Gente magica. Siamo proprio noi, gli Italiani di questo inizio di millennio. Ma magici perché? Giuseppe Montesano mostra un animo da architetto. In questo romanzo, costruisce un condominio. Quanti piani? Quanti appartamenti? Quanti abitanti? Impossibile dirlo. Potrebbe essere un piccolo condominio alla periferia della sua Napoli, in una di quelle strade in cui oggi è difficile scorgere il colore dell’asfalto. Potrebbe essere un’intera megalopoli, più grande di qualsiasi città costruita sulla Terra. Dalle caldaie agli attici, non ci è dato sapere quanto esteso sia questo labirinto di corridoi e scale. Ma ancora più intricate, se possibile, sono le vite delle persone che ci abitano. Ci sono tutti: giovani e vecchi, professionisti e impiegati, delinquenti e brava gente. Tutti in bilico sull’orlo di un’esistenza fittizia. È questa la magia della gente. Quell’arcana arte che solo noi Italiani conosciamo. Non ho esperienza di altri popoli, forse succede così dappertutto. Però temo di no. Di quale arte sto parlando? Ma è semplice: di quella dell’onorare il superfluo. Rubando un’aforisma al più eccentrico rappresentante della letteratura inglese, il romanzo è testimonianza che “nulla è più necessario del superfluo”. Noi Italiani siamo maestri in questo. Attacchiamo i fili della luce alla linea diretta senza avere il contatore, e poi abbiamo in tasca tre cellulari. Non riusciamo a pagare la bolletta del gas, ma abbiamo in casa quattro televisori tutti sintonizzati sullo stesso tizio che smorfia i numeri del lotto. Mi viene in mente un aneddoto che raccontava spesso mio nonno. Nei primi anni Cinquanta, ad Augusta, si trova dal benzinaio a fare il pieno. Arriva un tizio con un macchinone tirato a lucido, scende e ordina cento lire di benzina. A quei tempi, in litro costava centosei lire. Mio nonno, con il suo catorcio di seconda mano, mette mille lire. Quando il tizio se ne va, il benzinaio dice: “Ogni giorno fa la stessa cosa: esce dal garage, viene qui, mette cento lire, poi fa il giro del paese e ritorna dentro il garage. Ogni giorno”. Ecco che cosa siamo, gente che preferisce avere un macchinone da far vedere agli altri anche se poi non ha i soldi per metterci la benzina. Montesano ha perfettamente ragione: non siamo altro che piccoli mostri drogati dal sogno del denaro, che vivono prigionieri di una libertà confinata nello schermo del televisore, una libertà finta in cui si annichiliscono desideri, passioni, amori. Tanto, per amare, ci basta dire ‘Tre metri sopra il cielo’. A nulla servono gli sbalordimenti dell’io narrante. A nulla serve la sua speranza di rinascita. Per quanto lui se lo auguri, gli abitanti del Magic people non si risveglieranno mai.
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