Contrariamente a quanto potreste pensare dal titolo, quello di cui voglio parlarvi in questa occasione è un manga. Nella storia del fumetto, è successo molto raramente che personaggi dei comics americani venissero scelti come protagonisti di opere di autori giapponesi. Quello del fumetto orientale è stato sempre un mondo particolare, che per tradizione e qualità non ha nulla da invidiare al fumetto europeo o americano. Tuttavia il concetto del supereroe è sempre stato praticamente un’esclusiva delle produzioni americane. Negli ultimi anni, però, si è assistito ad un fenomeno di commistione tra questi due mondi così distinti. In alcune occasioni, protagonisti dei comics sono stati reinterpretati da autori giapponesi, e uno dei primi fu proprio Batman, con la miniserie “Il figlio dei sogni” ad opera di Kia Asamya. Questo stesso autore ha poi lavorato su alcuni supereroi della Marvel comics, in particolare gli X-Men, curandone per un certo periodo i disegni. E su questa scia, anche altri eroi Marvel hanno avuto una interpretazione in chiave orientale. Tuttavia, fino ad ora, si trattava solo di una impostazione grafica tipicamente giapponese di opere che per il resto restavano occidentali. Con l’opera di Yoshinori Natsume, invece, assistiamo alla creazione del primo vero manga con protagonista un eroe americano.
Contrariamente a quanto può sembrare, il manga non è solo un modo di disegnare, ma un vero e proprio stile concettuale del fumetto. Infatti, accanto ai tratti grafici tipicamente orientali (ragazze dai grandi occhi luccicanti, uomini dal fisico scultoreo, scene d’azione in pieno stile arti marziali, ecc.), possiamo trovare tutte le caratteristiche del fumetto del Sol levante. Intanto l’impaginazione e l’impostazione delle tavole è quella tipica del fumetto giapponese, da destra a sinistra. Inoltre, anche la densità del testo rispetto alle tavole ricorda in pieno altre opere manga. Essendo queste ultime prodotte principalmente, se non esclusivamente, da un singolo autore, la narrazione della storia è affidata molto alla componente grafica piuttosto che alle parole. Infine, mentre gli autori occidentali lavorano quasi sempre su protagonisti che sono proprietà delle case editrici, offrendone un’interpretazione più o meno personale, i mangaka lavorano su loro creature, caratterizzandole come vogliono e senza dover fare i conti con un passato di storie molto spesso ingombrante e limitante.
Proprio per questo, in “Batman: death mask” non troviamo nessuno dei nemici classici dell’uomo pipistrello, e la storia che leggiamo ha solo qualche lieve richiamo al passato del protagonista. Non di meno, Natsume riesce a cogliere e rappresentare alla perfezione tutti gli aspetti peculiari del personaggio, in particolare il suo rapporto con la maschera che indossa. Un rapporto molto spesso conflittuale e angosciante per Bruce Wayne, che molte volte si è soffermato a chiedersi se il suo vero io sia il miliardario playboy o il tenebroso giustiziere della notte. Proprio su queste basi si sviluppa il tema della maschera, con una interpretazione quasi pirandelliana del rapporto tra soggetto osservante e soggetto osservato. Chi è reale, Brice Wayne o Batman? Quanto di quello che fa scaturisce dalla sua volontà e quanto è dettato dal fatto stesso di indossare quel mantello e quella maschera? L’autore non manca di inserire in questa concezione del cavaliere oscuro anche elementi soprannaturali propri della tradizione del suo paese. Gli Oni (spiriti demoniaci) che si impossessano del corpo degli uomini controllandone le azioni sono un perfetto esempio della tradizione popolare giapponese. Infine, non manca una riflessione sulle motivazioni che spingono ad agire, e su cosa renda realmente diversi i ‘buoni’ dai ‘cattivi’, posto che ci sia spazio per queste distinzioni in un mondo come quello in cui si muove Batman, un mondo costantemente avvolto dalle ombre, un mondo in cui i confini netti perdono gran parte del loro reale significato per farsi labili e facilmente valicabili. Solo una ferma disciplina e una profonda sicurezza nelle proprie motivazioni possono impedire di sconfinare dalla parte sbagliata. Ma questo il cavaliere oscuro l’ha imparato a sue spese già da molto tempo.
Per concludere, “Batman: death mask” è un’opera perfetta per tutti gli appassionati di fumetti manga, per tutti i fan dell’uomo pipistrello, e per tutti quelli che vogliono leggere un fumetto senza il peso di settant’anni di storie precedenti ma che esprime perfettamente tutto quello che quelle storie hanno consolidato in tanto tempo.
Contrariamente a quanto può sembrare, il manga non è solo un modo di disegnare, ma un vero e proprio stile concettuale del fumetto. Infatti, accanto ai tratti grafici tipicamente orientali (ragazze dai grandi occhi luccicanti, uomini dal fisico scultoreo, scene d’azione in pieno stile arti marziali, ecc.), possiamo trovare tutte le caratteristiche del fumetto del Sol levante. Intanto l’impaginazione e l’impostazione delle tavole è quella tipica del fumetto giapponese, da destra a sinistra. Inoltre, anche la densità del testo rispetto alle tavole ricorda in pieno altre opere manga. Essendo queste ultime prodotte principalmente, se non esclusivamente, da un singolo autore, la narrazione della storia è affidata molto alla componente grafica piuttosto che alle parole. Infine, mentre gli autori occidentali lavorano quasi sempre su protagonisti che sono proprietà delle case editrici, offrendone un’interpretazione più o meno personale, i mangaka lavorano su loro creature, caratterizzandole come vogliono e senza dover fare i conti con un passato di storie molto spesso ingombrante e limitante.
Proprio per questo, in “Batman: death mask” non troviamo nessuno dei nemici classici dell’uomo pipistrello, e la storia che leggiamo ha solo qualche lieve richiamo al passato del protagonista. Non di meno, Natsume riesce a cogliere e rappresentare alla perfezione tutti gli aspetti peculiari del personaggio, in particolare il suo rapporto con la maschera che indossa. Un rapporto molto spesso conflittuale e angosciante per Bruce Wayne, che molte volte si è soffermato a chiedersi se il suo vero io sia il miliardario playboy o il tenebroso giustiziere della notte. Proprio su queste basi si sviluppa il tema della maschera, con una interpretazione quasi pirandelliana del rapporto tra soggetto osservante e soggetto osservato. Chi è reale, Brice Wayne o Batman? Quanto di quello che fa scaturisce dalla sua volontà e quanto è dettato dal fatto stesso di indossare quel mantello e quella maschera? L’autore non manca di inserire in questa concezione del cavaliere oscuro anche elementi soprannaturali propri della tradizione del suo paese. Gli Oni (spiriti demoniaci) che si impossessano del corpo degli uomini controllandone le azioni sono un perfetto esempio della tradizione popolare giapponese. Infine, non manca una riflessione sulle motivazioni che spingono ad agire, e su cosa renda realmente diversi i ‘buoni’ dai ‘cattivi’, posto che ci sia spazio per queste distinzioni in un mondo come quello in cui si muove Batman, un mondo costantemente avvolto dalle ombre, un mondo in cui i confini netti perdono gran parte del loro reale significato per farsi labili e facilmente valicabili. Solo una ferma disciplina e una profonda sicurezza nelle proprie motivazioni possono impedire di sconfinare dalla parte sbagliata. Ma questo il cavaliere oscuro l’ha imparato a sue spese già da molto tempo.
Per concludere, “Batman: death mask” è un’opera perfetta per tutti gli appassionati di fumetti manga, per tutti i fan dell’uomo pipistrello, e per tutti quelli che vogliono leggere un fumetto senza il peso di settant’anni di storie precedenti ma che esprime perfettamente tutto quello che quelle storie hanno consolidato in tanto tempo.
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