martedì 22 gennaio 2008

Mali estremi

È l’una e un quarto del 22 gennaio 2008, e ho appena premuto il dito sul tasto rosso del mio televisore guardando lo schermo diventare nero. Per la mezz’ora precedente, su quello schermo sono scorse le immagini di “Le storie”, trasmissione quotidiana di Corrado Augias, a mio parere il più grande giornalista italiano (quantomeno il più grande tra i vivi), che oggi aveva come ospite Umberto Galimberti per presentare e commentare il suo nuovo libro, “L’ospite inquietante”. Non ho letto questo libro, ma lo farò al più presto.
Questa trasmissione si manifesta nella straordinaria abilità del suo conduttore di condensare in mezz’ora un argomento di cui altri, parecchio più innamorati della loro stessa voce, parlerebbero per ore, senza magari dire niente. Augias utilizza una parola, e tutto acquista significato. Non c’è fretta, non c’è bisogno di stringere e correre. Le parole hanno il loro tempo, così come le immagini e i suoni.
Il titolo della puntata era “La peggio gioventù”, perché Galimberti nel suo libro parla dell’attuale disagio giovanile. Ma la puntata si è aperta con un commento all’attuale situazione politica. Non ricordo tutto parola per parola, ma il contenuto era più o meno questo: “Il governo italiano è in crisi, e a scatenare questa crisi è il leader di un partito che alle scorse elezioni ha ottenuto l’1,2% dei voti pari a circa 500.000 in valore assoluto. È una crisi strana, perché non avviene a causa di uno dei cento problemi che affliggono il paese, come pensioni, emergenza rifiuti, ecc., ma a causa dell’orgoglio e degli interessi personali di un singolo che ne era parte fino a poco prima”. Questa introduzione, apparentemente fuori tema, è stata spiegata nella sua pertinenza perché si riallaccia a quella piaga del disagio dei giovani che sfocia nella disperazione e spesso nella delinquenza. Di questo sono stati mostrati dei filmati di repertorio, su episodi come il liceo Parini allagato per saltare un compito di greco, un ragazzo che si è impiccato perché offeso ed emarginato dai compagni, e altre immagini di violenza e degrado dell’essere giovani. Una spiegazione a questo, data dai due dialoganti (Augias e Galimberti), è che i giovani hanno da sempre come esempi i comportamenti degli adulti, e se questi si concretizzano nel pensare ai propri interessi personali che vengono anteposti a quelli della collettività, il risultato non può che essere questo. Si sono quindi toccati molti temi, dalla droga allo sport, dal lavoro alla politica, ma ne voglio sottolineare uno in particolare: il rapporto con la Chiesa. Dopo la diffusione delle notizie su quanto accaduto all’università La Sapienza di Roma, sono stato spesso preso dalla tentazione di scrivere delle mie riflessioni su queste pagine, e avevo rinunciato per una sorta di rifiuto interiore a parlare di argomenti che sono diventati fastidiosi alla mia mente. Però la tentazione era forte, e ho ceduto, grazie ai contenuti di questa trasmissione. Riporterò alcuni commenti, lasciando implicito il fatto che incarnano anche il mio pensiero, e non mi lancerò in analisi filosofico-morali di cui non sarei capace e di cui non ho proprio voglia.

Un primo commento di Augias si riferiva ad un articolo, uscito sul “Foglio” di Giuliano Ferrara, in cui l’autrice (la storica Emma Fattorini), in contrapposizione al direttore del giornale promotore della moratoria contro l’aborto, ha scritto di quello che lei chiama aborto dell’amore. Le opinioni di chi è contrario a questa pratica sono riassumibili sostanzialmente nel loro considerarlo un omicidio, in quanto anche l’embrione sarebbe vita. La Fattorini dice che dovremmo cominciare invece a parlare di amore, intanto insegnando ai giovani come fare l’amore senza dover poi ricorrere all’aborto. In secondo luogo si dovrebbe centrare l’attenzione sull’individuo donna, e non appellarsi a insulsi principi pseudo-naturalistici, perché, come diceva Goethe, “La natura dell’individuo se ne frega” (osservazione di Galimberti). Siamo noi con la nostra razionalità, che si concretizza nelle leggi, a dover riconoscere centralità all’individuo.

Altra osservazione molto interessante, e a questa collegata, riguarda il concetto di leader, cosa che si aggancia di nuovo al discorso degli esempi per i giovani. Vedere i papa-boys affollare piazza San Pietro (ancora parole di Galimberti) non indica che queste persone hanno delle convinzioni, ma tutto l’opposto. Sono convinti di avere delle idee di rigore morale e sociale, ma in realtà compensano il loro vuoto interiore attingendo alle idee di un altro, rendendosi praticamente succubi di queste. Quelli che sono considerati grandi leader della storia non hanno fatto altro che inculcare nella testa di persone, prive di un proprio bagaglio culturale, le loro idee, a volte di valore e condivisibili (penso a Gandhi), altre volte folli e deliranti (penso a Hitler). In ogni caso, quale che sia il messaggio che un leader diffonde, lo può fare perché un certo numero di persone, non avendo una struttura mentale propria abbastanza solida, utilizzano quella di un altro perché la ritengono, per qualunque motivo, affascinante e coinvolgente. Sarebbe molto più produttivo se ogni uomo sapesse essere il leader di se stesso, che non vuol dire vivere isolati e convinti di avere ragione mentre gli altri hanno sempre torto, ma contribuire ad un collettivo con la propria individualità, non parassitando quella di un altro.

E per concludere…

“Il sabato è fatto per l’uomo, non l’uomo per il sabato”.

Su questa mia ultima riflessione vorrei che non nascessero equivoci. Per una scelta consapevole e maturata nel tempo, sono ateo, ma qualcosa delle vicende religiose la conosco e l’apprezzo. Secondo me, l’unico vero grande leader che la storia dell’uomo ricordi è stato proprio quello che con pacatezza si scagliava (so che sembra un controsenso) contro quelli che al suo tempo erano i leader, i capi, i re. Mi riferisco a quel Gesù di Nazareth che ha detto la frase qui sopra, e che non ha mai detto che devono amarsi un uomo e una donna, ma che ha detto semplicemente “amatevi”, che dell’uomo condivideva le paure e i sogni, le angosce e le speranze. E che è stato giustiziato perché parlava di eresie che non voleva ritrattare. Stranamente, è stato giustiziato quasi nello stesso modo in cui, il 17 febbraio 1600, lo sarebbe stato Giordano Bruno, crocifisso e arso vivo in Campo dei fiori a Roma, perché parlava di mondi infiniti. Ed era la stessa morte quella alla quale era stato condannato Galileo, per i suoi studi scientifici, che si salvò solo abiurando le sue idee.
È curioso che queste due condanne siano state emesse proprio da uomini che di quel primo, che aveva fatto la stessa fine, si dichiaravano emissari in terra. Ed è ancora più curioso (la parola che mi suona meglio è rivoltante) che nel 2008 colui che si dichiara l’emanazione sulla terra di quella volontà divina in cui crede affermi che quel processo a Galileo (e a tutti gli altri come lui) da parte della Chiesa è stato legittimo e giusto. Se qualcuno sparasse alla persona che amo, il mio più grande desiderio sarebbe veder scomparire dal mondo ogni arma da fuoco, non istituzionalizzare la fucilazione come strumento di giustizia. Mi sembra quindi evidente che il papa non deve amare poi tanto il suo dio e il messaggio che avrebbe trasmesso per bocca di quell’uomo, se considera giusta la fine che gli è stata fatta fare quasi duemila anni fa.

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