giovedì 20 dicembre 2007

Cosa resta della lingua

Mentre scrivo queste righe è il 4 dicembre 2007, e pochi minuti fa ho ascoltato il TG1, mentre pranzavo. La voglia di comunicarvi questi miei pensieri viene da due servizi che ho visto proprio in questa edizione del telegiornale. Uno riguardava il tributo ad Enzo Biagi, ad un mese dalla morte. Nel servizio veniva mostrato uno stralcio di una sua intervista in cui diceva che il grande merito della televisione italiana è stato quello di unificare i vari dialetti e di distribuire in maniera capillare sul territorio la lingua italiana. L’altro servizio riguardava la classifica stilata da non ricordo più quale ente statistico sulla preparazione degli studenti delle scuole superiori. In questa classifica, le scuole italiane, e i loro studenti, risultano se ricordo bene trentasettesimi su cinquantasei paesi analizzati, dietro Repubblica Ceca, Lituania, Spagna e altre, per non parlare dei paesi del nord Europa, che occupano i primi posti della classifica. Questi dati mi hanno spinto a chiedermi che cosa resta della lingua italiana e della cultura in generale nel nostro paese. Mi ritornano in mente servizi giornalistici in cui si leggono cifre agghiaccianti: poco più del dieci percento degli italiani legge almeno un libro all’anno. Se consideriamo che siamo più o meno sessanta milioni, e togliendo i bambini sotto i dieci anni (che non è verosimile far rientrare nella categoria di possibili lettori), si può calcolare che sono meno di cinque milioni, in tutta Italia, quelli che sanno cosa sia leggere un libro. Stranamente, mi viene di fare il confronto con certi dati auditel, e mi rendo conto che invece sono ben il ventiquattro percento degli ascoltatori quelli che seguono il programma a mio avviso più volgare e degradante del palinsesto televisivo, che va in onda nella prima fascia pomeridiana sulla principale rete commerciale.

Ricordo che al liceo la mia insegnante di italiano una volta espresse una opinione identica a quella di Biagi, rammaricandosi del fallimento della scuola come mezzo di diffusione della cultura, e cedendo questo titolo alla televisione. Ma questo discorso può valere anche oggi? La televisione è ancora un potente mezzo di trasmissione della cultura, o trasmette soltanto subcultura o peggio ancora franca ignoranza? Forse rischio di sembrare catastrofico, ma credo che stiamo andando incontro ad un fenomeno opposto a quello che avvenne nell’Italia del secondo dopoguerra. Credo si potrebbe chiamare analfabetizzazione: la cultura sta tornando ad essere un fenomeno elitario, un valore ad appannaggio esclusivo di coloro che, per passione, per appartenenza sociale o forse solo per fortuna, vengono a contatto con manifestazioni culturali di ogni tipo. Non dico che tutti dovremmo essere critici d’arte, esperti di musica classica, depositari di profonde conoscenze scientifiche o chissà che altro. Ma quantomeno sapere scrivere e pronunciare due frasi in italiano grammaticalmente corretto, conoscere per sommi capi i grandi eventi storici, avere un’infarinatura del panorama letterario nazionale e internazionale, credo siano tutte cose che dovremmo possedere.

Ma serve davvero dirle, queste cose? In effetti, pensando alle figure meschine che fanno i nostri rappresentanti in campo internazionale, l’unica cosa intelligente da fare sembra essere quella di stare zitti.

1 commento:

Lucy ha detto...

Ciao sono la tartaruga! Ho apprezzato molto questo tuo post. Se ti interessa, ben il 28% degli italiani considera il libro un sonnifero, da usare in caso di poca sonnolenza. Per curiosità, a quale programma ti riferivi nella prima parte? Ciao ciao