martedì 19 febbraio 2008

Ricostruzioni

Non è facile scrivere un romanzo psicologico. Il grosso rischio che si corre è quello di annoiare, perdendosi in tecnicismi privi di passione, o in divagazioni troppo poco concrete per essere seguite. E d’altra parte, avendo a che fare con qualcosa di così impalpabile come quel complesso di esperienze emozionali che tutti noi chiamiamo mente, non è possibile neanche essere troppo concreti, o si cade nell’errore opposto, quello di banalizzare aspetti di cui non tutti sappiamo parlare ma che di certo in qualche modo tutti percepiamo come nostri.

Josephine Hart riesce a percorrere questa strettoia tra i due aspetti con la destrezza di un funambolo che volteggia avanti e indietro sulla sua fune sospesa nel vuoto, facendo trattenere il fiato ai suoi spettatori. Spettatori del dramma familiare narrato in “Ricostruzioni” siamo noi lettori. Tre sono i protagonisti. Jack, quarant’anni, borghese benestante, psicanalista di successo, divorziato. Kate, sua sorella minore, modella venerata da tutti come una dea, alle porte del secondo matrimonio. Malamore, la casa della loro infanzia, in Irlanda. Come le capita ogni volta che nella sua vita si avvicina un evento importante, Kate entra in crisi, una crisi che porta il marchio inquietante di una tragedia avvenuta a Malamore negli anni dell’infanzia, che ha coinvolto anche il fratello. Jack, che vive il suo divorzio come un fallimento ed è ossessionato dal rimorso, non può non fare a meno di correre in soccorso della sorella, come ha fatto ogni volta, durante la sua vita , in quei ripetitivi momenti di crisi.
La ricostruzione del titolo è sia fisica che psicologica e storica. Quella fisica è legata ai lavori per il restauro della tenuta di Malamore, e segue passo passo la ricostruzione interiore dell’uomo che, uno ad uno, rimette insieme i frammenti di quell’infanzia, e si costringe a varcare, ancora una volta, quella sottile soglia che separa il legame di sangue di due fratelli da un’unione, una condivisione ben più materiale, concreta e sensuale. Nel contesto di tutto ciò si inseriscono, prima confusi e sfumati, poi sempre più nitidi e devastanti, i ricordi dei genitori, immagini rubate da bambini inconsapevoli del significato di quello che stavano spiando.

Con un periodare scarno, freddo, minimalista, Josephine Hart ci conduce all’interno dell’ossessione e della tragedia, e attraverso un’analisi molto toccante dell’inconscio, delinea il profilo di due vite desolate, tragiche e al tempo stesso seducenti.

3 commenti:

veronica ha detto...

Questo libro mi intriga proprio...ma come fai a leggerne così tanti? Li mangi con il pane =D? Io vorrei una seconda vita solo per leggere!

Adryss ha detto...

Ciao...
Anch'io vorrei che ogni giorno durasse 48 ore, per usarne 24 per leggere. In effetti, leggo molto anche così, ma tra quelli che trovi qui e che ci torverai in futuro ci sono molti libri che ho letto in passato, prima di avere il blog, e che mi sono rimasti impressi per tanti motivi, così adesso colgo l'occasione per condividerli con quelli che vengono a visitare queste pagine. Comunque, parecchi sono letture recenti.
Ti ringrazio per l'apprezzamento che hai per i miei post, anche i tuoi sono molto belli, e non manco di visitare il tuo blog ogni volta che posso.
A presto, ciao ciao!

veronica ha detto...

Figurati!!! E' un piacere, grazie a te piuttosto!!!