mercoledì 15 aprile 2009

Battle royale

In occasione della ristampa di cui è da pochissimo uscito il primo volume, in questo post vi parlo dell’opera che ha fatto conoscere Masayuki Taguchi al grande pubblico occidentale. Confesso che, nell’ormai lontano maggio 2003, ad attirarmi di questo fumetto furono proprio i bellissimi disegni del mangaka di cui ho più volte parlato (in occasione di “Lives” e “Black Jack Neo”). Ho detto ‘confesso’ perché più volte, in questa e in altre sedi, mi sono battuto perché il fumetto non sia considerato solo come qualcosa di disegnato, ma una vera e propria opera molto sfaccettata, con contenuti e linguaggi suo propri. E ho sempre detto che dei disegni curati e ricchi, se non sono sostenuti da una sceneggiatura e da dialoghi di adeguato livello, risultano in un mero esercizio grafico, a volte strumentalizzato all’esaltazione dei disegnatori di talento. Quindi non bisognerebbe mai scartare un fumetto solo perché “non mi piacciono i disegni” (frase che sento ripetere in continuazione frequentando la fumetteria), così come non è una buona strategia quella di leggere solo le opere che abbiano disegni particolarmente curati. A mia discolpa posso però dire che, nel rispetto di queste piccole regole, anche quando la mia attenzione viene catturata dalla componente grafica, non mi fermo mai soltanto a questa. Proprio così è successo con “Battle royale”.

In un prossimo futuro, gran parte dell’Asia è retta da un governo totalitario. In questa situazione, anche l’educazione dei giovani è affidata a principi e strumenti molto ‘estremi’ e discutibili. Nelle scuole giapponesi, infatti, ogni anno si tiene una particolare competizione tra studenti chiamata “il programma”. Gli alunni di una classe, scelta a caso, vengono trasportati in un’isola dalla quale non è possibile uscire, e vengono sottoposti ad una prova di sopravvivenza. Ad ognuno viene dato un kit base, contenente dei viveri, carta, bussola e orologio, e un’arma a caso, dopodichè vengono fatti allontanare dall’edificio della direzione del programma. L’unico modo che gli studenti hanno per lasciare l’isola è uccidersi a vicenda, fino a che non ne rimarrà vivo uno solo, il quale sarà proclamato vincitore del gioco. Ovviamente è ammesso qualunque mezzo per raggiungere lo scopo, ma ci sono delle regole aggiuntive. L’isola è divisa in settori, e ogni ragazzo è dotato di un collare che ne permette di rilevare la posizione. In diversi momenti della giornata, il responsabile del gioco annuncia quali aree sono interdette ai giocatori, e se questi dovessero entrare in una di queste aree, i loro collari esploderebbero uccidendoli. Inoltre, ogni ventiquattro ore deve morire almeno uno dei concorrenti, altrimenti verranno uccisi tutti senza nessun vincitore. Così ha inizio la caccia.

La storia parte dal classico concetto che le situazioni estreme mettono in luce la reale natura delle persone, e ha il suo punto di forza nella grande varietà dei personaggi. La maggior parte di questi verrà infatti analizzata dal punto di vista personale, così come si vedranno momenti significativi del loro passato che hanno contribuito a creare la loro personalità attuale. Ovviamente ci troveremo davanti a ‘buoni’ e ‘cattivi’, sebbene una distinzione così netta risulta difficoltosa in una situazione come quella descritta. Alcuni dei ragazzi si ribelleranno al programma, rifiutandosi di uccidere i loro compagni e cercando, in maniera palese o attraverso sotterfugi, di fermare gli organizzatori e di scappare. Ma altri si troveranno molto a loro agio nella situazione, prendendo gusto al gioco e facendo di tutto, per le ragioni più disparate, per vincere, eliminando tutti quelli che fino al giorno prima erano i loro compagni di classe.

Sebbene il tema di fondo suoni un po’ come qualcosa di già visto, gli autori riescono a renderlo particolarmente interessante e avvincente, concentrandosi molto sulle dinamiche sociali di gruppo e sulla psicologia e la storia dei tanti personaggi, tutti a loro modo particolari e privi di banalità. Ovviamente non rivelo nulla di come evolverà la vicenda, per non togliere, a chi volesse cogliere l’occasione della ristampa, il piacere di scoprire pagina dopo pagina il destino dei ragazzi. Un occhio di riguardo (anche se questa considerazione potrà sembrare ripetitiva a chi ha già letto altri miei post) meritano i bellissimi disegni di Masayuki Taguchi, il quale si trova molto a suo agio con le anatomie, e che ci delizia con ambientazioni e particolari estremamente curati. Se ci si aggiunge il fatto che si tratta di una serie di soli quindici numeri, credo che questa ristampa sia un’occasione da non perdere per gustarsi l’opera, ormai difficilmente reperibile nell’edizione originale.

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