In quel periodo navigavo sul torrente di letture intimistiche, di viaggi nelle realtà di personaggi complessi, di storie intense e riflessive, poca azione e molti pensieri. Era il periodo di “Non ti muovere”, di “Labilità”, de “Il quinto esilio”. E “Il ritorno a casa di Enrico Metz” si inserisce a pieno titolo in questo filone. Quello che domina ogni pagina del romanzo è il tema della calma, del riposo. Ma non una calma o un riposo forzati, imposti, piuttosto desiderati e accolti.
Enrico Metz ha vissuto cinquant’anni a mille all’ora, a pieno regime, senza fermarsi. Al vertice di una delle più grosse aziende del paese, ha visto il mondo dal lato del successo, del denaro, del potere. Poi ha assistito al crac finanziario, e ha deciso di tirarsi fuori da quel mondo, e di tornare alla sua cittadina d’origine, costretto ad ammettere che le voci che sentiva da ragazzo erano vere, che chi è nato in quella città prima o poi ci ritorna, e che il tempo che trascorre lontano non è altro che un esilio passato a desiderare di tornare. Torna ad abitare nella vecchia casa di famiglia, riduce il suo lavoro a poche selezionate consulenze, riscopre i ritmi e i luoghi che erano nella sua memoria di ragazzo, ritrova alcuni amici. E con la saggezza che solo una certa età può regalare, riesce ad apprezzare quei momenti di calma, quel silenzio, quelle foglie che cadono nel parco. Ma in una confortevole e quasi desiderata solitudine psicologica, irrompe tutta una schiera di personaggi femminili, destinati a scandire le sue giornate. Ivana, una moglie distante che si riavvicina, Rita, segretaria, governante e a volte confidente, Eleonora, bellissima e sensuale figlia dell’amico Alberto. E lui è costretto a barcamenarsi tra l’affetto coniugale, il desiderio dell’amicizia, e l’infatuazione della giovinezza.
Allo stesso tempo però, altri personaggi turbano la sua quiete, stavolta in maniera più corale. Sono i piccoli protagonisti del teatrino della politica locale, che a lui, abituato a confrontarsi con persone di spessore ben maggiore a questo livello, non possono non sembrare goffi e quasi ridicoli nella loro foga di entrare nelle sue grazie. Ma le piccole città sono universi a parte, e un politicante qualunque in quel mondo è importante tanto quanto il re d’Inghilterra, anzi anche di più, visto che l’Inghilterra si trova fuori dalla città in questione. Così, Enrico Metz non può non scatenare sconcerto, inimicizia e sospetti quando rifiuta in maniera netta e decisa la proposta di far parte di quella realtà, ricoprendo una importante carica amministrativa. E come antidoto alle urla assordanti del mondo, Metz oppone una diversa percezione di sé, una rarefazione delle azioni e delle emozioni, che lo conduce serenamente ad una calma rassicurante.
Non c’è nulla di malinconico nel romanzo di Claudio Piersanti, né tanto meno di triste o di nichilista, ma piuttosto c’è un omaggio estremo e potente alla vita e alla bellezza, che non vanno solo contemplate ma, per quanto possibile, vissute.
2 commenti:
Bello questo. Questo lo voglio proprio leggere. Pirandelliano.
Sì, lo è... La cosa che più si prova leggendolo è... tranquillità. Secondo me è uno di quei libri per i quali ci vuole il momento giusto, quel periodo della propria vita in cui il libro può darti tutto quello che ha. Se sei fortunata, lo leggerai in quel momento. Altrimenti, rileggilo dopo un po' di tempa... vedrai che sarà diverso.
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