Mi sembra ovvio: a colpirmi è stato il titolo. La scelta di un titolo è forse la cosa più difficile nel definire un romanzo: deve poter racchiudere in due, tre, quattro parole al massimo tutta l’essenza di centinaia di pagine. Trovare il titolo giusto credo sia un’arte dentro l’arte, la sublimazione della potenza della scrivere. Un secondo colpo, contemporaneo al primo, mi è arrivato anche dalla copertina, che, salvo l’immagine, mi riportava alla mente il bianco de “Il giovane Golden” di Salinger, che avevo letto parecchi anni fa e che mi era piaciuto tanto. Anche allora a colpirmi era stato quel bianco, e in questo caso, all’assenza del colore quasi totale, si sommava quella sorta di messaggio subliminale che il titolo inviava al mio cervello intontito dal caldo di luglio.
Richard Novack è un uomo arrivato. Ricco, indipendente, divorziato con un figlio lontano, felicemente solo. Le uniche persone che gli stanno intorno, e di cui sente il bisogno, sono il personal trainer, la nutrizionista e la governante. Non va in ufficio, gestisce il suo lavoro dal computer di casa, mangia solo le striminzite porzioni che gli vengono preparate, e guarda dalla finestra la donna dal costume rosso che ogni giorno nuota nella piscina della villa accanto alla sua. Fuori c’è Los Angeles, surreale, caotica, esclusiva, eccentrica. Sembra che ad una persona comune sia vietato vivere nella città degli angeli, tra terremoti, incendi, smottamenti.Tutto questo fino a ieri. Perché ieri è successo qualcosa che ha estirpato Richard dal suo mondo, per scaraventarlo in uno nuovo e assurdo, popolato da filosofeggianti gestori di fast food, attori di grande successo che abitano nella villetta accanto, casalinghe disperate, medici opportunisti, grandi scrittori carismatici che vivono praticamente nell’anonimato, cavalli caduti in un cratere nel giardino di casa. Richard è confuso, non c’è spazio nella sua mente per tutti questi strani tasselli di esistenza che continuano ad andare fuori posto creando disordine nella sua vita. Ma la cosa più perturbante di tutte è il suo desiderio, a lui stesso inconcepibile, di riallacciare i rapporti col figlio abbandonato, che vive con la madre a New York, e con il quale non sarà per niente facile avere a che fare. Perché Ben ha un’identità complessa tutta da scoprire, e la mancanza della figura paterna negli anni passati non lo ha certo aiutato in questo senso. Ma in fondo, un padre è sempre un padre. Giusto?
Come scrive Stephen King in quarta di copertina, “Questa storia coraggiosa di un uomo perduto a se stesso che si riaggancia al mondo potrebbe diventare una pietra miliare generazionale [...]. C’è molto ottimismo nel romanzo, ma la tonalità asciutta della Homes fa sì che non suoni fasullo come un biglietto d’auguri. E a questo contribuisce l’atmosfera del romanzo che è quella della stravagante Los Angeles del ventunesimo secolo. E poi, chissà, forse davvero salverà la vita a qualcuno...”. Se lo dice un maestro come King, non posso che essere d’accordo.
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