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“Gli scarafaggi non hanno re” può meritare tutta una serie di aggettivi: comico, drammatico, grottesco, paradossale, fantascientifico. In effetti, racchiude aspetti di un po’ tutte queste tematiche. La storia è semplice: Ira Fishblatt è il classico single disordinato, trasandato e incurante dell’igiene, e questo rende il suo appartamento l’ecosistema ideale per una colonia di scarafaggi. Sono loro il punto di vista della storia, e uno in particolare, Numeri, il più intelligente della comunità. Sono tutti un po’ filosofi, hanno nomi strani, che vengono loro dalla prima parola letta alla nascita: Numeri è nato in una libreria, insieme a Deuteronomio, Bismark, Rosa Luxenburg e Goethe. È chiaro che quelli nati nell’armadietto dei detersivi si chiamano Ajax, Spic&Span e così via. Tutti vivono felici e contenti nella loro colonia, riconoscenti verso Ira per il cibo che generosamente gli lascia in giro per casa. Purtroppo, la festa è destinata a finire presto: la nuova fidanzata di Ira si trasferisce da lui, portandosi dietro il suo bagaglio di detersivi e manie di pulizia. Stanati, affamati e perseguitati, i poveri scarafaggi sembrano destinati all’estinzione, quando proprio Numeri elabora e propone un diabolico piano per cacciare l’odiata Ruth.
Leggendo questo libro, la sensazione che si ha è che tutto quello che ci circonda si dilati enormemente, mentre il lettore si rimpicciolisce fino a prendere le dimensioni dei protagonisti a sei zampe. L’elemento fantastico è chiaro, anche se non credo che la scienza abbia ancora escluso con certezza che forme primitive di interazioni neurali, simili a quelle che noi chiamiamo sentimenti, siano presenti anche nei cervelli animali. Tuttavia, la sensazione che si ha non è quella di leggere un romanzo di fantascienza, bensì una storia tragicomica in sui la lotta per la sopravvivenza assume tinte grottesche, in cui i sentimenti familiari risaltano prepotentemente, forse anche più di quanto farebbero se i protagonisti fossero dei semplici abitanti di un paesino di campagna. E un certo spazio lo trovano anche la guerriglia, gli amori, i sogni e la violenza di una comunità sull’orlo dell’estinzione.
Per concludere, mi piace citare un proverbio ripreso dall’autore, non so bene con quale intento, ma forse come spunto di critica per la nostra società e la nostra classe dirigente:
“Le locuste non hanno re, eppure sanno marciare in buon ordine”.
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