domenica 15 febbraio 2009

Inverno

Sono stato a casa per tutto il fine settimana, dalle cinque e mezza di venerdì pomeriggio alle tre e mezza di domenica pomeriggio. L’unica piccola pausa è stata quella finestra di due ore e qualcosa il sabato pomeriggio per andare al cinema. Sono rimasto a casa perché è inverno. È la mia stagione preferita, e questi due giorni e poco più non sono stati affatto male. Certo, potevano essere meglio, ma in fondo anche peggio. L’ideale sarebbe stato che non ci fosse nessuno a casa per tutto il tempo, però per fortuna il sabato sera è stato così, e stamattina il televisore ha avuto la meravigliosa idea di rompersi, così ho potuto trascorrere la mattinata libero dal fastidioso rumore che ne esce fuori ogni volta che i miei genitori sono in casa. L’inverno è fatto di suoni, e in questi due giorni c’è stata la pioggia scrosciante sulla terrazza, il ticchettare delle gocce sulle mattonelle, il frastuono del torrente che scorre vicino casa mia e che è quasi sempre in secca, tranne negli ormai fin troppo rari giorni di pioggia invernali. L’inverno è fatto di colori, e in questi due giorni ci sono state tutte le possibili sfumature di rosso delle fiamme della stufa a legna accesa dalla tarda mattinata fino a notte fonda. L’inverno è fatto di silenzio e lettura, e con l’uscita a cena inaspettata e la rottura del televisore, in questi due giorni ho avuto il silenzio e la serenità che ci vogliono per leggere tre libri di fila. In questo modo, l’inverno diventa fatto di ricordi. Ricordi di quando ero piccolo, nell’altra casa in cui ho trascorso i primi quattordici anni della mia vita, con la campagna, l’erba bagnata, il camino acceso, il tappeto e io che ci giocavo sopra con i lego e poi, più grandicello, che leggevo accanto al fuoco. Ricordi di un freddo che si infilava nelle ossa, che ti faceva sentire vivo perché se sentivi freddo eri vivo, che ti faceva capire quanto era bello il calore di un fuoco. Ricordi di qualcosa di meraviglioso e magico che poteva spuntare fuori dalla notte solcata dai lampi, attraverso le ombre che i rami degli alberi proiettavano nel giardino. Ricordi di vetri appannati, di legna bagnata che schiumava e soffiava a contatto col fuoco, di giornate passate a segare i tronchi più piccoli, a spaccare quelli grossi con l’accetta, ad attaccare le fascine di rametti per accendere. Ricordi del magazzino della legna che per me era una sorta di antro oscuro in cui si nascondevano misteri e paure, soprattutto quando di giorno ti eri scordato di fare rifornimento e dovevi andarci che già era buio perché la legna dentro scarseggiava e ogni suono diventava qualcos’altro nella tua immaginazione. Ricordi. A quei tempi, la vita era facile. È giusto che oggi non lo sia, ma il pensiero non può che tingersi di malinconia quando va a quei giorni. Quella stessa malinconia che trasuda dalle note di questa canzone. Ma una malinconia che porta speranza, una speranza che vale per tutti, per quelli che aspettano una nuova primavera, che desiderano veder sbocciare i fiori, che aspettano il vento caldo dell’estate, e per quelli che sperano che torni la neve a coprire tutto col suo manto bianco, perché sotto la neve tutto diventa uguale, è come stare sotto il mare: lì non ci sono gioie e dolori, aspettative e delusioni. La neve, come il mare, consola tutti. Per tutto il resto, non ci resta che sperare nel futuro. Un’amica ha appena pubblicato una citazione sull’avere il coraggio di fare un passo oltre i confini. L’ho pubblicata anch’io, un po’ di tempo fa. È facile picchiare le dita sulle lettere di una tastiera, ma troppe volte non è altrettanto facile fare quello che scriviamo. Quando l’inverno te lo porti dentro devi imparare a convivere col freddo. Altrimenti, la neve, invece che una coperta, potrebbe diventare una tomba.

Inverno

Sale la nebbia sui prati bianchi
come un cipresso nei camposanti,
un campanile che non sembra vero
segna il confine fra la terra e il cielo.

Ma tu che vai, ma tu rimani,
vedrai la neve se ne andrà domani,
rifioriranno le gioie passate
col vento caldo di un’altra estate.

Anche la luce sembra morire
nell’ombra incerta di un divenire,
dove anche l’alba diventa sera
e i volti sembrano teschi di cera.

Ma tu che vai, ma tu rimani,
anche la neve morirà domani,
l’amore ancora ci passerà vicino
nella stagione del biancospino.

La terra stanca sotto la neve
dorme il silenzio di un sonno greve.
L’inverno raccoglie la sua fatica
di mille secoli da un’alba antica.

Ma tu che stai, perché rimani,
un altro inverno tornerà domani,
cadrà altra neve a consolare i campi,
cadrà altra neve sui camposanti.

4 commenti:

Fra ha detto...

Una bella immagine...melanconica, ma a me l'inverno piace proprio per questo suo aspetto. Per qualche mese la vita in un certo senso rallenta e ricordare diventa più facile
Un abbraccio
fra

Adryss ha detto...

"La malinconia ha le onde come il mare...". Però ci vogliono anche questi momenti, anche se mi piacerebbe molto di più poterli condividere con qualcuno di importante, oltre che affidarli a una pagina web... Comunque, c'è sempre speranza! Grazie per le tue visite, mi fa sempre piacere leggere quello che scrivi ^^

veronica ha detto...

Post meraviglioso, un'ottima prosa della canzone o una meravigliosa valorizzazione del tuo pensiero.
Un abbraccio!!

Adryss ha detto...

Grazie davvero, sai che tengo molto alla tua opinione, soprattutto su questi argomenti. Un bacio, ^^