Gittò voce di fuori, e disse: “Quando
mi diparti’ da Circe, che sottrasse
me più d’un anno là presso Gaeta,
pria che sì Enea la nomasse;
né dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre, né ‘l debito amore
lo qual dovea Penelope far lieta,
vincer potero dentro a me l’ardore
ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto,
e delli vizi umani e del valore;
ma misi me per l’alto mare aperto
sol con un legno, e con quella compagna
picciola della qual mai fui diserto.
L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,
fin nel Marocco, e l’isola de’ Sardi,
e l’altra che quel mare intorno bagna.
Io e i compagni eravam vecchi e tardi,
quando venimmo a quella foce stretta
dov’Ercole segnò li suoi riguardi,
acciò che l’uom più oltre non si metta:
dalla man destra mi lasciai Sibilia,
dall’altra già m’avea lasciata Setta.
‘O frati,’ dissi, ‘che per cento milia
perigli siete giunti all’occidente,
a questa tanto picciola vigilia
de’ vostri sensi, ch’è del rimanente,
non vogliate negar l’eperienza,
di retro al sol, del mondo sanza gente!
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e conoscenza’.”
Inferno, canto XXVI versi 90-120
mercoledì 6 agosto 2008
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