lunedì 31 dicembre 2007

Quei sacri valori tanto, tanto fragili...

Oggi, dopo pranzo, sfoglio il giornale, e leggo, tra le prime pagine, un articolo riguardo l’ultimo angelus di quest’anno del papa, dove si legge che Benedetto XVI ha dedicato questo ultimo sermone al valore della famiglia, ribadendo per l’ennesima, estenuante volta, che la famiglia deve essere “fondata sul matrimonio indissolubile di un uomo e una donna”, e “dalla cui buona salute dipende il bene della persona e della società”. Fino all’ultimo giorno dell’anno, la solfa non cambia. Tutti questi appelli alla sacralità di certe istituzioni, alla loro inviolabilità e indiscutibilità, mi fanno pensare una cosa: non sarà che, nell’incessante difendere questi concetti, ci sia una consapevolezza di fragilità ben più grande di quanto si voglia ammettere? Che motivo ci sarebbe di ribadire ogni giorno che l’unica famiglia possibile è quella cristiana, fatta di un uomo e una donna, e via dicendo, se si è davvero convinti della forza di questa istituzione. E soprattutto, perché spaventa così tanto che altri possano scegliere delle alternative, e che queste siano riconosciute come aventi pari diritti alla famiglia tradizionale? Non sarà che questa famiglia tradizionale, a ben guardare, non è poi molto migliore di quelle, diciamo così, alternative? Finora ho posto solo una lunga serie di interrogativi, ma adesso cercherò di dare delle risposte, le mie risposte, sia chiaro, e non dettami ufficiali. E lungi da me il desiderio di offendere alcuno nella sua sensibilità.

Fin da quando ho avuto una maturità sufficiente a pormi certe domande, ho elaborato un concetto mio personale di spiritualità, che condivido solo con pochissime persone, e che considero la mia religione. Però mi rendo conto che altri potrebbero aver fatto percorsi diversi, perché magari le domande che si sono posti saranno state altre, e perché lo sono state certamente le risposte. Entrambi ci saremo chiesti cosa c’è dopo la morte, oppure se ci sia una volontà superiore che dà significato alla nostra esistenza, e avremo trovato le nostre risposte, ma non credo che le une escludano le altre. Non ho paura che, se un altro individuo dovesse scegliere una religione diversa dalla mia, questo indebolirebbe la forza della mia eventuale fede. Non credo che chiamare un dio con un nome sminuisca il valore di un altro dio chiamato con un altro nome. Così come un credente non dovrebbe venir impensierito dal fatto che qualcuno sia ateo.
E seguendo questa teoria, non credo che due persone che scelgono di sposarsi con rito cattolico vedano sminuito il valore del sacramento che si apprestano ad accogliere solo perché, magari a poche centinaia di metri, altre due persone stanno sottoscrivendo un contratto davanti ad un pubblico ufficiale per acquisire gli stessi diritti e doveri come coppia sposata davanti alla legge. Così come non credo abbia alcun valore un sacramento ricevuto controvoglia, o senza piena coscienza. Sono stato battezzato cinque mesi dopo la mia nascita, e sono certo di non aver espresso nessun parere a riguardo in quel momento, ma da adulto ho fatto le mie scelte, e per me quel rito è come se non fosse stato mai compiuto. Allora mi viene da pensare che chi sguaina le spade in difesa del matrimonio tradizionale lo fa perché ha paura che, se ci fosse un’altra scelta possibile, molti sceglierebbero la seconda possibilità. Allo stesso modo, se è possibile avere una famiglia nel vero senso della parola senza essere sposati, o senza essere di sesso diverso, il rischio è che molti scelgano questa possibilità invece di sottomettersi a regole antiquate. E ciò equivale a dire che la gran parte di quelli che si sposano in chiesa lo fanno per abitudine, perché si fa così, non perché lo sentono veramente, così come i bambini si battezzano non tanto perché si crede nel valore del battesimo, ma perché è tradizione, o perché non si sa mai, meglio non correre rischi.

Da bambini, a scuola ci facevano imparare a memoria una frasetta che non sopportavo neanche allora, figurarsi adesso: “La nostra libertà finisce dove comincia quella degli altri”. Niente di più falso. La frase giusta, secondo me, dovrebbe essere: “La nostra libertà comincia dove comincia quella degli altri e finisce dove finisce quella degli altri”. L’unica cosa che dà valore ad una mia scelta, è sapere che esiste un’altra persona che può fare una scelta diversa. Il valore che ha il dio dei cristiani è legittimato dall’identico valore che ha quello dei musulmani, quello degli induisti, quello degli animisti, quello dei buddisti, e anche dal fatto che alcuni scelgano di non avere nessun dio.

Per questo vorrei dire, in un piccolo saluto personale di fine anno, che non è necessario preoccuparsi tanto degli sguardi degli altri, perché in fondo, il vero valore di quello che facciamo è solo dentro di noi, e nessuno, con nessuna legge, potrà mai togliercelo. Sarebbe molto più utile, ma questo è solo un consiglio, che chi si batte per distruggere le idee e le scelte degli altri (magari recitando sermoni in spagnolo per colpire chi legifera a riguardo), impiegasse le stesse energie per dare vigore alle proprie. In questo modo non ci sarebbe il rischio che il matrimonio, la famiglia, e quant’altro, perdano il loro valore intrinseco.

Nessun commento: