Non serve, o non dovrebbe servire, che io stia qui a ricordare chi era Ugo Foscolo e quello che ha scritto. Voglio estrapolare, in questo giorno, un breve passo dal carme “Dei sepolcri”, perché in questo, più che in ogni altra cosa che io abbia letto, si trova spiegato il senso di questo giorno. Oggi noi onoriamo i defunti. Non importa credere o meno in una particolare forma di dio. Non importa che le persone che amavamo e che sono morte le ricordiamo ogni giorno. C’è qualcosa di più. Qualcosa che ancora ci possono dare. Qualcosa che accenda i nostri animi.
A egregie cose il forte animo accendono
l’urne de’ forti, o Pindemonte; e bella
e santa fanno al peregrin la terra
che le ricetta. Io, quando il monumento
vidi ove posa il corpo di quel grande
che, temperando lo scettro a’ regnatori,
gli allor ne sfronda, ed alle genti svela
di che lagrime grondi e di che sangue;
e l’arca di colui che nuovo Olimpo
alzò in Roma a’ Celesti; e di chi vide
sotto l’etereo padiglion rotarsi
più mondi, e il sole irradiarli immoto,
onde all’Anglo che tanta ala vi stese
sgombrò primo le vie del firmamento;
te beata, gridai, per le felici
aure pregne di vita, e pe’ lavacri
che da’ suoi gioghi a te versa Appennino!
Lieta dell’aer tuo veste la luna
di luce limpidissima i tuoi colli
per vendemmia festanti; e le convalli
popolate di case e d’oliveti
mille di fiori al ciel mandano incensi.
E tu prima, Firenze, udivi il carme
che allegrò l’ire al Ghibellin fuggiasco;
e tu i cari parenti e l’idioma
desti a quel dolce di Calliope labbro
che Amore, in Grecia nudo e nudo in Roma,
d’un velo candidissimo adornando,
rendea nel grembo a Venere celeste.
Ma più beata che in un tempio accolte
serbi l’italie glorie; uniche forse
dacchè le mal vietate Alpi e l’alterna
onnipotenza delle umane sorti,
armi e sostanze t’invadeano ed are
e patria e, tranne la memoria, tutto.
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