lunedì 21 dicembre 2009

Team medical dragon

Per chi è abituato, anzi per meglio dire costretto, ad accontentarsi delle pubblicazioni manga in Italia, questo fumetto sembrerà la proverbiale mosca bianca. Ma con qualche piccola ricerca si può facilmente scoprire che in realtà non è questa opera così inconsueta come molti mangofili italiani potrebbero pensare. Il motivo è che nel nostro paese arriva forse il dieci percento della produzione fumettistica d’estremo oriente, e solo negli ultimi anni si è cominciato ad aprire il mercato anche ad opere che non fossero esclusivamente giapponesi, imparando a conoscere fumetti coreani, cinesi e tailandesi.

Prima di questo, l’unico altro esemplare di manga medico che riesco a ricordare è “Black Jack” di Osamu Tezuka. Volendo forzare un po’ la mano, potremmo includere nel genere anche “Monster” di Naoki Urasawa, che sebbene non abbia come argomento la medicina, ha per protagonista un chirurgo e sulle sue pagine si vedono non pochi episodi di vita medica. E qui ci fermiamo. Mentre proliferano a dismisura film e telefilm ambientati in ospedali e dintorni, nel mondo del fumetto poco si muove. E dire che in Giappone già da diversi anni il manga medico rappresenta un genere a sé stante. Negli anni 1970 – 1971, proprio Tezuka realizza il primo manga di argomento medico, “Kirihito Sanka”, per poi dedicarsi, a partire dal 1973, a “Black Jack”, considerato uno dei manga migliori della storia del fumetto. Negli anni Ottanta, ancora il maestro Tezuka scrive “Hidamari no ki” (L’albero al sole), che ha come protagonista il suo bisnonno, un medico vissuto a metà Ottocento. “Black Jack” è da considerare il principale responsabile della esplosione dei manga ambientati in sale operatorie, cliniche e ospedali, che, specialmente a partire dagli anni Novanta, ha generato una vastissima serie di opere di questa impostazione. Esistono manga medici di tutti i generi, dal drammatico al comico, dal giallo al thriller. Ma non sto parlando solo di un fenomeno quantitativo, ma anche culturale. Ben lontano dalla interpretazione occidentalista, in cui tutto quello che viene scritto è in qualche modo considerato, con pochissime eccezioni, fuori dalla realtà e quindi irrilevante ai fini pratici, in Giappone un manga come “Say hello to Black Jack” fece scandalo agli inizi del 2000 denunciando le precarie condizioni in cui lavoravano i medici di diverse strutture assistenziali, riuscendo addirittura a far cambiare alcune leggi per migliorare la situazione. “Team medical dragon” si inserisce proprio in questo filone che potremmo definire socialmente coinvolto, in quanto il contesto della storia è rappresentata dall’ambiente degli ospedali universitari.

Il giovane dottor Asada è un genio della chirurgia, uno per cui quasi niente è impossibile, e proprio per queste sue strabilianti qualità viene reclutato dalla dottoressa Kato nello staff dell’ospedale universitario Meishin, con lo scopo di dirigere il team che dovrà portare a termine una difficilissima operazione sperimentale da inserire in un progetto di ricerca. Ma Asada unisce alla sua capacità medica fuori dal comune una innata intolleranza alle logiche affaristiche e manageriali che attanagliano gli ospedali universitari, luoghi dove la corruzione e l’opportunismo fanno a pezzi qualsiasi principio etico, al punto che si operano solo pazienti che possono affrontare bene gli interventi per non abbassare la media delle operazioni portate a termine con successo, o che i chirurghi accettino “regali” in denaro per far sì che tutto vada per il meglio. Ovviamente Asada, forte delle sue capacità e della fiducia in se stesso, fa di tutto per opporsi a questo regime corrotto, scegliendo di non scendere mai a compromessi e di cambiare le cose per quanto può. In particolare saranno proprio la dottoressa Kato e il giovane assistente Ijuin a sperimentare la prorompente forza di carattere di Asada, che riuscirà a poco a poco a sradicare le deviate convinzioni inculcate nei colleghi da anni e anni di quel regime. Scontrandosi spesso con la collega Kato, che invece ritiene che l’unico modo per cambiare qualcosa sia infiltrarsi all’interno del sistema universitario scendendo a compromessi e agendo con osservanza delle regole fino a che non si avrà un potere sufficiente per cambiarle.

Un’opera che, a dispetto di quanti considerano il fumetto come un mero passatempo privo di valore culturale, si pone come strumento di denuncia del pessimo ambiente medico universitario, che andrebbe letto anche solo per rendersi conto che certe cose accadono senza che gli stessi interessati si pongano il problema di considerarne la correttezza, e che dovrebbe spingere ad una profonda riflessione non solo culturale e sociale, ma anche economica e politica tutti coloro che sono responsabili di questo andazzo. E mi rivolgo in particolare ai giovani medici come me che conosco il serio rischio di lasciarsi impantanare in queste logiche solo perché il contrastarle può portare non pochi svantaggi. Perché, contrariamente a quanto ci dice la pubblicità, non è così divertente vincere facile, c’è molta più soddisfazione a vincere difficile.

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