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Le braci non sono altro che quello che resta di un fuoco, qualcosa che ha già perso la vitalità e la forza della fiamma viva, ma che ancora non si rassegna al silenzio della cenere. Le braci non fanno luce, ma non si abbandonano all’oscurità. Sono solo un chiarore che serve a ricordarti di qualcosa. Le braci sono la memoria. E proprio la memoria e il ricordo sono i protagonisti del romanzo, molto più di quanto non lo siano Henrik e Konrad. Due amici di quelli che forse solo nei libri si riesce a trovarli, divisi dall’amore per la stessa donna, Krisztina, la moglie di Henrik. Ci sono pochi modi per risolvere questo tipo di situazioni, e uno è quello che sceglie Konrad: la fuga. Incapace di sopportare quel miscuglio di amicizia e rivalità, il terzo incomodo lascia il campo, per rifugiarsi chissà dove. Ma i due sono destinati a rincontrarsi, dopo un attimo di silenzio durato quarantuno anni. Krisztina è morta, i sentimenti si sono assopiti, il fuoco della passione è diventato brace. Henrik e Konrad sono ormai dei superstiti, dei sopravvissuti della Grande guerra che ha devastato l’Europa, in cui sono scomparsi gli imperi, in cui si è perso lo splendore della Vienna di Francesco Giuseppe, degli Strauss e di Klimt. E si ritrovano, sull’orlo di un nuovo, devastante conflitto mondiale, l’uno di fronte all’altro, anche se solo idealmente e non fisicamente, a rendersi conto di quanto sono patetici e inadeguati i loro ricordi. Che senso può avere tenere ancora accese le braci di quei sentimenti e quelle emozioni che hanno infiammato i loro cuori più di quarant’anni fa? E il lungo monologo di Henrik si conclude, ancora una volta dopo tanto tempo, con delle domande, cui solo Konrad potrà trovare le risposte, se vorrà sollevare l’ultimo velo. Poi il Tempo proseguirà per la sua strada, lasciando i due protagonisti nella loro solitudine, a guardare le braci spegnersi nei loro cuori. Il Tempo, che alla fine si rivela essere l’unico vero vincitore.
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