Tal, non per foco, ma per divina arte,
bollia laggiuso una pegola spessa,
che invescava la ripa d’ogni parte.
Io vedea lei, ma non vedea in essa
ma’ che le bolle che il bollor levava,
e gonfiar tutta e riseder compressa.
Mentr’io laggiù fisamente mirava,
lo duca mio, dicendo “Guarda, guarda”,
mi trasse a sé del loco dov’io stava.
Allor mi volsi come l’uom cui tarda
di veder quel che gli convien fuggire,
e cui paura subita sgagliarda,
che, per veder, non indugia il partire;
e vidi dietro a noi un diavol nero
correndo su per lo scoglio venire.
Ahi, quanto egli era nell’aspetto fiero!
E quanto mi parea nell’atto acerbo,
con l’ali aperte e sovra i piè leggiero!
L’omero suo, ch’era acuto e superbo,
carcava un peccator con ambo l’anche,
e quei tenea de’ piè sghemito il nerbo.
Inferno, canto XXI versi 16-36
giovedì 12 giugno 2008
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