Detesto viaggiare. Ecco, adesso vi sarete tutti convinti (se non lo eravate già) del fatto che sono un idiota. Però è la verità, detesto viaggiare, almeno per il significato comune che la media delle persone attribuisce a questo verbo. Mi vengono i brividi quando sento parlare di ‘week-end a Londra per due persone’ o di ‘crociera nel golfo del Messico’. Per me, un viaggio dovrebbe essere tale da cogliere l’intima essenza di un luogo, dal paesaggio alle città, dalla cucina alla religione, dalla storia alla vita attuale. E per ottenere questo risultato, un viaggio in un posto sconosciuto dovrebbe non solo durare almeno un paio di mesi, ma anche prevedere i mezzi necessari per raggiungere un contatto di questo tipo. Mi rendo conto che in questo senso sarebbero poche centinaia le persone al mondo che potrebbero permettersi un viaggio, e io non sono certo tra queste, ma non vedo alternative. Se voglio vedere il Sudafrica, ci sono un sacco di documentari che fanno vedere tutto spiegato alla perfezione. La realtà è che chi viaggia vuole solo scappare. Dal lavoro, dagli orari, dalle tasse, dagli impegni, e da tante altre cose che opprimono, e il viaggio fornisce l’illusione di essersi liberati di tutto. Non che questo sia un motivo deplorevole, anzi, forse è il migliore che ci sia, basterebbe solo riconoscerlo. La vera ragione del viaggio è viaggiare.
“Saiyuki” è la storia di un viaggio. È vero che ci sono elementi molto particolari, ma il tema fondamentale è questo. In un mondo in cui gli esseri umani hanno sempre convissuto con i demoni, in pace e prosperità, una misteriosa anomalia altera il carattere di questi ultimi, rendendoli malvagi. Le somme divinità che governano il mondo, i Sanbutsushin, incaricano un monaco, Genjyo Sanzo Hoshi, di indagare su questa anomalia, intraprendendo un viaggio verso Ovest, e gli affiancano tre insoliti compagni, Son Goku, Cho Hakkai e Sha Gojyo. Questo è tutto quello che è necessario sapere per godere appieno la lettura dell’opera di Kazuya Minekura. “Saiyuki” è il titolo originale di un romanzo cinese, che significa letteralmente “Viaggio in Occidente” (con questo titolo è stato tradotto in italiano, in pochissime versioni), e che narra la storia di un monaco buddista il quale intraprende un viaggio verso l’Occidente alla ricerca di alcuni testi sacri. In questo viaggio è affiancato da tre compagni, lo scimmiotto generato dalla terra Son Wukong, il maiale Zhu Bajiè e il demone fluviale (kappa) Sha Wujing. Le analogie con la storia della Minekura sono quindi moltissime, tanto che il manga può essere a tutti gli effetti considerato una versione moderna del romanzo. Ma non è solo l’identità dei personaggi a costituire questa similitudine. Come dicevo, il tema del viaggio è fondamentale, ma non solo nel senso fisico. Il viaggio verso Ovest rappresenta una metafora di molte cose. Simbolicamente, può essere visto come il percorso necessario a raggiungere una meta, qualunque essa sia, e come questo percorso sia intercalato da difficoltà importanti da superare se si vuole andare avanti. Ma parallelamente al loro spostarsi in senso fisico, i personaggi percorreranno un loro viaggio interiore, personale e come gruppo, alla ricerca del loro passato e dei ricordi, del loro dolore e delle loro motivazioni, e della speranza per il futuro. Grazie al tratto pulito e stilizzato dell’autrice, vengono messe a nudo, una ad una, le psicologie dei protagonisti, i loro rapporti uno con l’altro, e con gli eventi che hanno segnato le loro vite fino al momento in cui il destino li ha messi insieme. Si stabilisce inoltre una bella dicotomia tra i quattro protagonisti e il gruppo dei loro avversari, in modo che ciascuno abbia un antagonista personale con cui confrontarsi, rispettandolo profondamente e in qualche caso anche aiutandolo.
La storia vede momenti di grande intensità e drammaticità, come ad esempio i ricordi del passato dei quattro protagonisti, il rapporto di Genjyo Sanzo con il suo maestro Komyo, la violenza della madre di Gojyo sul figlio, la vendetta di Hakkai, e la prigionia di Goku, ma c’è anche spazio per l’ironia e la spensieratezza. Meravigliosi in questo senso sono i siparietti tra le varie scene, con Goku e Gojyo che litigano e si insultano, dandosi reciprocamente della stupida scimmia e del pervertito di un kappa, con Sanzo che minaccia di ucciderli se non la smettono, e Hakkai che assiste serafico alla scena, cercando di riportare la pace.
Una storia quindi che di sovrannaturale ha solo l’aspetto, a dispetto della trama (peraltro davvero interessante e complessa), e che invece si dimostra profondamente umana nel significato, agli occhi di chi sa come leggere una storia a fumetti.
2 commenti:
Sayuki è uno dei miei fumetti preferiti. Io amo Sanzo, veramente. Storie stupendamente disegnate e personaggi caratterizzati alla perfezione
Un abbraccio
Fra
Anche a me è piaciuto molto. Però il mio preferito rimane Gojyo. Sotto un'aria di superficialità e spacconeria nasconde un'anima segnata da molto dolore.
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