Sam Kieth è un autore straordinario. Non solo dal punto di vista stilistico, né per il fatto che è uno dei pochi autori occidentali che è sia scrittore che disegnatore delle sue storie. Lo è anche come professionista. Critico fino all’inverosimile sul suo stesso lavoro, ogni frase che scrive, ogni linea che traccia, ogni macchia di colore, è volta alla costante ricerca della perfezione. Kieth inizia la sua carriera come disegnatore, affiancandosi a sceneggiatori del calibro di Neil Gaiman sul primo ciclo di storie di “The Sandman”. Però, proprio per quel senso di professionalità che lo contraddistingue, di sua volontà rompe questa collaborazione dopo soli cinque numeri, e quindi un contratto con uno dei più grossi editori di fumetti al mondo, perché si rende conto che il suo tratto non riesce ad armonizzarsi con le sceneggiature e i dialoghi di Gaiman. Basta solo questo per essere ammirato. Però è vero che uno stile personalissimo come quello di Kieth può non piacere. Io personalmente lo adoro. Per mia formazione, sono molto legato al fumetto americano ‘vecchio stile’, quello degli anni Ottanta, per capirci, con i personaggi che dal punto di vista fisico non avevano il minimo difetto. All’opposto, gli avanguardisti mi lasciano spesso perplesso, in particolare quelli che utilizzano tratti troppo squadrati o stilizzati. È il caso, ad esempio, del Chris Bachalo degli ultimi tempi. Allo stesso modo non mi piacciono quelli per cui il disegno si è ridotto ad un semplice contorno sul quale gli studi di colorazione digitale si sbizzarriscono a creare effetti cromatici, impoverendo il tratto, come succede con Larroca o con Andy Kubert nel suo ultimo periodo alla Marvel comics. Anche Sam Kieth fa parte delle avanguardie del fumetto, come pure Dave McKean. Però questi due mi piacciono molto. Kieth ha un modo di disegnare le figure che ti costringe a soffermarti su ogni dettaglio. Non si può guardare un suo personaggio con la coda dell’occhio, mentre si è concentrati sul dialogo. Bisogna analizzarlo attentamente per scoprire ogni sfumatura. Inoltre, le figure non sono per nulla idealizzate, anzi sono strettamente realistiche, e a volte quasi caricaturali (penso alla miniserie di Wolverine e Hulk intitolata “La storia di Po”), e proprio in questo posseggono un fascino indiscutibile. Ma il contesto non è da meno. E accanto a scenografie degne di un fotografo per la minuziosità dei dettagli, si notano fondali psichedelici dove i colori non sono altro che lampi di luce che si fondono come in un caleidoscopio, per poi lasciare il posto, magari nella tavola successiva, a un fondale nero sul quale si stagliano solo i volti dei personaggi. Ma tutto questo risulterebbe in una caotica accozzaglia di effetti grafici, se non fosse sostenuto da una impostazione di tavole davvero magistrale. I tagli in diagonale, le andature curvilinee, i piccoli riquadri che si inseriscono in illustrazioni a tutta pagina, sono tutti accorgimenti minuziosamente studiati che riescono ad amalgamare il disegno al testo, creando un tutt’uno di meravigliosa fattura.
Tutto questo, e molto altro, è presente in “Segreti”, miniserie in cinque parti raccolta nella collana “Le leggende di Batman”. Finora ho parlato solo di aspetti grafici. Ma c’è anche molto contenuto nella storia, cosa che la rende una di quelle per cui una sola lettura non può certo bastare. Un buon metodo è: leggere una prima volta, cercando di cogliere l’insieme. Poi una seconda e una terza, dedicandosi in una solo al testo, nell’altra solo al disegno. Infine, una quarta lettura mette insieme tutti i dettagli della seconda e della terza, facendo finalmente acquisire il vero significato dell’opera. Cercherò di schematizzare qualche concetto importante, ma su quest’opera si potrebbe benissimo fare una tesi di laurea analizzando almeno una decina di tematiche di profondo valore. Un primo tema è quello del giornalismo. Kieth dedica molto spazio alla critica al giornalismo truffa, a quella stampa che pubblica notizie non vere solo perché vendono, e a quei giornalisti che non si scandalizzano a costruire una carriera su delle menzogne. Viene spontaneo un paragone con “Quarto potere” di Orson Welles, di cui cito solo la frase dell’editore Kane “Tu pensa a fare le foto, che io penso a fare la guerra”.
Altro tema interessante è quello dell’amore folle. In questo caso, folle è l’aggettivo giusto, visto che uno dei membri del binomio è il Joker, il folle per eccellenza dell’universo DC. Una giovane procuratrice distrettuale perde la testa per il pagliaccio del crimine, al punto da farsi complice dei suoi omicidi, convinta che lui ricambierà il suo amore. Ma con il Joker di mezzo, niente può essere così scontato.
Infine, un ultimo (non perché non ce ne siano altri) motivo importante è quello che dà il nome alla storia, cioè il segreto. È questo che accomuna tutti i personaggi coinvolti nella storia: ognuno ha un segreto che non vuole venga scoperto. Ma, come accade anche nella vita reale, non sono i grandi segreti quelli che ci tormentano. L’angoscioso segreto che Batman protegge non è la sua vera identità, così come quello del Joker non è la sua origine. Sono i piccoli segreti della vita di tutti noi, che ci vengono a trovare la notte, a tenerci svegli. E insieme ai due protagonisti, anche il giornalista Mooley e la procuratrice distrettuale hanno il loro segreto da nascondere, perché rivelarlo significherebbe mostrarsi nudi al mondo. Una cosa che pochi riescono ad accettare. Molto bella, in questo senso, è la reciproca confessione di questi segreti tra Batman e il Joker, che dimostra l’intimità stabilitasi tra i due personaggi nel corso di tanti anni di battaglie. Forse, il Joker è l’unico che conosce veramente Batman, molto più dei suoi stessi alleati. Perché, con la sua follia, è in grado di entrare in una dimensione interiore che a tutti gli altri è vietata.
Altro tema interessante è quello dell’amore folle. In questo caso, folle è l’aggettivo giusto, visto che uno dei membri del binomio è il Joker, il folle per eccellenza dell’universo DC. Una giovane procuratrice distrettuale perde la testa per il pagliaccio del crimine, al punto da farsi complice dei suoi omicidi, convinta che lui ricambierà il suo amore. Ma con il Joker di mezzo, niente può essere così scontato.
Infine, un ultimo (non perché non ce ne siano altri) motivo importante è quello che dà il nome alla storia, cioè il segreto. È questo che accomuna tutti i personaggi coinvolti nella storia: ognuno ha un segreto che non vuole venga scoperto. Ma, come accade anche nella vita reale, non sono i grandi segreti quelli che ci tormentano. L’angoscioso segreto che Batman protegge non è la sua vera identità, così come quello del Joker non è la sua origine. Sono i piccoli segreti della vita di tutti noi, che ci vengono a trovare la notte, a tenerci svegli. E insieme ai due protagonisti, anche il giornalista Mooley e la procuratrice distrettuale hanno il loro segreto da nascondere, perché rivelarlo significherebbe mostrarsi nudi al mondo. Una cosa che pochi riescono ad accettare. Molto bella, in questo senso, è la reciproca confessione di questi segreti tra Batman e il Joker, che dimostra l’intimità stabilitasi tra i due personaggi nel corso di tanti anni di battaglie. Forse, il Joker è l’unico che conosce veramente Batman, molto più dei suoi stessi alleati. Perché, con la sua follia, è in grado di entrare in una dimensione interiore che a tutti gli altri è vietata.
Per questi aspetti, e per molti altri, la storia di Kieth merita di essere letta con attenzione, sperando che in futuro ci delizi con altre opere dello stesso calibro.