giovedì 6 marzo 2008

In memoria 9 - Paolo e Francesca

“Amor, che al cor gentil ratto s’apprende,
prese costui della bella persona
che mi fu tolta, e il modo ancor m’offende.
Amor, che a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi vita ci spense.”
Queste parole da lor ci fur porte.
[...]
“Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto, e come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per più fiate gli occhi ci sospinse
quella lettura e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il desiato riso
esser baciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi baciò, tutto tremante.
Galeotto fu il libro, e chi lo scrisse!
Quel giorno più non vi leggemmo avante.”

Inferno, canto V versi 100-108 e 127-138

4 commenti:

veronica ha detto...

Condanna all'amore "impuro", ma soprattutto condanna di Dante alla propria anima: le sue parole grondano di passione. Una condanna non credibile...un tormento.

Adryss ha detto...

Guarda caso è forse la pena meno 'penosa' (se mi passi il gioco di parole) di tutto l'inferno: essere sospinti da una bufera per l'eternità. Rispetto a chi viene squartato dai demoni o immerso nella pece bollente, è davvero niente. Forse perchè Dante era consapevole che se c'è un posto dell'inferno in cui sarebbe stato destinato lui stesso, sarebbe quello, quindi si è scelto una pena non tanto grave. La vera pena di Paolo e Francesca è essere condannati ad un'eternità vissuta l'uno a fianco dell'altra e non poter avere altro che questa vicinanza.

Anonimo ha detto...

Mi piace parecchio questa cosa del postare la Comedia sul blog, ebbravo Adryss, l'Epatologa approva!!

Ciao ciao :-)

Adryss ha detto...

Grazie Epatologa, sono contento che ti piaccia la mia iniziativa. Se hai letto l'introduzione a questa serie di post, saprai anche come mi è venuta l'idea, ma al di là dell'occasione, era un desiderio che accarezzavo da tempo.