L’intreccio dei sentieri del caso è strano. Oggi è il 30 gennaio, ed è il quarto anniversario della morte di mio nonno materno. Per tutti quelli che lo conoscevano era ‘il professore’, perché tutta la sua vita si poteva sintetizzare nella passione dedicata all’insegnamento. Insegnava italiano e latino nel liceo classico di Cefalù, e quella che più di altre gli era cara era l’opera di Dante Alighieri. Purtroppo non ho avuto la fortuna di ammirarlo professionalmente perché, sebbene avessi ventun’anni quando è morto, già da tempo era acciaccato dalla malattia che, con suo profondo dolore, aveva intaccato la sua facoltà prediletta: la parola. Eppure, sia nel ricordo di tutti i suoi alunni che ho avuto modo di conoscere, sia in quei momenti in cui mi comunicava poche briciole del suo sapere, riesco ancora adesso a percepire l’intensità dei suoi studi e della sua cultura. Due immagini mi rimarranno di lui impresse per sempre nella memoria: una è vederlo seduto nella panca a sinistra della terrazza della Plaia, nel posto in fondo, intento a fare le parole crociate. L’altra è il leggio nello studio della sua casa, dove sta aperta, ancora adesso, un’edizione antica della Divina commedia, con delle tavole illustrate che da piccolo mi affascinavano più del contenuto.
E proprio stamattina, cercando un libro, mi sono imbattuto, a casa mia, in un’altra edizione, molto meno pregiata, della stessa opera, che mi aveva dato per i miei studi al liceo. Da questo fortuito ritrovamento, proprio in questo giorno, nasce l’idea di questa serie di citazioni. Canto dopo canto, cercherò di isolare dei gruppi di terzine che mi piace rileggere ogni tanto, per condividerli con chi mi vorrà seguire in questo viaggio.
Voglio precisare che in questo non c’è nessuna mia velleità di critica letteraria, anzi con molta umiltà vorrei avvicinarmi al messaggio di un altro cultore di Dante. Ho seguito spesso e letture che della Divina commedia ha fatto in televisione Roberto Benigni, e credo che il messaggio più significativo che ha saputo trasmettere è che non bisogna essere letterati di alto livello per apprezzare l’emozione che si prova a sentire recitare quei versi. In fondo, il vero intento di Dante, quando scelse il volgare come lingua della sua opera, era proprio quello di parlare al popolo, a tutti, giovani e meno giovani, colti e meno colti.
E proprio stamattina, cercando un libro, mi sono imbattuto, a casa mia, in un’altra edizione, molto meno pregiata, della stessa opera, che mi aveva dato per i miei studi al liceo. Da questo fortuito ritrovamento, proprio in questo giorno, nasce l’idea di questa serie di citazioni. Canto dopo canto, cercherò di isolare dei gruppi di terzine che mi piace rileggere ogni tanto, per condividerli con chi mi vorrà seguire in questo viaggio.
Voglio precisare che in questo non c’è nessuna mia velleità di critica letteraria, anzi con molta umiltà vorrei avvicinarmi al messaggio di un altro cultore di Dante. Ho seguito spesso e letture che della Divina commedia ha fatto in televisione Roberto Benigni, e credo che il messaggio più significativo che ha saputo trasmettere è che non bisogna essere letterati di alto livello per apprezzare l’emozione che si prova a sentire recitare quei versi. In fondo, il vero intento di Dante, quando scelse il volgare come lingua della sua opera, era proprio quello di parlare al popolo, a tutti, giovani e meno giovani, colti e meno colti.
Non saranno certo tutte di seguito, le citazioni che farò da quest’opera, per questo vi dedicherò un’etichetta particolare, “In memoria”, così sarà possibile, per chi vorrà farlo, isolare solo i post con le citazioni. Di queste, non verrà fatta nessuna parafrasi o spiegazione, né tanto meno commenti o critiche: non mi sento all’altezza e non mi va di copiare da altri. Ognuno è libero di approfondire come vuole quello che leggerà.
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