Era un sabato mattina di fine settembre, stavo da poco nella nuova casa, e conoscevo poco il quartiere, quindi le mie uscite giornaliere avevano come scopo una timida esplorazione del territorio circostante. In questo modo finii a camminare a piazza Marina, e scoprii che, lungo la cancellata della villa Garibaldi, le mattine di sabato e domenica si tiene una sorta di mercatino dell’usato, in cui si può trovare ogni genere di cianfrusaglia, a volte anche di un certo valore. Così, dischi in vinile sono mischiati a canne da pesca, pesi da bilancia a cinturini di orologi, vecchie foto e cartoline a libri di ogni tipo. Proprio tra questi mi capitò di notarne uno in particolare, che mi colpì perché fa parte di una collana di cui ho altri volumi, e che è un’edizione piuttosto importante, non un volgare tascabile da due soldi, o un’edizione da edicola. Chiesi quanto costava, e appena mi fu risposto ‘tre euro’, dopo una rapida occhiata al risvolto, lo presi. Ecco la storia di questo mio libro.
Sull’autismo si è scritto tanto, sia per la letteratura che per il cinema. Senza sforzare troppo la memoria, mi vengono in mente film come “Rainman” o “Codice Mercury”. Quando si parla di malattie mentali, e soprattutto quando si cerca di rappresentarle, requisito fondamentale dovrebbe essere la capacità di entrare dentro la mente malata, di ‘ragionare’ come farebbe lei, e di agire di conseguenza. Non è mai facile, e non sempre ci si riesce. Mark Haddon c’è riuscito.
Christopher Boone è il protagonista de “Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte”, ha quindici anni e la sindrome di Asperger, una forma di autismo. Sì, perché, contrariamente a quanto pensano in molti, non esiste l’autismo, ma gli autismi, o sindromi autistiche. Sarebbe per me troppo facile cadere nella trappola di dilungarmi a parlare su questo argomento, ma terrò gli occhi aperti e non ci cadrò. Parlerò solo del personaggio. Ma una considerazione la devo fare. Nelle sindromi autistiche, il normale filtro tra il soggetto e il mondo che lo circonda, che tutti noi abbiamo, si assottiglia, fino al punto di annullarsi. Il risultato è che non è più possibile schermare le emozioni e i messaggi sensoriali che arrivano dall’esterno. Ecco perché Christopher detesta essere toccato, si confonde spesso, urla quando si confonde, cantilena, odia il giallo e il marrone, geme, non mangia se cibi diversi vengono a contatto tra loro, può sembrare maleducato, odia la Francia, si arrabbia se qualcuno sposta i mobili. Qualunque cosa che non può essere compresa, qualunque cosa che distorce il monotono schema della quotidianità, qualunque cosa che invia un segnale perturbante che non può essere filtrato, viene percepita come fastidio, o peggio ancora come minaccia, e l’unica salvezza è fuggire nella propria mente, isolarsi, attraverso rumori assordanti, angoli bui, silenzio. Ma Christopher è molto intelligente. Adora la matematica e l’astronomia, ed è appassionato di Sherlock Holmes. Proprio per questo, quando scopre che il cane della sua vicina di casa è morto trafitto da un forcone, quello che pensa è che sia stato ucciso, e che scoprire il colpevole sia un’indagine per un bravo allievo di Holmes come lui. E comincia a indagare. Inspiegabilmente, però, incontra l’ostilità degli altri vicini alle sue domande, e soprattutto l’ira del padre, che gli vieta categoricamente di continuare a ‘giocare a fare il poliziotto’.
Il libro è tutto narrato in prima persona, e considerazioni personali si alternano alle descrizioni delle vicende reali. Scrivendo il suo libro, e riferendosi a quelli del suo investigatore preferito, Christopher si ritrova a indagare su ben altri misteri, oltre all’assassinio del cane: come è morta sua madre? Perché suo padre non vuole che faccia domande ai vicini? Le risposte, sia lui che noi lettori, le avremo solo percorrendo, passo dopo passo, quello che è a tutti gli effetti un viaggio iniziatico di un bambino che, pur afflitto da un insormontabile disagio nel comunicare col mondo esterno, supera queste difficoltà, si tuffa nell’universo che lo circonda, e, grazie all’esperienza a poco a poco acquisita, cresce.
Adatto a chi si immedesima completamente nel personaggio di cui sta leggendo le vicende, “Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte” è un libro da leggere tutto d’un fiato, che ad alcuni farà tanta tenerezza, fino a far scendere una lacrima, per altri risulterà molto, molto divertente.
Sull’autismo si è scritto tanto, sia per la letteratura che per il cinema. Senza sforzare troppo la memoria, mi vengono in mente film come “Rainman” o “Codice Mercury”. Quando si parla di malattie mentali, e soprattutto quando si cerca di rappresentarle, requisito fondamentale dovrebbe essere la capacità di entrare dentro la mente malata, di ‘ragionare’ come farebbe lei, e di agire di conseguenza. Non è mai facile, e non sempre ci si riesce. Mark Haddon c’è riuscito.
Christopher Boone è il protagonista de “Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte”, ha quindici anni e la sindrome di Asperger, una forma di autismo. Sì, perché, contrariamente a quanto pensano in molti, non esiste l’autismo, ma gli autismi, o sindromi autistiche. Sarebbe per me troppo facile cadere nella trappola di dilungarmi a parlare su questo argomento, ma terrò gli occhi aperti e non ci cadrò. Parlerò solo del personaggio. Ma una considerazione la devo fare. Nelle sindromi autistiche, il normale filtro tra il soggetto e il mondo che lo circonda, che tutti noi abbiamo, si assottiglia, fino al punto di annullarsi. Il risultato è che non è più possibile schermare le emozioni e i messaggi sensoriali che arrivano dall’esterno. Ecco perché Christopher detesta essere toccato, si confonde spesso, urla quando si confonde, cantilena, odia il giallo e il marrone, geme, non mangia se cibi diversi vengono a contatto tra loro, può sembrare maleducato, odia la Francia, si arrabbia se qualcuno sposta i mobili. Qualunque cosa che non può essere compresa, qualunque cosa che distorce il monotono schema della quotidianità, qualunque cosa che invia un segnale perturbante che non può essere filtrato, viene percepita come fastidio, o peggio ancora come minaccia, e l’unica salvezza è fuggire nella propria mente, isolarsi, attraverso rumori assordanti, angoli bui, silenzio. Ma Christopher è molto intelligente. Adora la matematica e l’astronomia, ed è appassionato di Sherlock Holmes. Proprio per questo, quando scopre che il cane della sua vicina di casa è morto trafitto da un forcone, quello che pensa è che sia stato ucciso, e che scoprire il colpevole sia un’indagine per un bravo allievo di Holmes come lui. E comincia a indagare. Inspiegabilmente, però, incontra l’ostilità degli altri vicini alle sue domande, e soprattutto l’ira del padre, che gli vieta categoricamente di continuare a ‘giocare a fare il poliziotto’.
Il libro è tutto narrato in prima persona, e considerazioni personali si alternano alle descrizioni delle vicende reali. Scrivendo il suo libro, e riferendosi a quelli del suo investigatore preferito, Christopher si ritrova a indagare su ben altri misteri, oltre all’assassinio del cane: come è morta sua madre? Perché suo padre non vuole che faccia domande ai vicini? Le risposte, sia lui che noi lettori, le avremo solo percorrendo, passo dopo passo, quello che è a tutti gli effetti un viaggio iniziatico di un bambino che, pur afflitto da un insormontabile disagio nel comunicare col mondo esterno, supera queste difficoltà, si tuffa nell’universo che lo circonda, e, grazie all’esperienza a poco a poco acquisita, cresce.
Adatto a chi si immedesima completamente nel personaggio di cui sta leggendo le vicende, “Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte” è un libro da leggere tutto d’un fiato, che ad alcuni farà tanta tenerezza, fino a far scendere una lacrima, per altri risulterà molto, molto divertente.
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