Noi discendemmo il ponte dalla testa,
dove s’aggiunge con l’ottava ripa,
e poi mi fu la bolgia manifesta;
e vidivi entro temibile stipa
di serpenti, e di sì diversa mena,
che la memoria il sangue ancor mi scipa.
[...]
Tra questa cruda e tristissima copia
correvan genti nude e spaventate,
sanza sperar pertugio o elitropia.
Con serpi le man dietro avean legate;
quelle ficcavan per le ren la coda
e ‘l capo, ed eran dinanzi aggrappate.
Ed ecco ad un, ch’era da nostra proda,
s’avventò un serpente, che ‘l trafisse
là dove ‘l collo alle spalle s’annoda.
Né ‘o’ sì tosto mai, né ‘i’ si scrisse,
com’el s’accese ed arse, e cener tutto
convenne che cascando divenisse;
e poi che fu a terra sì distrutto,
la polver si raccolse per se stessa,
e in quel medesimo ritornò di brutto.
Inferno, canto XXIV versi 79-84 e 91-105
giovedì 10 luglio 2008
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