manciata di vignette, quasi che il filo guida di tutto sia un banale “più siamo, meglio stiamo”. Anche solo da un punto di vista pratico e materiale, queste operazioni non funzionano: i lettori occasionali non possono appassionarsi ad una storia che non capiscono per mancanza di un adeguato bagaglio di nozioni, i collezionisti sono costretti ad acquistare decine di albi in più per avere la saga completa, i venditori devono barcamenarsi tra titoli, sottotitoli e speciali talvolta di non facile individuazione, anche per gli addetti ai lavori. Come esempi di questo discorso iniziale (e per fare onore a quella par condicio che qualcuno vorrebbe abolita perché “illiberale”!) cito le ultime nate nelle due più grosse case editrici americane: “Guerra civile” per la Marvel, e “Crisi infinita” per la DC. Entrambe esprimono perfettamente quanto ho detto finora. Anzi, ad essere sincero, forse delude più la seconda che la prima. Se infatti Guerra civile era contraddistinta fin dall’inizio dalla pochezza della storia e da una serie di incongruenze logiche, culminate in un finale su cui non voglio fare commenti, Crisi infinita aveva tutte le premesse per svilupparsi in modo interessante. Purtroppo però si è persa in una miriade di sottotrame a volte oscure, situazioni complicate e personaggi a mai finire, tanto che anche il lettore più ostinato non poteva non desiderare la fine dell’albo per riposare gli occhi e la mente.
Che cosa salvare, quindi, dei supereroi di oggi? Chi far emergere dal mucchio, chi consigliare agli amici o ai neofiti? Indubbiamente, quelle due o tre produzioni che guardano alla figura del supereroe in modo veramente innovativo e dinamico. Una di queste è certamente “The Maxx”, di Sam Kieth.
Come lui stesso ebbe a scrivere nel 2003, in occasione della raccolta in volume delle prime storie, a dieci anni dalla loro pubblicazione, “Alcuni lo comprarono durante il boom della Image e furono delusi o sollevati nello scoprire che Maxx aveva ben poco a che fare con gli albi di supereroi”. Un po’ di storia.
Maxx è un barbone senza tetto, che vive in uno scatolone di cartone, e che gode spesso dell’aiuto e forse anche dell’amicizia di Julie, assistente sociale, eccentrica e piena di complessi. Ma, da un’altra parte, Maxx è un supereroe, uno di quelli veri, che salva la sua bella, Julie, cattura i criminali e vive avventure straordinarie. Fin qui tutto già visto (scatolone a parte). Solo che questo posto, l’Outback, è nella sua mente. Ed ecco che, con un semplice espediente, Sam Kieth ci conduce per mano in un caleidoscopio onirico, psicologico, allucinato, psichedelico, fantastico. Un caleidoscopio creato dalle fantastiche immagini che si armonizzano perfettamente ai dialoghi e alla storia in generale.
Ma se si riesce a non perdere la lucidità, a non farsi trascinare da quei tratti pastosi, a guardare alla vicenda nel suo insieme, si può scorgere il tema centrale della storia: la crescita. O meglio, la paura della crescita. In fondo, i personaggi non fanno altro che compiangersi, parlare da soli ad alta voce, pensare che tutto quello che accade loro sia molto importante. Stronzate adolescenziali (parole di Sam Kieth). Ma utili a farci capire che tutto quello che accade in quegli anni è davvero importante, e per questo i personaggi rimangono imprigionati in una eterna adolescenza. Così, Julie, piuttosto che dedicarsi al suo lavoro e ai problemi concreti della vita, preferisce idealizzare Maxx trasformandolo in un cucciolo bisognoso d’affetto, un principe azzurro, un fidanzato, tutto in una sola persona. Maxx, dal canto suo, non fa altro che rimuginare sui suoi deliri e allucinazioni di avventure fantastiche e principesse/padroncine da salvare (Julie), piuttosto che volgere lo sguardo alla realtà che lo circonda. E a chi è affidato il compito di mostrare a Maxx la dura realtà, a distoglierlo dai suoi sogni? A mr. Gone, guarda caso il cattivo della situazione, l’arcinemico, la nemesi di Maxx. Perché forse sarebbe più bello poter vivere per sempre in un mondo di sogni, di desideri esauditi, di illusioni. Quindi chi fa il cattivo cerca di riportarci alla realtà. Come ho letto da qualche parte parecchio tempo fa, “Il nostro mondo vive di sogni. E sta morendo di realtà”.
Purtroppo però, crescere non è solo un dovere, è anche un passo importante e necessario. Chi si trova a confrontarsi da poco con le responsabilità di ‘essere grande’, forse preferirebbe tornare indietro di qualche anno, quando gli unici pensieri erano giocare a pallone e guardare i cartoni. Però quello che si guadagna a scoprire i primi capelli bianchi, quando ci si guarda allo specchio, è la maturità per apprezzare cose come il vero amore o la vera amicizia, per prendere decisioni importanti e a volte gravi, per affrontare le conseguenze di queste decisioni. Onestamente, credo che pochi di quelli che lo dicono vorrebbero veramente tornare indietro.
Che cosa salvare, quindi, dei supereroi di oggi? Chi far emergere dal mucchio, chi consigliare agli amici o ai neofiti? Indubbiamente, quelle due o tre produzioni che guardano alla figura del supereroe in modo veramente innovativo e dinamico. Una di queste è certamente “The Maxx”, di Sam Kieth.
Come lui stesso ebbe a scrivere nel 2003, in occasione della raccolta in volume delle prime storie, a dieci anni dalla loro pubblicazione, “Alcuni lo comprarono durante il boom della Image e furono delusi o sollevati nello scoprire che Maxx aveva ben poco a che fare con gli albi di supereroi”. Un po’ di storia.
Maxx è un barbone senza tetto, che vive in uno scatolone di cartone, e che gode spesso dell’aiuto e forse anche dell’amicizia di Julie, assistente sociale, eccentrica e piena di complessi. Ma, da un’altra parte, Maxx è un supereroe, uno di quelli veri, che salva la sua bella, Julie, cattura i criminali e vive avventure straordinarie. Fin qui tutto già visto (scatolone a parte). Solo che questo posto, l’Outback, è nella sua mente. Ed ecco che, con un semplice espediente, Sam Kieth ci conduce per mano in un caleidoscopio onirico, psicologico, allucinato, psichedelico, fantastico. Un caleidoscopio creato dalle fantastiche immagini che si armonizzano perfettamente ai dialoghi e alla storia in generale.
Ma se si riesce a non perdere la lucidità, a non farsi trascinare da quei tratti pastosi, a guardare alla vicenda nel suo insieme, si può scorgere il tema centrale della storia: la crescita. O meglio, la paura della crescita. In fondo, i personaggi non fanno altro che compiangersi, parlare da soli ad alta voce, pensare che tutto quello che accade loro sia molto importante. Stronzate adolescenziali (parole di Sam Kieth). Ma utili a farci capire che tutto quello che accade in quegli anni è davvero importante, e per questo i personaggi rimangono imprigionati in una eterna adolescenza. Così, Julie, piuttosto che dedicarsi al suo lavoro e ai problemi concreti della vita, preferisce idealizzare Maxx trasformandolo in un cucciolo bisognoso d’affetto, un principe azzurro, un fidanzato, tutto in una sola persona. Maxx, dal canto suo, non fa altro che rimuginare sui suoi deliri e allucinazioni di avventure fantastiche e principesse/padroncine da salvare (Julie), piuttosto che volgere lo sguardo alla realtà che lo circonda. E a chi è affidato il compito di mostrare a Maxx la dura realtà, a distoglierlo dai suoi sogni? A mr. Gone, guarda caso il cattivo della situazione, l’arcinemico, la nemesi di Maxx. Perché forse sarebbe più bello poter vivere per sempre in un mondo di sogni, di desideri esauditi, di illusioni. Quindi chi fa il cattivo cerca di riportarci alla realtà. Come ho letto da qualche parte parecchio tempo fa, “Il nostro mondo vive di sogni. E sta morendo di realtà”.
Purtroppo però, crescere non è solo un dovere, è anche un passo importante e necessario. Chi si trova a confrontarsi da poco con le responsabilità di ‘essere grande’, forse preferirebbe tornare indietro di qualche anno, quando gli unici pensieri erano giocare a pallone e guardare i cartoni. Però quello che si guadagna a scoprire i primi capelli bianchi, quando ci si guarda allo specchio, è la maturità per apprezzare cose come il vero amore o la vera amicizia, per prendere decisioni importanti e a volte gravi, per affrontare le conseguenze di queste decisioni. Onestamente, credo che pochi di quelli che lo dicono vorrebbero veramente tornare indietro.
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